L’Origine del Linguaggio: Biologia, Teoria dell’Informazione e Termodinamica

Michel Serres

[“The Origin of Language: Biology, Information Theory, & Thermodynamics”, in J.V. Harari e D.F. Bell (a c. di), Hermes; Literature, Science, Philosophy, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1982, pp. 71-83]


Siamo grati a Michel Serres per aver gentilmente acconsentito alla pubblicazione del suo saggio:

Le 14 avr. 2018 à 19:39, Pasquale Amato <–@–> a écrit :
Dear Professor Serres,

[…] I’m writing to you in order to ask permission to publish my Italian translation of your paper “The Origin of Language: Biology, Information Theory, & Thermodynamics” (from ed. Josue V. Harari e David F. Bell, Hermes; Literature, Science, Philosophy, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1982, pp. 71-83). I would like to publish it on next issue (June or July 2018) of Consecutio Temporum (www.consecutiotemporum.it) […].
Sincerely
Pasquale Amato

From: Michel Serres <–@–>
Subject: Re: Permission to publish my Italian translation
Date: Sun, 15 Apr 2018 09:53:04
To: Pasquale Amato <–@–>
Cher Pasquale, je vous donne, avec plaisir, cette autorisation.
Vive l’Italie! Amitiés
Michel Serres


Traduzione di Pasquale Amato (con l’affettuoso e determinante contributo di Arturo Morelli: grazie!)


Un organismo è un sistema.

La nozione di sistema cambia nel corso della storia; occupa differenti posizioni nell’enciclopedia.

È una nozione che può essere logico-matematica: un coerente insieme di proposizioni dimostrabili, dedotte da un piccolo numero di postulati. Si parla in tal senso di un sistema di assiomi o di un sistema di equazioni differenziali. Per Cartesio, Spinoza, o Leibniz, questo è l’ideale classico di conoscenza.

La nozione di sistema può anche essere meccanica: una struttura che rimane stabile durante le variazioni degli elementi che la compongono e che sono o in movimento o relativamente stazionari. Laplace parla del sistema solare in questo senso.

Per un gruppo di punti materiali mobili distribuiti nello spazio e governati da una legge – la legge di Newton, per esempio – è chiaro che il tempo è pienamente reversibile. Se tutto comincia a muoversi nella direzione opposta, niente di significativo cambierà nella forma o nello stato. Il sistema matematico o logico è indipendente dalla variabile tempo; il sistema meccanico normale dipende da un tempo ma non dalla sua direzione. Da ciò lo spostamento, a partire dalla Rivoluzione Industriale, verso la fisica e in particolare verso la teoria del calore, uno spostamento avvenuto con Carnot, ma cominciato con Fourier.

In un altro saggio[1] ho chiamato i sistemi meccanici “statue” o statori: essi si basano su una immobilità o un equilibrio. Dopo Carnot diventano motori. Essi creano movimento, vanno oltre la semplice relazione di forze, creano forze dall’energia o dalla potenza. Producono circolazione tramite accumuli e differenze di temperatura. Si era appena riusciti a costruirli e a teorizzare su di essi – macchine a vapore o a combustione, macchine chimiche, elettriche e a turbina, e così via – che la nozione di tempo cambiò.

La seconda legge della termodinamica dà conto dell’impossibilità del moto perpetuo del secondo tipo; l’energia si dissipa e l’entropia aumenta. Da questo momento in poi, il tempo è dotato di una direzione. È irreversibile e tende dall’ordine al disordine, o dalla differenziazione alla dissoluzione o propagazione di un miscuglio omogeneo da cui nessuna energia, nessuna forza e nessun moto possono scaturire.

Curiosamente, i filosofi e gli psicologi, che mai avevano esitato ad adottare come modelli sistemi analoghi a quelli descritti per primi, tabelle di assiomi o statue, sono stati spesso contrari, durante il XIX secolo, a questo nuovo sviluppo e ai suoi risultati pratici e teoretici. Quasi tutti tentavano di trovarvi qualche pecca: credo si augurassero che il motore non si fermasse mai. Con pochissime eccezioni, quasi tutti loro sostengono, ad esempio, l’esistenza di un eterno ritorno, malgrado i risultati contrari in fisica. Freud si schiera invece con questi risultati: egli adotta chiaramente, come modello iniziale, una topologia come quella di Maxwell e Listing, in cui linee di forza sono già chiamate complessi, e una teoria dell’energia basata sulla termodinamica e collegata a due principi fondamentali: la conservazione dell’energia e il procedere verso la morte. Il tempo freudiano è irreversibile.

Siamo dunque in presenza di tre tipi di sistemi: il primo, logico-matematico, è indipendente dal tempo; il secondo, meccanico, è legato a un tempo reversibile; il terzo, termodinamico, è connesso a un tempo irreversibile. Comunque, i tre tipi hanno tutti in comune la chiusura. Essi costituiscono la divisione in parti (parzializzazione) di un dato universo, o tramite il cosiddetto assioma della chiusura dell’universo linguistico [cfr. Paul Ricoeur, Greimas, ndt] o tramite l’indipendenza di movimenti e stabilità da tutte le influenze esterne (così il mondo solare di Laplace rispetto all’universo stellare), o tramite l’isolamento termico. Un sistema fisico, nel terzo senso, è isolato-chiuso. Bisogna capire pertanto che nessun flusso di materia, nessuna circolazione di calore, luce o energia, oltrepassa le pareti che lo definiscono e lo delimitano nello spazio. A questa condizione, e solo a questa, si applicano e sono valide le due leggi della termodinamica. Se ci fosse un’apertura anche minima, il sistema non sarebbe più governato da equazioni generali.

