Il senso della musica per l’uomo

Patrizia Figus

Il suono è ambiente

Per il filosofo greco Pitagora l’intero movimento cosmico genera un suono e una armonia che possono essere uditi, e che anzi lui realmente udiva. Il suono per Pitagora è l’ambiente in cui è immerso tutto il cosmo, in quanto è prodotto dai rapporti matematici tra le grandezze dei corpi in movimento. Le conseguenze di questa idea nella filosofia, nella fisica, nell’arte, sono immense. Qui ricorderemo soltanto il ruolo che la tradizione giudaico cristiana attribuisce al suono. Dio crea il mondo attraverso la parola e lo compenetra come parola, come logos. Nelle Cronache di Narnia, ideate nel 1939 da C.S. Lewis, il leone Aslan, simbolo di Cristo e del Logos, crea e sveglia il mondo attraverso il canto, al cospetto dei bambini che rappresentano l’Uomo.

 «“Narnia, Narnia, Narnia, svegliati. Ama. Pensa. Parla. Che gli alberi camminino. Che gli animali parlino. Che le acque siano sacre”. Quella era la voce del leone. I bambini avevano sempre saputo che prima o poi il leone avrebbe parlato, ma quando sentirono la sua voce provarono un’emozione fortissima. […] E tutte le creature e tutti gli animali, con voci diverse, alte o basse, cupe o chiare, salutarono con queste parole: “Salute, o Aslan. Abbiamo udito e ti obbediamo. Noi siamo svegli. Noi amiamo. Noi pensiamo. Noi parliamo. Noi sappiamo”. […] “O nobili creature, io vi faccio dono di voi stessi”»[1]

La straordinaria poesia di queste parole traspare delicatamente nella conclusione: il canto non dona alle cose una vita e un’esistenza che essi non hanno ancora. Dona loro l’essere che già li abita, in quanto essi non sono per il canto, essi sono il canto. Io vi faccio dono di voi stessi, dice il Leone. Gli esseri sono musica, tanto quanto l’Essere del mondo è musica. Un sentimento molto vicino a questo si avverte in parole che provengono da lontano, dal sufi Hazrat Inaal Khan.[2]

“Ho suonato la vina fino a quando il mio cuore si è trasformato nello strumento stesso; quindi ho offerto questo strumento al divino musicista, l’unico musicista esistente. Da allora sono divenuto il suo flauto e, quando vuole, egli suona la sua musica. La gente ha fiducia in me grazie a questa musica che in realtà non è dovuta a me ma al musicista che suona il suo strumento”.[3]

Il suono è ambiente, e allo stesso tempo l’ambiente è suono. A partire dalla metafora di Montessori, la voce delle cose[4], possiamo condurre una particolare riflessione sulla relazione che unisce l’uomo e l’ambiente. Il fanciullo è richiamato da una voce intrinseca di tutte le cose, è spinto a cercare, scoprire, interagire con ciò che lo circonda. Questa voce lo guida indirettamente nella sua evoluzione: tutto accade con naturalezza quando egli può agire liberamente, seguendo il suo impulso, la sua onda, il suo tempo, il suo ritmo, in obbedienza al manifestarsi dei periodi sensitivi che segnano le tappe del suo sviluppo e l’interazione con l’ambiente.

 

Il maternese, la lingua cantata

È oramai chiaro che le strutture del linguaggio influenzano il funzionamento della mente, la rappresentazione del mondo che ci costruiamo, le nostre azioni. Una lunga serie di ricerche approfondisce questo tema. Il filosofo inglese John Locke[5] Nel suo Saggio sull’intelletto umano[6], in particolare nel libro terzo, lancia un monito che è anche il fondamento della sua idea di tolleranza e di pace: i conflitti tra gli uomini derivano da malintesi linguistici. Secondo John Locke gli uomini si scontrano sulla interpretazione della realtà in quanto attribuiscono nomi diversi alle stesse cose, e nomi uguali a cose diverse. Ciò deriva da una inadeguata e incompleta esperienza sensoriale, nonché da una carente riflessione filosofica. Il linguaggio forma dunque il pensiero e comportamento umano, fino a spingerlo all’amicizia e alla guerra.