Ecco quindi che il discorso filosofico passa in blocco dal XIX secolo ai discendenti di Bergson. Una volta espresso in termini di differenze, accumulo e circolazione, energie, potenza e relazioni di forza, tempo e motori, deviazioni, opposizioni e scioglimento, improvvisamente questo discorso, come regredendo alle condizioni della sua stessa pratica, comincia a esprimersi in termini di aperto e chiuso, di isolamento e chiusura. Oggi, per molti aspetti, il ragionamento non si è mosso di un millimetro rispetto alla problematica globale del bergsonismo. Ha la stessa forma e funzione, si può dire la stessa sintassi, ma ha cambiato ambiti. Invece di porre le domande dirette sulla materia e sulla vita, precisamente quelle stesse dalle quali questo linguaggio si era sviluppato, il discorso si sposta nel campo delle scienze sociali, della linguistica e dei testi. Perché?

Per una ragione molto semplice. La termodinamica del XIX secolo, ristretta o generale, classica o statistica, aveva studiato i motori, e in generale i sistemi che generano movimento. Le energie mobilitate dalla sua applicazione e calcolate dalla sua teoria rimanevano in una scala entropica, che per me vuol dire entro i limiti del lavoro ordinario e dello spostamento di oggetti. Quindi si trattava di discorsi che spesso portavano o al cosmo in generale o alla vita organica in particolare. All’inizio del XX secolo, la teoria della comunicazione introdusse una serie di concetti come informazione, rumore e ridondanza, per i quali fu dimostrato piuttosto presto un nesso con la termodinamica. Si vide, per esempio, che le informazioni (emesse, trasmesse o ricevute) erano una forma di neghentropia. Ora queste energie, trattate e calcolate, erano di un ordine differente da quello dell’energia della prima scala, o scala macroscopica – erano molto piccole rispetto a quella scala. Ma questo cambiamento influì solo minimamente sull’intera costruzione teoretica già in uso: la teoria dell’informazione fu considerata figlia della termodinamica; si cominciò a teorizzare immediatamente su attività ordinarie quali il leggere e lo scrivere, sulla trasmissione e l’immagazzinamento di segnali, sulla tecnica ottimale per evitare ostacoli sulla loro strada, e così via. Naturalmente, i teorici dell’informazione arrivarono a queste conclusioni seguendo criteri ereditati direttamente dalla fisica delle energie e appartenenti alla scala macroscopica. Il successo convalidò le loro scelte. Da qui, in parallelo, la grande stabilità delle categorie filosofiche tradizionali nonostante la loro massiccia applicazione in un’area differente: discorso, scrittura, linguaggio, fenomeni fisici e sociali, tutte azioni che possono essere descritte come atti di comunicazione. Diventò immediatamente ovvio, o fu preso per tale, che un gruppo di informazioni trascritte su una data memoria, su un dipinto o in una pagina, dovessero passare autonomamente dalla differenza al disordine, o che un sistema isolato-chiuso di cui non sappiamo nulla, un’incognita di qualche tipo, potesse essere e, in certi casi, dovesse essere una nicchia del linguaggio. Da un atto di traduzione simultanea si possono dedurre con relativa facilità i termini filosofici oggi in uso. Il sistema di cui stiamo parlando diventa un sistema di segni.

Proprio al centro della classificazione tradizionale degli esseri, una classificazione che non ha più senso dato che materia, vita e segni non sono altro che proprietà di un sistema, troviamo esattamente quello di cui vogliamo parlare: l’organismo vivente. Il più delle volte concepito secondo i modelli che abbiamo già considerato, l’organismo è stato visto come una macchina (per le forme e i movimenti, o per l’invarianza nelle variazioni) a partire dall’età classica fino alla recente nozione di omeostasi. Equilibrio e mobilità. È evidentemente un sistema termodinamico, a volte operante a temperature molto alte, che tende alla morte secondo un tempo imprevedibile e irreversibile (quello dell’ontogenesi), ma che risale la corrente entropica, mediante invarianze filogenetiche e mutazioni di selezione. È un sistema ipercomplesso, riconducibile solo con difficoltà ai modelli conosciuti che noi abbiamo finora padroneggiato. Che cosa possiamo attualmente dire su questo sistema? Prima di tutto che è un sistema di informazioni e termodinamico. Infatti, esso riceve, archivia, scambia ed emette sia energia che informazioni – in tutte le forme, dalla luce del sole al flusso di materia che lo attraversa (cibo, ossigeno, calore, segnali).

Questo sistema non è in equilibrio, visto che la stabilità termodinamica implica per esso la morte, pura e semplice. È in uno stato temporaneo di squilibrio, e tende per quanto è possibile a conservare questo squilibrio. È quindi soggetto al tempo irreversibile della seconda legge, visto che sta morendo. Tuttavia, lotta contro questo tempo. Noi possiamo migliorare la formulazione classica di questo problema. A dire il vero, a causa del torrente di energia e informazioni che passa attraverso il sistema senza interruzione, è sempre più impossibile concepirlo come un sistema isolato-chiuso, se non forse nella sua forma genotipica. È un sistema aperto. Dovrebbe perciò essere regolato dalla termodinamica dei sistemi aperti che è stata sviluppata negli ultimi dieci anni, e che fornisce una teoria complessa per questo stato di squilibrio. All’interno e a motivo di questo squilibrio esso è relativamente stabile. Ma questa invarianza è unica: né statico né omeostatico, è omeorretico [omeorresi = flusso costante, ndt]. È un fiume che fluisce e ancora rimane stabile pur nel continuo collassare delle sue sponde e nell’irreversibile erosione delle montagne intorno. Si nuota sempre nello stesso fiume, ma non si siede mai sulla stessa sponda. Il bacino fluviale è stabile nel suo flusso e nel passaggio dei suoi creodi(*); come un sistema aperto all’evaporazione, alla pioggia e alle nuvole, riporta indietro – ma stocasticamente – sempre la stessa acqua.

(*) La pallina in cima all’illustrazione scende lungo la china in una modalità piuttosto casuale, guidata dai solchi sulla superficie che rappresentano il CREODE [dal greco: sentiero necessario, ndt].

 

Quello che viene lentamente distrutto è il bacino solido. Il fluido è stabile; il solido che si consuma è instabile – Eraclito e Parmenide avevano entrambi ragione. Da qui la nozione di omeorresi.[2] Il sistema vivente è omeorretico [omeoretici (con una sola ‘r’) sono, invece, quei sistemi i cui parametri di omeostasi variano o possono variare nel tempo, sistemi capaci cioè di mantenere un regime dinamico, ndt].

Questo fiume, quasi stabile benché irreversibile, questo bacino, sospeso sul suo stesso squilibrio in un precario stato di quasi-equilibrio nel suo fluire verso la morte, traghetta energia e informazione, conoscenza di entropia e neghentropia, di ordine e disordine. Insieme una syrrhesis (piuttosto che un sistema) e una diarrhesis,[3] [v. Platone, Leggi, 932e: diarrhesis = ‘divisione’ o ‘distinzione’; i verbi greci syrrhein e diarrhein significano “fluire insieme” e “fluire attraverso”, ndt] l’organismo è così definito da una prospettiva globale. Non propriamente “definito” (la parola significa in effetti l’opposto di aperto), ma esaminato, descritto, valutato e compreso. Oppure, entro il contesto di un’ancor più generale circolazione che va dal sole al profondo buio dello spazio, l’organismo è una barriera di connessioni intrecciate, che non sono a tenuta stagna, che “perdono” quanto un cestino di vimini, ma possono tuttavia funzionare come una diga. Ancora meglio, è la turbolenza quasi stabile che un flusso produce, il gorgo chiuso su se stesso per un istante, che trova il suo equilibrio nel mezzo della corrente e sembra muoversi controcorrente, ma è in effetti disfatto dal flusso e riformato altrove. E l’esperienza mostra che non c’è alcun flusso senza gorgo, nessun flusso laminare che non diventi turbolento.[4] Ora, ed è qui il punto cruciale della questione, tutti i tempi convergono in questo nodo temporaneo: l’accumulo di entropia o il flusso termico irreversibile, l’usura e l’invecchiamento, l’esaurimento della ridondanza iniziale, il tempo che torna indietro negli anelli di retroazione o la quasi stabilità dei gorghi, l’invarianza conservativa dei nuclei genetici, la permanenza di una forma, l’alternanza irregolare di mutazioni aleatorie, l’implacabile filtraggio di tutti gli elementi non vitali, il flusso locale controcorrente verso isole-rifiuto di neghentropia, il riciclaggio, la memoria, diventano maggiormente complessi. L’organismo vivente, combinazione di ontogenesi e filogenesi, è di tutti i tempi. Questo non significa affatto che è eterno, ma piuttosto che è un complesso originale, un intreccio di tutti i differenti tempi che il nostro intelletto sottopone ad analisi o che le nostre abitudini distinguono o che il nostro ambiente spaziale tollera. “Omeorretico” significa almeno questo: la rhesis fluisce, ma la similarità spinge controcorrente e resiste. Tutti i vettori temporali che hanno una direzione sono qui, in questo punto, disposti a forma di stella. Che cos’è un organismo? Un fascio di tempi. Che cos’è un sistema vivente? Un mazzo, un bouquet di tempi.