Con grande forza poetica, Martin Heidegger[7] rappresenta il ruolo del linguaggio attraverso una immagine straordinaria: il linguaggio è la casa dell’essere.[8] L’uomo non usa il linguaggio, in quanto vi nasce già dentro, lo trova già pronto; è il linguaggio che usa e forma l’uomo.

Ma il linguaggio, a sua volta, da dove viene? Come si attiva questa facoltà nell’uomo? Il primo e principale fattore di attivazione del linguaggio nell’uomo è il suono, la vibrazione sonora che il feto percepisce nel ventre materno. Non fanno eccezione le lingue mutole[9] o lingue dei segni. Anche in caso di sordità congenita o acquisita, infatti, l’ascolto delle vibrazioni sonore è presente, anzitutto sotto forma di ascolto osseo, ricezione del suono attraverso la vibrazione delle ossa.

In questo ambito possiamo ricercare fin dalle origini il potenziale musicale dell’uomo, che emerge attraverso una relazione strettissima tra suono, musica, linguaggio.

Sin dai primi istanti di vita il fanciullo è richiamato dalla voce e dal corpo della madre, sua prima fonte di nutrimento. Egli è attratto da una naturale impressione di musicalità. Attraverso il corpo proprio e della madre il feto riceve suoni, a partire dalla voce. Dopo il parto, la madre parla al bambino in una lingua speciale, quasi magica nelle sue sonorità, il maternese.

A partire dagli anni Sessanta del ventesimo secolo si è studiata la lingua concretamente parlata dalla madre nelle interazioni con il figlio.[10]

Essa ha caratteristiche peculiari rispetto alla lingua standard, e come oggetto di studio ha ricevuto un nome specifico: Infanct-Directed-Speech, anche detto motherese, tradotto in italiano come maternese. Gli studi fanno ritenere che questa particolare declinazione della lingua standard abbia un grande valore per lo sviluppo psichico, affettivo, cognitivo e corporeo dell’infante, tanto da presentarsi in tutte le culture. Il maternese promuove l’apprendimento affettivo, attentivo, e del linguaggio. Le peculiarità del maternese sembrano dettate dalla spontaneità, e dalla naturalezza della relazione tra madre e figlio.

Riteniamo utile riportare quelle principali:

  • la fonologia si caratterizza per le parole scandite più chiaramente;
  • la semantica consiste in semplici ed immediati;
  • la morfologia è costituita da espressioni brevi;
  • a livello sintattico si ricorre ad uno stile olofrastico, condensando ampi significati in una sola parola, ad esempio “fame”;
  • sono frequenti le interazioni affettive, l’espressione del volto e la gestualità.

Queste strategie linguistiche sembrano ripetersi in tutte le culture, con l’aggiunta di un’ultima strategia, che a prima vista non appare affatto necessaria: la madre mette in moto una cantilena che cattura il figlio, lo avvolge, lo culla, lo rassicura, lo accoglie nella dimensione dell’attaccamento:[11] insomma la madre canta, e la cosa ci costringe ad ammettere che la sua cantilena abbia un senso e un valore formativo per il neonato, che cullato da questo canto forma la sua psiche.

Dall’età di sei mesi i bambini sono più attrattati dall’ascoltare la madre che canta, piuttosto che ascoltarla mentre parla con loro[12].

Anche nei momenti in cui il bambino è sofferente il canto è una forma di accudimento e di cura effettiva, più di quanto lo sia la parola parlata. Sono stati messi a confronto il livello di stress sofferto dal bambino sia mentre era esposto al canto materno sia mentre era esposto al semplice parlato. L’analisi dei campioni di saliva prelevati mostra che dopo aver ascoltato il canto i livelli di cortisolo (ormone attivato in condizioni di stress) diminuiscono e restano bassi più a lungo rispetto ai momenti in cui ode il parlato.[13]

Sono molte le evidenze che suggeriscono la predominanza del canto nella cura e nell’accudimento, il che suggerisce di interpretare il maternese e le sue inflessioni prosodiche come una vera e propria lingua cantata.