È veramente sorprendente che questa soluzione non sia stata trovata prima. Forse sembrava difficile concepire una multitemporalità. Eppure accettiamo volentieri il fatto che non tutte le cose intorno a noi condividano la stessa temporalità: isole neghentropiche sul o nel mare dell’entropia, o universi distinti come quelli descritti da Boltzmann, tasche di ordine locale nell’entropia crescente, depositi di cristallo affondati nella cenere – nessuna di queste cose ci disturba. La syrrhesis vivente abbina mare e isole. In un senso completamente nuovo, l’organismo è sincrono per i significati e le direzioni, per il continuo e il discontinuo, per il locale e il globale; combina memoria, invarianza, programma, messaggio, perdita, ridondanza, e così via. È vecchio, mortale, ed è l’innesco di un nuovo ciclo. L’organismo è piazzato in cima a un convertitore temporale – no, è un convertitore di tempo. Forse è per questo che può capire sistemi che si differenziano per il loro tempo individuale: il mondo, il fuoco, e i segni.

Spostiamoci ora dal livello globale al locale, dall’organismo nella sua interezza ai diversi sistemi che chiamiamo respiratorio, circolatorio, neurovegetativo e così via, e poi agli organi, ai tessuti, a cellule e molecole… Il passaggio potrebbe essere tracciato dall’omeorresi all’omeoresi. In breve, da questo punto di vista, il complesso funziona come una serie di reazioni chimiche. Reazioni chimiche che avvengono, nel caso dei mammiferi – di cui l’uomo fa parte –, ad alte temperature, veramente molto alte, in un ambiente omeotermico[5]. Esistono approssimativamente un migliaio di differenti reazioni di questo tipo. Ma a un dato momento, per il complesso che è in attività, operativo (cioè vivente), il loro numero, benché probabilmente finito, è incredibilmente alto, data l’enorme popolazione molecolare. Per avere un’idea delle sue dimensioni deve essere posto in una scala astronomica. Da un punto di vista termico e informativo, questi movimenti e queste trasformazioni generano necessariamente rumore di fondo. E questo rumore è sicuramente tremendo, perché i numeri considerati sono giganteschi. Che cosa ci impedisce di sentirlo? Come mai il suono è attutito e quella fabbrica è insonorizzata?

Tutto quanto attiene alla teoria dell’informazione e quindi, correlativamente, alla teoria del rumore ha senso solo in relazione a un osservatore direttamente collegato ad essi [a informazione e rumore, ndt]. Chi è l’osservatore? La risposta più semplice sarebbe che per il nostro stesso sistema organico noi siamo l’osservatore o gli osservatori in questione. Perciò noi dovremmo percepire questo rumore, il rumore di un complesso a cui è connesso un recettore. Uso “percepire” nel senso ampio che questa parola aveva nell’era classica. Noi dovremmo sentire questo assordante clamore proprio come sentiamo il fragore del mare sulla riva di una spiaggia. Ci dovrebbe assordare, ci dovrebbe sommergere. Leibniz diceva nel suo linguaggio: la nuvola di minori percezioni, esterne e interne, dovrebbe indurre in noi uno stato di sconforto e di stordimento, di vertigine; dovrebbe risultare intollerabile. Ma, salvo in casi eccezionali, non percepiamo quasi niente di questo intenso caos che nondimeno esiste e funziona, come hanno definitivamente dimostrato alcuni esperimenti. Noi siamo sommersi fino al collo, fino agli occhi, fino ai capelli, in un oceano furiosamente scatenato. Noi siamo la voce di questo uragano, di questo ululato termico, e neanche lo sappiamo. Esiste ma resta non percepito. Il tentativo di comprendere questa cecità, questa sordità, o, come spesso si dice, questa incoscienza, perciò, mi sembra avere un certo valore. Noi abbiamo occhi per non vedere noi stessi, orecchie per non sentire noi stessi. L’osservatore non osserva nulla, o quasi nulla.

A questo punto è necessario considerare le condizioni generali del funzionamento organico, le forme di globalizzazione del sistema. Tutto quello che finora sappiamo ci porta a descrivere una serie di apparati successivi chiamati livelli di integrazione – una bambola matrioska nell’altra, secondo l’immagine proposta da Francois Jacob[6]. Il modello cibernetico ci permette provvisoriamente di immaginare certe connessioni tra questi livelli, dall’attività molecolare all’organizzazione delle cellule, dei tessuti, degli organi, e così via. In casi relativamente semplici potrebbe perfino essere possibile scrivere un modello matematico, un sistema di equazioni differenziali che rappresentano l’attività cellulare. Le condizioni ai margini di questa attività descriverebbero lo stato dei confini, dei limiti del livello considerato, e conseguentemente la natura della prossimità di un livello al successivo, il modo in cui un livello e il successivo sono sovrapposti. Questo processo di prossimità, di implicazione, di integrazione merita una descrizione. Prendiamo un qualsiasi livello di un sistema concatenato. Localmente, abbiamo visto, opera come una serie di reazioni chimiche a una certa temperatura. Dimentichiamo per il momento le loro specifiche equazioni e i particolari elementi al lavoro. Consideriamo solo le condizioni energetiche di questo livello. Esso mobilita informazioni e produce rumore di fondo. Il successivo livello nella serie di concatenazioni riceve, manipola e generalmente integra la coppia informazione/rumore-di-fondo che era stata emessa dal precedente livello. Come può succedere questo? Molti recenti studi ci permettono di dare una risposta più chiara a questa domanda[7]. In effetti, se si scrive l’equazione che esprime la quantità di informazioni scambiate tra due stazioni attraverso un dato canale e l’equazione che fornisce questa quantità per l’intera unità (che include le due stazioni e il canale), interviene un cambio di segno per una certa funzione che entra nel computo. In altre parole, questa funzione, chiamata ambiguità e risultante dal rumore, cambia quando l’osservatore cambia il suo punto di osservazione. Il suo valore cambia a seconda che sia immerso nel primo livello o che esamini l’intera unità dal livello successivo. In un certo senso, il livello successivo funziona come un rettificatore, in particolare come un rettificatore di rumore. Quello che prima era un ostacolo per tutti i messaggi è al contrario aggiunto all’informazione. Questa scoperta è tanto più importante in quanto è valida per tutti i livelli. È una legge della serie che si sviluppa tramite il sistema di integrazione. Torno ora alla mia domanda iniziale.