Esso è caratterizzato dalla spontaneità, semplicità e carica affettiva. Il bambino, che sente incessantemente gli stimoli uditivi, impara a riconoscere le variazioni del tono, le modulazioni, le intensità e attribuisce loro un significato. La sua “mente assorbente”[14] trasforma quegli stimoli in tracce, che ne segnano lo sviluppo. Le espressioni vocali della madre col bambino sono accompagnate da un linguaggio non verbale che rinforza il significato e completa l’espressività.

Il linguaggio che unisce madre e figlio segue regole del tutto diverse dal linguaggio comune, è fondato sulla intimità del suono e della musicalità che li ha uniti durante la gestazione. Lo studio del maternese ha aperto una grande possibilità per comprendere che il nostro funzionamento si basa sul suono.

Se nella tradizione filosofica e spirituale il mondo è pieno di suono ed è creato dal suono, la scienza contemporanea sembra riproporre questo modello macrocosmico a livello microcosmico, nello sviluppo dell’essere umano.

Già a partire dalla quinta settimana di gestazione l’orecchio interno, la catena degli ossicini e il timpano, raggiungono la loro dimensione adulta, e la piena funzionalità. Prima che gli altri sensi possano svilupparsi, l’udito è già pienamente attivo, consentendo a feto di comunicare con la madre[15]. Il feto nell’utero percepisce e distingue la voce materna, e risponde in maniera diversa rispetto a come risponde ad altre voci nell’ambiente.

In tal modo il feto sviluppa le competenze che gli occorreranno quando sarà neonato: già individua nell’ambiente i riferimenti per nutrirsi, essere protetto, essere educato. Questi stimoli ambientali che lo avvolgono nel corso della gravidanza, anzitutto il battito cardiaco della madre e la sua voce, sono assimilati in maniera profonda, prerazionale, e saranno da lui associati a una funzione acquietante. A livello microcosmico la creazione del mondo attraverso il suono si manifesta nello sviluppo del bambino. In principio è il Logos, il suono: lo sviluppo prende le mosse dal suono.

Il medico francese Alfred Tomatis[16]fu il pioniere, e forse lo studioso più appassionato, in questo campo. Egli osservò che allo stesso modo in cui “le uova degli uccelli canterini covate da uccelli che non cantano danno origine ad uccelli privi della capacità di cantare” doveva esserci una comunicazione sonora tra il feto e la madre[17]. Aveva intuito che la trasmissione di informazioni e di competenze, o, parlando in senso più ampio, l’educazione, inizia prima della cosiddetta nascita, quando la vita è ancora in formazione.

«Pensai che se tutte queste informazioni potevano essere trasmesse attraverso il guscio dell’uovo, probabilmente anche la parete uterina era in grado di offrire le stesse opportunità. Cominciai così a domandarmi quello che poteva succedere nell’utero tra il feto e la madre da una parte e tra il feto e il mondo esterno dall’altra.»[18]

Nel buio della notte uterina, la voce della madre è la voce del leone di Narnia, il canto di un Dio che forma il mondo.

 

L’istinto musicale

Nel 1994 lo psicologo Steven Pinker, docente all’Università di Harvard, pubblicò uno studio che ebbe molto successo, tradotto in Italia con il titolo l’Istinto del linguaggio.[19] Sulla base delle teorie di Noam Chomsky egli vuole dimostrare che la straordinaria rapidità del bambino nell’apprendere una lingua richiede una predisposizione innata, una grammatica universale inscritta nel sistema nervoso. Tale grammatica universale è innata ed ereditaria, poiché è il frutto di un percorso evolutivo, che ha selezionato gli individui più adatti a comunicare.