Questa domanda ha senso solo se, all’ultimo livello, il più completo dell’intero sistema, l’osservatore corrente, a cui i fenomeni di rumore e di informazione sono connessi, aveva a sua disposizione o era equipaggiato con uno speciale strumento di ascolto. Un punto di osservazione non è sufficiente; per osservare, è necessaria anche l’intenzione di farlo. Ora l’apparato esiste: è fatto di quello che la filosofia classica chiama sensazioni interne o che le diverse psicologie hanno successivamente descritto come empatia, propriocettività, o cinestesia, e il cui funzionamento deve essere connesso ai segnali emessi o ricevuti dal sistema neurovegetativo. Lo strumento esiste e funziona. Che cosa percepisce? Niente, o quasi niente, sembra, di quello che noi riconosciamo a livello puramente fisico come rumore di fondo e informazione; niente che somigli, forse con alcune eccezioni, a un remoto segnale – una figura contro uno sfondo – estrapolato da una nuvola vaga e fluttuante, da un vago ronzio, da un indistinto mormorio. Esso comunque percepisce i segnali che noi ricomprendiamo nelle due grandi categorie di piacere e dolore. Li riceve e li emette. Non è insensato dire che riceve segnali che noi traduciamo immediatamente in quelle due parole. Tutto accadrebbe pertanto come se piacere e dolore costituissero lo stato finale di un ascolto generale, a sua volta filtrato dalla serie di successive integrazioni. La coppia finale, l’unica a essere percepita, sarebbe, in altre parole, l’ultima traduzione, l’ultima rettifica della coppia fisica originale di informazione/rumore-di-fondo. Naturalmente, nessuno può chiamare piacevole l’informazione e doloroso il rumore, visto che le cose si dispongono in un certo numero di chiasmi (AB-BA-AB-…). Soffrire, almeno qualche volta, è un insieme di segnali che apre un percorso di riadattamento o strategie di aggiustamento, di riequilibrio della omeorresi. Ecco di nuovo un cambiamento di segno. Ci deve essere rumore nel piacere e informazione nel dolore. Ma questo è probabilmente qualcosa che non possiamo conoscere e valutare appropriatamente. È significativo che i livelli successivi di integrazione organica – noi capiamo la catena dei primi livelli abbastanza bene grazie alle scienze sperimentali, e capiamo anche il segmento finale per i diretti legami emotivi che manteniamo costantemente con il nostro stesso corpo – debbano sempre funzionare come linguaggi. Da una parte, a livello cellulare o molecolare, un proto-linguaggio (informazione stereospecifica e rumore termico) è già funzionante; dall’altra parte, al livello più altamente integrato, è ancora funzionante un linguaggio, stavolta come segnali individuati forniti di un qualche significato: sollecitazioni per oggetti desiderati o resistenze per oggetti pericolosi. E ancora, dato che i chiasmi e l’ambiguità complicano le cose, possiamo trovare il rigetto di un desiderio e una spinta verso la sofferenza. E così il sistema integrato multiplo, dei cui contorni implicativi spesso non so nulla, può essere considerato come un insieme di trasformazioni che passa dalla coppia rumore/informazione alla coppia significato/ostacoli e alla fine al significato. Ogni integrazione funziona come un filtro, un rettificatore. Abbiamo perciò un apparato ipercomplesso che alla fine dà un significato alla coppia di Shannon – con la quale si può avere a che fare solo fintanto che non ha significato[8].

Tutto sembra funzionare come se il problema centrale della teoria dell’informazione fosse risolto, automaticamente, dagli organismi viventi. Essi possono essere descritti come apparati che producono linguaggio da rumore e da informazioni, ognuno adeguandosi al proprio grado di complessità: per ogni sistema, infatti, per ogni specie, esiste un gruppo originale di segnali.

Per questa ragione è semplice generalizzare diverse categorie o funzioni ordinarie. La repressione in senso freudiano, per esempio, rimane un’enunciazione basata su un modello meccanico o idrodinamico. D’ora in poi l’intero sistema integrativo se ne può far carico; il suo modello fisico è molto più completo e possiamo parlarne usando un discorso che può essere sostanzialmente espresso in termini matematici. Questo perché stiamo trattando con una funzione molto generale che opera in prossimità di due dati livelli. Da un lato, si verificano trasformazioni, fissazioni, una serie di spostamenti di energia – e non è necessaria alcuna metafora, visto che i processi considerati sono semplicemente chimici o termodinamici. Dall’altro, l’intero complesso di questi movimenti è afferrato dall’osservatore, cioè dal livello di integrazione come tale, dal cambiamento di segno della funzione di ambiguità.