Il bambino non parte da zero: si trova immerso in un ambiente linguistico che attiva le sue conoscenze istintive. Solo così è possibile spiegare come un bambino di quattro anni possa gestire migliaia di parole e frasi molto complesse.

Il modello di spiegazione del linguaggio proposto da Noam Chomsky ha affascinato immediatamente il musicista e compositore Leonard Bernstein,[20] il quale avanza l’ipotesi che anche la musica, come il linguaggio, obbedisca a regole universali innate nell’uomo.

Se parliamo di istinto del linguaggio, quindi, occorre anche parlare di istinto musicale.

Solo un istinto musicale innato spiega perché non si trovino società e culture prive di un sapere musicale; solo un istinto musicale innato ci permette di comprendere perché nella specie umana la mamma canta al bambino, e il bambino canta ancor prima di articolare suoni linguistici.

“Bambini molto piccoli – da 2 a 8 mesi – esposti precocemente a suoni musicali, anche durante gli ultimi mesi di gravidanza, esibiscono la capacità di cantare intonati molto prima di quanto riescano a pronunciare i primi fonemi (lallazione)”[21]

Come per il linguaggio, solo un istinto radicato nel sistema nervoso della specie umana può permettere una risposta così universale, veloce, e spontanea allo stimolo ambientale.

L’intuizione di Leonard Bernstein fu sviluppata dallo psicologo Ray Jackendoff e dal musicologo Fred Lerdhal.[22] La collaborazione tra i due ha dato il via ha un filone di ricerca molto promettente presso la Harvard University, orientato a scoprire una grammatica musicale universale, analoga alla grammatica generativa di Chomsky

La ricerca sembra avviata a dimostrare che la musica rappresenta un linguaggio universale, capace di oltrepassare le barriere culturali e sociali. In uno studio sperimentale della Harvard University[23] i ricercatori hanno fatto ascoltare musiche di provenienza molto varia a un campione rappresentativo di soggetti. Individui di 60 Paesi diversi hanno ascoltato musiche provenienti da 86 piccole culture diverse tra loro. Gli ascoltatori hanno intuito con successo le funzioni e il senso delle musiche udite. Secondo i ricercatori, quindi, il canto umano mostra strutture formali universali.

“Abbiamo mostrato che la nostra psicologia condivisa produce nella musica schemi fondamentali che trascendono le nostre profonde differenze culturali […] Ciò suggerisce che le nostre risposte emotive e comportamentali agli stimoli estetici hanno una notevole stabilità in popolazioni ampiamente divergenti”.[24]

Poiché l’istinto musicale emerge in maniera più precoce di quello linguistico, possiamo forse ritenerlo più arcaico, e alla base del funzionamento e della acquisizione di un linguaggio verbale.

Sappiamo parlare perché sappiamo cantare, perché prima di parlare siamo in grado di comunicare e comprenderci attraverso la musica. Ciò spiegherebbe anche perché la musica ci attrae così fortemente, qualunque sia la nostra età.

Nell’ Istinto del piacere Gene Wallenstein scrive: “i neonati sono attratti dalla musica fin dalla nascita, e sono sensibili a proprietà acustiche comuni a tutti i sistemi musicali, a prescindere dalla cultura di appartenenza. A due mesi di età, il bambino era in grado di distinguere le differenze di altezza e di tempo tra strutture musicali più o meno con la stessa abilità di un ascoltatore che è già stato esposto alla musica per decine di anni. Fin dai primi istanti di vita, la musica tira i neonati attraverso proprietà specifiche che sono le stesse apprezzate dagli adulti di ogni parte del mondo. Già a 4 mesi i bebè mostrano preferenze stabili per la musica contenente più intervalli consonanti e dissonanti […] un simile effetto è stato osservato in molte culture e in bambini con livelli di esposizione alla musica variabili.”[25]

La ricerca sperimentale tende sempre più a dimostrare che esistono dei modelli percettivi tendenzialmente universali tra gli uomini, che determinano il piacere musicale.