Sono questioni di per sé chiare. Immaginiamo un sistema con due o più elementi. In un caso iniziale, questi elementi sono o completamente differenti o identici l’uno all’altro, ripetitivi. La quantità di informazione è perciò o una somma o una riduzione dell’informazione di un singolo elemento. Questo è il caso del disordine, della disorganizzazione. Se il sistema è ordinato, se è organizzato, gli elementi sono l’uno in relazione all’altro e sono quindi differenti e simili allo stesso tempo. Ecco che l’ambiguità aumenta. Da un punto di vista interno al sistema, la trasmissione di informazioni lungo un dato circuito da un elemento a un altro rimuove ambiguità perché è un rumore, un ostacolo al messaggio. Per un osservatore esterno al sistema, l’ambiguità deve essere aggiunta, perché incrementa la complessità del sistema. Essa funziona in questo caso come un’informazione a livello dell’organizzazione dell’unità. In un caso essa occulta; nell’altro caso, esprime. L’intera funzione simbolica è incorporata in questo processo, l’intera strategia della libera associazione, lapsus freudiani, motti di spirito e giochi di parole. Ora il punto è che la teoria dei cambiamenti di segno è valida ai livelli più elementari: una cellula contenente un nucleo, citoplasma, membrane, e organelli. D’ora in poi, nonostante le più radicali differenze tra sistemi integrati, essi condivideranno almeno questo processo di rovesciamento ai loro confini. La repressione è solo un esempio particolare di questo processo generale, che spiega le regole della catena. È probabilmente per questa ragione che noi non percepiamo niente dell’assordante rumore di fondo dato dal sistema, salvo informazioni d’interesse per il funzionamento generale di queste trasformazioni o per la loro rottura locale. Il fragore senza senso è reso significativo dalla serie di rettificatori.

A questo punto l’inconscio prorompe dal di sotto; e ci sono tanti inconsci nel sistema quanti sono i livelli di integrazione. In generale, è solamente una questione su cui inizialmente non abbiamo informazioni. Non si tratta però di un’unica scatola nera, ma di una serie di scatole interconnesse; e questa serie è l’organismo, il corpo. Ogni livello di informazione funziona come un inconscio per il livello confinante che lo ingloba, come un sistema chiuso o relativamente isolato in relazione al quale la coppia rumore/informazione, quando attraversa il confine, si rovescia e viene decodificata o decifrata dal sistema successivo. In ogni connessione della serie la questione del linguaggio è formulata e riformulata dalla trasformazione del messaggio, del canale e del rumore: dalla traduzione. Nei fatti, il rumore di fondo residuo è progressivamente eliminato: ciò che si supponeva interferisse comincia ad agevolare; gli ostacoli si combinano e collaborano all’organizzazione; il rumore diventa dialetto. Immagino che questo accada a partire dalle profondità del caos molecolare, in cui l’informazione appare nella sua semplicità spaziale e nelle sue forme materiali, durante tutte le significazioni e articolazioni del messaggio prodotte dalla sequenza di rettificatori. Quello che rimane sconosciuto e inconscio è, al limite estremo della catena, il fragore delle trasformazioni di energia: deve essere così, visto che il fragore è per definizione spogliato di qualunque significato, come un set di segnali puri o di movimenti aleatori. Questi pacchetti di risulta sono sottilmente filtrati, livello dopo livello, dal trasformatore costituito dall’organismo, e si raccolgono ai nostri piedi come la schiuma sulla riva di una spiaggia, nelle forme di eros e di thanatos. In questo senso la visione tradizionale dell’inconscio sembrerebbe essere la scatola nera finale, la scatola più evidente per noi, visto che ha un suo proprio linguaggio in tutti i sensi. Oltre di essa noi ci immergiamo nella nuvola di segnali senza significato. Forse questa scatola ci protegge dai rantoli assordanti della stocastica; forse la scatola serve a cambiarli di nuovo in simboli. L’inconscio è l’ultimo osservatore, l’ultima scatola nera, l’ultima possibilità. È un esempio di ordine. Esso, inoltre, muta la casualità distruttiva in autonomia.

In questo modo, più generalmente, le categorie o le funzioni comuni della psicanalisi potrebbero essere riscritte nei termini del nuovo organon che ha il vantaggio di essere allo stesso tempo una fisica dell’energia e una teoria dei segnali. Prima, quando un dato sistema veniva analizzato, era esercizio standard – e giustificabile – scriverne due distinti resoconti: il resoconto dell’energia e quello dell’informazione. Per un computer questi erano i bit su una scheda IBM, o qualcosa come il surplus di energia necessaria per riscaldare i filamenti. I due resoconti non avevano nulla in comune; essi non erano nemmeno della stessa scala. Un enorme coefficiente li separava (10-16). La stessa cosa non è vera per l’organismo: la sua estrema complicazione, la grande miniaturizzazione dei suoi elementi e il loro numero portano questi due resoconti più vicini e li rendono comparabili. Dunque, la differenza tra una macchina e un organismo vivente è che, per la prima, il resoconto dell’informazione è trascurabile in relazione al resoconto dell’energia, mentre, per il secondo, entrambi i resoconti sono della stessa scala. A partire da questo, la riconciliazione teoretica tra la teoria dell’informazione e la termodinamica favorisce e sostiene la riconciliazione pratica tra quegli strumenti di conoscenza che si sono serviti di segni e quelli che si sono serviti di spostamenti di energia: era questo il più grande sogno di Freud[9].

Aver cambiato di segno alla funzione di ambiguità risolve ora una difficoltà del passato. Non perché nel passato fosse privo di eleganza [illogico, ndt] concludere che l’organismo combina tre varietà di tempo, e che il suo sistema costituisce un fascio temporale. Non era una semplice questione di intuizione, e la conclusione rimase inspiegata. Ora essa è chiara. Consideriamo ancora la rettifica di ciò che viene trasmesso da un livello a un altro.

Il rumore di fondo, l’ostacolo maggiore per i messaggi, assume una funzione organizzativa. Ma questo rumore è l’equivalente del disordine termico. Il suo tempo è quello dell’entropia crescente, di quell’elemento irreversibile che spinge alla velocità massima il sistema verso la morte. Invecchiare, per esempio, è un processo che stiamo cominciando a capire come una perdita di ridondanza e come lo scivolamento dell’informazione verso il rumore di fondo. Se i livelli di integrazione funzionano correttamente come parziali rettificatori e trasformano il rumore del disordine in una organizzazione potenziale, allora hanno invertito il vettore del tempo. Sono rettificatori di tempo. Anche l’irreversibilità entropica cambia direzione e segno; la neghentropia torna indietro, va a ritroso. Abbiamo scoperto il luogo, l’operazione, e il teorema dove e con cui i nodi del mazzo sono legati. È qui e in questo modo che il tempo fluisce all’indietro e può cambiare direzione. A causa dei numerosi rovesciamenti del vettore temporale, l’omeorresi fluttuante acquisisce una stabilità effimera. Per un momento il fascio temporale fa un cerchio completo. Forma una turbolenza dove i tempi che si oppongono convergono. L’organizzazione di per sé, come sistema e come omeorresi, funziona precisamente come un convertitore di tempo. Ora noi sappiamo come descrivere questo convertitore, e anche i suoi livelli e i suoi meandri, sappiamo da dove viene l’anamnesi, la memoria, e tutto l’immaginabile.

Il corpo è un sistema straordinariamente complesso che crea linguaggio dall’informazione e dal rumore, con tante mediazioni quanti sono i livelli di integrazione, con tanti cambiamenti di segno per quella funzione che impegna la nostra attenzione. So chi è l’osservatore finale, il ricevitore alla fine della catena: precisamente quello che usa il linguaggio. Ma non so chi sia il mittente iniziale all’altro capo. Mi confronto indefinitamente con una scatola nera, con una scatola di scatole, e così via. In questo modo, posso procedere lontano quanto voglio, fino a cellule e molecole, purché io cambi, naturalmente, l’oggetto osservato. Tutto ciò che so, e ne sono certo, è che sono tutti strutturati intorno alla coppia informazione/rumore-di-fondo, alla coppia caso/progetto o alla coppia entropia/neghentropia. E questo rimane vero sia che io descriva il sistema in termini di chimica, fisica, termodinamica, o teoria dell’informazione, sia che io ponga me stesso come recettore finale di un apparato integrato. Invertendo la funzione dell’ambiguità, le cose convergono naturalmente. O sono immerso nello scambio di segnali, o osservo l’insieme completo degli scambi. Ma d’ora in poi posso capire e spiegare che cosa succede quando l’osservatore cambia il suo punto di vista, quando il soggetto diventa oggetto, quando l’ostacolo diventa informazione, o quando l’introspezione vira in esperienza, e la psicologia diventa fisica. Al contrario, quando l’oggetto diventa soggetto incrementa temporaneamente la sua autonomia. Tutto accade come se Freud, che era partito dai modelli energetici della termodinamica, avesse intuito, dalle dinamiche del linguaggio, il successivo sviluppo della termodinamica in teoria dell’informazione. Le ricongiunzioni non sono proprio inattese. I regni del soggettivo e dell’oggettivo non sono più in disaccordo. L’osservatore come oggetto, il soggetto come osservato, sono interessati da una divisione più stabile e potente della loro antica separazione: sono sia ordine che disordine. Da questo momento in poi, non ho bisogno di conoscere chi o che cosa sia il primo mittente: qualunque cosa sia, è un’isola in un oceano di rumore, proprio come me, non importa dove io sia. È l’informazione genetica, le molecole o i cristalli del mondo, l’interno, come si usa dire, o l’esterno – niente di tutto questo è ormai importante. Una macromolecola, o un qualunque solido cristallizzato, o il sistema del mondo, o infine quello che io chiamo “me” – siamo tutti nella stessa barca. Tutti i mittenti e tutti i destinatari sono similmente strutturati. Non è più incomprensibile che il mondo sia comprensibile. Il reale produce le condizioni e i significati per la sua auto-conoscenza. Il “razionale” è una minuscola isola di realtà, un’insolita, eccezionale terra emersa, tanto miracolosa quanto il sistema complesso che la produce, originata da una lenta conquista dell’arbitrarietà della schiuma lungo la costa. Tutta la conoscenza è delimitata da ciò di cui non abbiamo alcuna informazione.