“L’esistenza di preferenze percettive e capacità percettive simili in ascoltatori adulti e giovani provenienti da culture diverse lascia pensare che certe caratteristiche, elementi fondamentali della competenza musicale, esistono fin dalla nascita.”[26]

Parallelamente a strutture universali del linguaggio riconosciute da Chomsky, l’istinto musicale sembra essere ereditario, frutto dell’evoluzione e della selezione naturale. Vedremo nel terzo capitolo che esiste un serrato dibattito riguardo ai comportamenti musicali come risultato dell’evoluzione. In ogni caso ritroviamo questi comportamenti, che qui definiamo istinto musicale, già nell’homo di Neanderthal.

È improbabile che i Neanderthal usassero il linguaggio verbale, in quanto il loro apparato fonatorio appare diverso da quello dell’Homo Sapiens. La questione è dibattuta e problematica, tuttavia sembra certo che i neanderthal fossero in grado di cantare e produrre musica, come testimoniato dal flauto d’osso ritrovato a Divje Babe, in Slovenia.[27] Come scrive il professor Steven Mithen, dell’Università di Reading, per comprendere l’uomo occorre comprendere perché siamo spinti a produrre e ad ascoltare musica.

“Non possiamo comprendere l’origine e la natura dell’homo sapiens senza indagare perché e come siamo una specie musicale”[28]

Lo studioso inglese si basa su ritrovamenti archeologici, studi di etno-antropologia, musicologia, psicologia e neuroscienze. Anche se il linguaggio articolato e l’arte sembrano caratteristiche esclusive dell’homo sapiens (apparso circa 300.000 anni fa) egli giunge a concludere che la musica appare come mezzo di comunicazione in un periodo più arcaico, tra australopitechi (tra 4 e 2 milioni di anni fa) e uomini di Neanderthal (tra 200 mila e 40 mila anni fa).

Mithen[29] esamina due ipotesi alternative in merito all’origine del linguaggio. Secondo la teoria composizionale la prima forma di comunicazione si è realizzata attraverso parole riferite a cose o azioni, e soltanto in seguito si sarebbe evoluta una grammatica.

Secondo un altro approccio, il proto-linguaggio dei nostri antenati doveva essere olofrastico: consisteva in suoni-frase che esprimevano in maniera olistica un vasto insieme di significati non analizzabili separatamente, non suddivisibili in parti significanti.

L’autore predilige questa tesi olistica, che gli appare più adatta al sistema fonatorio degli ominidi, e all’espressione di significati molto ampi, come fame, cibo, pericolo, e così via. Gli antichi ominidi secondo Mithen utilizzavano segni olofrastici per comunicare, attraverso gesti, mimica, versi, e il canto. Ciò darebbe conto dei reperti fossili, secondo la cui analisi australopitechi e neandhertal erano dotati di una cultura elementare e di un linguaggio non articolato.

Questo apparente paradosso è risolvibile ammettendo che essi disponevano di un complesso sistema comunicativo, modulato attraverso i versi, i gesti ed il canto. Da questo tipo di linguaggio si sarebbe evoluta la nostra gestualità, la musica, e il linguaggio.

 

Con questa tesi Mithen si spinge più in là di Steven Pinker, il quale negava che la musica potesse aver giocato un ruolo evolutivo e adattativo.[30] Come aveva intuito Leonard Bernstein, l’istinto musicale è più arcaico e originario di quello linguistico. Il musicista aveva compreso istintivamente ciò che lo scienziato Pinker aveva escluso, forse influenzato da quella “resistenza al musicale che ha radici lontane, le stesse che fino a poco tempo fa relegavano le materie musicali ad un posto di second’ordine.”[31]C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, volume I, Il nipote del mago. Milano, Mondadori, pp. 87-88

[2] Hazrat Inaal Khan. Vadodara 1882- Nuova Dheli 1927

[3] Hazrat Inayat Khan, Il misticismo del suono, musica e suono come espressione dell’Armonia Divina, Roma, Ed. Mediterranee, 1994, Prefazione

[4] M. Montessori, La scoperta del bambino, Milano, Garzanti Editore, 2016, p.95

[5] John Locke (1632-1704). Filosofo inglese considerato tra i padri del liberalismo e delle ricerche empiriche sull’intelletto umano

[6] J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana, libro terzo Bari, Edizioni Laterza, 1972, pp. 3 e seguenti

[7] Martin Heidegger (1889-1976), Filosofo tedesco

[8] M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano, Mursia Editore, 2015

[9] A. Pennisi, Le lingue mutole, Roma, Carocci Editore, 1994

[10]C. Saint-Georges, M. Chetouani, R. Cassel, F. Apicella, A. Mahdhaoui, F. Muratori, et al. Motherese in Interaction At the Cross-Road of Emotion and Cognition? (A Systematic Review), in PLOS ONE rivista on-line, Ottobre 2013, Volume 8, www.plosone.org

 

[11] John Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Edizioni Raffaello Cortina, 1982

[12] T. Nakata, e S.Trehub, Infants’ responsiveness to maternal speech and singing. Infant

Behavior and Development, 2004 , pp.27, 455-464.

[13] T. Shenfield, S.Trehub, e T.Nakata, (2003). Maternal singing mosulates infants arousal.

Psychology of music, 2003 pp. 31, 365-375.

[14] M.Montessori, La mente del bambino, Milano, Garzanti Editore, 2007, p.100

[15] A.Tomatis, La notte uterina, la vita prima della nascita e il suo universo sonoro, Red Editore, Como, 2015

[16] Alfred Tomatis (1920-2001)

[17] A. Tomatis, Dalla comunicazione intrauterina al linguaggio umano, La liberazione di Edipo, Ibis, Pavia, 1993. p. 26

[18] A. Tomatis, La notte uterina, la vita prima della nascita il suo universo sonoro, Red Edizioni, Milano, 2009. p. 27

[19] Steven Pinker, L’Istinto del linguaggio, Milano, Edizioni Mondadori, 1998

[20] Leonard Bernstein (Lawrence 1918New York1990). Compositore, pianista, direttore d’orchestra statunitense.

[21] A. M. Proverbio, Neuroscienze cognitive della musica, Bologna, Edizione Zanichelli, 2019, p. 20

[22] G. Wallenstein, L’istinto del piacere, Bari, Edizioni Dedalo, 2011, p.115

[23] Mehr e altri, , Form and Function in Human Song, pubblicato in Current Biology, Elsevier Ltd, 2018, pp.356–368

[24]La musica è davvero un linguaggio universale”. in Scienze.it, MIND – Mente e cervello, 26 gen 2018. Web. 3 mag 2020.

[25] G. Wallenstein, L’istinto del piacere, op. cit. p.117

[26] G. Wallenstein, L’istinto del piacere, op. cit. p. 118

[27] A. M. Proverbio, Neuroscienze cognitive della musica, il cervello musicale tra arte e scienza, Bologna, Zanichelli Editore, 2019, p.1

[28] Mithen, S., Morley, I., Wray, A., Tallerman, M., & Gamble, C. “The Singing Neanderthals: The Origins of Music, Language, Mind and Body”. London, Weidenfeld & Nicholson, 16 Gennaio 2005 in Cambridge Archaeological Journal, pp. 97-112. Web. 3 Maggio 2020

[29] S. Mithen, The singing Neanderthals, the origins of music, Language, Mind and Body, Weidenfeld & Nicholson Editore, London, 2005

[30] Richard Dawkins, “https://youtube/hausB9-lYFI”. Estratto dall’ intervista integrale all’indirizzo   “https://youtu.be/yIMReUsxTt4”. Steven Pinker – The Genius of Darwin, 2008. Web. 3 Maggio 2020

[31] Tullio Visioli, Variazioni. Elementi per la didattica musicale, Anicia, 2004

 