Non è più necessario mantenere la distinzione tra conoscenza introspettiva, o “profonda”, e conoscenza oggettiva. C’è solo un tipo di conoscenza ed è sempre connessa a un osservatore, un osservatore immerso in un sistema o vicino a esso. E questo osservatore è strutturato esattamente come ciò che osserva. La sua posizione cambia solo la relazione tra rumore e informazione, ma egli non si confronta mai con queste due presenze costanti. Non c’è più alcuna separazione tra il soggetto, da una parte, e l’oggetto, dall’altra (un esempio di luce e un esempio d’ombra). Questa separazione rende tutto inesplicabile e irreale. Invece, ogni termine della tradizionale dicotomia soggetto/oggetto è scissa in se stessa da qualcosa come una divisione geografica (proprio come sono io, che parlo e scrivo oggi): rumore, disordine e caos da un lato; complessità, organizzazione e ripartizione dall’altro. Niente mi distingue ontologicamente da un cristallo, da una pianta, da un animale, o dall’ordine del mondo; stiamo andando insieme alla deriva verso il rumore e il buio profondo dell’universo, e i nostri diversi caratteri sistemici stanno scorrendo verso la fascia entropica, verso l’origine solare, verso lo stesso disordine. La conoscenza è al massimo l’inversione di questo andare alla deriva, quella strana conversione dei tempi, sempre ripagata da un addizionale andare alla deriva; ma questa è la complessità stessa, ciò che una volta era chiamato essere. Turbolenza virtualmente stabile dentro il flusso. Essere o conoscere d’ora in poi sarà tradotto con: osserva le isole, insolite o fortunate, il lavoro del caso o della necessità.

 

 

Note

[1] “Don Juan au palais des merveilles: Sur les statues au XVIIe”, Les Etudes philosophiques 3 (1966): 385-90.

[2] La parola “omeorresi” (homeorrhesis) è formata dalle parole greche homos, che significa “lo stesso”, e rhysis, che significa “flusso”. Serres rievoca il normale termine che descrive l’equilibrio di un sistema auto-regolato, cioè l’“omeostasi”, insieme all’omeorresi, per enfatizzare l’idea di continuo movimento e scambio opposta all’idea meno dinamica di stasi. [Nota dei curatori].

[3] I verbi greci syrrhein e diarrhein significano “scorrere insieme” e “scorrere attraverso”. Il tentativo è ancora quello di cogliere la natura dinamica dell’organismo con una terminologia che eviti richiami alla statica. La parola “sistema” viene abbandonata per la sua origine dal verbo greco histanai, “causare la stasi” . [Nota dei curatori].

[4] Vedi “La nascita della fisica” nel testo di Lucrezio: Fleuves et turbulences (Paris: Minuit, l977), e “Lucretius: Science and Religion”, capitolo 9 del presente volume. [Nota dei curatori].

[5] L’omeotermia è un esempio simile all’omeorresi. In un certo senso, l’organismo a sangue freddo (poikilothermal) si è adattato meglio all’ambiente. L’organismo omeotermico (a sangue caldo), più recente nella storia dell’evoluzione, è più fragile. È probabilmente condannato a una nicchia adattata con intervalli di temperatura relativamente stabile. Di fatto, esso li produce più spesso che può. Le api adottano questo processo per i loro alveari. Quindi l’organismo omeotermico è molto più dipendente di altre specie dall’ambiente, dalla sua stessa specie, e dall’Altro o dagli Altri. Questo è vero specialmente quando la sua progenie – è il caso dei neonati umani – non ha ricevuto alla nascita un perfetto equipaggiamento omeotermico. L’organismo omeotermico genera il bisogno di comunicazione. È, per le esigenze energetiche e termiche, analogo a quello che sarà il comune parlare, in termini di segnali e informazioni. Immagino che una delle prime forme di comportamento, uno dei primi segnali, può essere ridotto a questo: “tienimi caldo”. L’organismo omeotermico avvia le pratiche del tocco e del contatto, della comunicazione erotica, del linguaggio. È un’omologia. [Nota dei curatori].

[6] Vedi Francois Jacob, The Logic of Life: A History of Heredity, tr. Betty E. Spillman (New York: Vintage Books, 1976), p. 302.

[7] Vedi Henri Atlan, L’Organisation biologique et la theorie de l’information (Paris: Hermann, 1972) ; “On a Formal Definition of Organization”, Journal of Theoretical Biology 45 (1974): 295-304. (Vedi anche Henri Atlan, Entre le cristal et la fumee: Essai sur l’organisation du vivant [Paris: Seuil, l979], pp. 5-130.)

[8] Vedi Claude Shannon, The Mathematical Theory of Communication (Urbana: University of Illinois Press, l964).

[9] Vedi Sigmund Freud, “Project for a Scientific Psychology”, in The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, ed. James Strachey (London: Hogarth Press, l966) , 1: 283-343.

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