[32]G. Rouget, Musica e Trance, Einaudi, Segrate, 2019

[33]M. Lorrai, Greg Tate, un’idea collettiva di musica, articolo pubblicato sul quotidiano “Il Manifesto”, il 22 Settembre 2019. Versione on line consultata il 7 Maggio 2020 su https://ilmanifesto.it/greg-tate-unidea-collettiva-di-musica/

[34] M. Calabresi, “Divieto di iPod alla maratona”, articolo pubblicato sul quotidiano “La Repubblica”, il 2 Novembre 2007. Versione on line consultata il 7.05.2020 https://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/esteri/maratona-newyork/maratona-newyork/maratona-newyork.html

[35] P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Ubaldini Editore, Roma, 1976, p.120

[36] B. Nettl, An ethnomusicologist contemplates universals in musical sound and musical culture. in: N. L. Wallin, B. Merkers, & S. Brown (Eds.), The Origins of Music. Cambridge, MA: MIT Press.

[37] N.J. Conard, M. Malina, e S.C. Münzel, New flutes document the earliest musical tradition in southwestern Germany, Nature, 2009, 460, 737-740.

[38] https://www.nature.com/articles/nature08169

[39] P.D.Trimarchi, Rappresentazioni mentali della musica: studi comportamentali sull’interazione uditivo motoria durante l’analisi dell’altezza dei suoni e brain imaging funzionale nella rappresentazione del ritmo, Università Bicocca di Milano, 2009-2010, pp. 2-8

[40] S. Mithen, The Singing Neanderthals, 2005, op.cit

[41] S. Pinker, How the Mind Works. London: Allen Lane, 1997

[42] A. Patel, La Musica, Il Linguaggio, il Cervello, Roma, Giovanni Fioriti Editore, 2016

[43] G. Miller, Evolution of human music through sexual selection. in: N. L. Wallin, B. Merkers,

e S. Brown (Eds.), The Origins of Music. Cambridge, MA: MIT Press, 2000

[44] I. Cross, Music, cognition, culture, and evolution. in: N. L. Wallin, B. Merkers, & S. Brown

(Eds.), The Origins of Music. Cambridge, MA: MIT Press, 2000

[45] I. Morley, The Evolutionary Origins and Archaeology of Music: An Investigation into the

Prehistory of Human Musical Capacities and Behaviours. Ph.D dissertation, University of

Cambridge, 2003

[46] S.E.Trehub, Human processing predispositions and musical universals. in: N. L. Wallin, B.

Merkers, & S. Brown (Eds.), The Origins of Music. Cambridge, MA: MIT Press, 2000

[47] W. James, The Principles of psychology, New York, Dover Publications, 1890

[48] S. Pinker, L’Istinto del Linguaggio, op. cit.

[49] A. Patel, La Musica, Il Linguaggio, il Cervello, op. cit

[50] A. Patel,. Music, biological evolution, and the brain, in: M. Bailar Edition, Emerging Disciplines. Houston: Rice University Press, 2010, p.46 (nostra la traduzione)

 

[51] S.Stanislas Dehaene, Reading in the brain, op. cit., (nostra traduzione cap.1) testo consultato in rete su: https://www.academia.edu/38286217/

[52] S.Stanislas Dehane, op.cit. (nostra traduzione cap.2)

[53] Don Campbell, L’Effetto Mozart, Curarsi con la Musica, Baldini e Castoldi, Milano, 1999.

[54] A. Patel, Music, Biological evolution, and the brain, op.cit.p.50

[55] A. Patel, Music, Biological evolution, and the brain, op.cit. p.50 e seguenti

[56] A. Patel, Music, biological evolution, and the brain, op. cit. p. 53, (nostra traduzione).

 

[57] A.Patel, Music, biological evolution, and the brain, op.cit, p. 53

[58] S. Moreno, Can music influence language and cognition? Contemporary Music Review, Taylor & Francis on line 2009, Vol.28, pp. 329-345.

[59] S. Moreno, Can music influence language and cognition? Contemporary Music Review, op. cit, p.329, (nostra traduzione).

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