Mente e corpo tra progetto e traumdeutung nell’opera di Sigmund Freud

Irene Milazzo

 

 

PROGETTO PER UNA PSICOLOGIA

  1. Premessa

Un uomo come me non può vivere senza una smania, senza un tiranno, come dice Schiller; e questo è il mio tiranno. Nel servirlo non conosco limiti. È la psicologia; essa è sempre stata la mia meta lontana, la più seducente da quando mi sono imbattuto nelle nevrosi.[1]

Questo pensiero viene espresso da Sigmund Freud nella lettera inviata all’amico Wilhelm Fliess il 25 maggio 1895. La corrispondenza tra i due è di fondamentale importanza ed è quasi giornaliera in questo periodo della vita di Freud, compreso tra il 1887 e il 1902, nel quale i suoi rapporti con Breuer, amico e collaboratore con cui scrisse gli “Studi sull’isteria”, andavano logorandosi; ci aiuta infatti a capire quali fossero in quegli anni i suoi intenti e in quali opere e ricerche fosse scientificamente impegnato. È a Fliess che Freud invia l’opera che sarà il centro delle nostre attenzioni, il “Progetto per una psicologia”, spesso trascurata anche da coloro che studiano le teorie di quest’uomo pieno di interessi, che contribuì con le sue opere a influenzare molto il pensiero del ventesimo secolo, che si apre con la sua rivoluzionaria opera “L’interpretazione dei sogni”.

Il “Progetto” risale al 1895, periodo in cui operava come neurologo ed era ancora molto legato alla sua formazione scientifica; Freud si laureò infatti nel 1881 in medicina con la classifica di “eccellente” e il suo indirizzo principale fu quello di istologo e neurofisiologo. Ciò che voleva fare con quest’opera era, come scrisse a Fliess nella lettera sopra citata, “vedere quale forma prende la teoria del funzionamento psichico se vi si introducono considerazioni quantitative, facendone una specie di scienza economica della forza nervosa”[2].

Il “Progetto” viene steso tra il mese di settembre e i primi giorni di ottobre del 1895, e viene poi sottoposto al giudizio di Fliess l’8 ottobre. È inoltre importante dire che esso avrebbe probabilmente dovuto essere corretto e completato per poter essere pubblicato; l’autore invece non vi tornerà più sopra e l’opera sarà pubblicata postuma. Questo spiega le difficoltà che si incontrano nel leggerla e le molte oscurità che la pervadono. In essa non appare nulla di aggiuntivo rispetto a ciò che del pensiero di Freud si trova in altre sue opere; è però importante notare il tentativo, piuttosto arduo, di parlare di psicologia in termini esclusivamente fisico-quantitativi. Il suo “fallimento” lascerà l’autore deluso a tal punto da non tornare mai più sull’opera, spingendolo ad indirizzarsi poi verso lo studio della sola psiche. Dalle lettere inviate a Fliess, dove vengono già menzionati i tre sistemi di neuroni (φ, ψ, ω) che teorizza nell’opera, si può notare come Freud, nel lavorarvi, sia passato da momenti di grande euforia a momenti di forte scoraggiamento: nella lettera del 12 giugno 1895 scrive “anche la ‘Psicologia’ sembra che finisca per riuscirmi bene, ciò che sarebbe per me una grande gioia. Naturalmente non posso ancor dare nulla per certo”[3]. Nella lettera del 16 agosto 1895, invece, comunica all’amico alcuni problemi insorti durante il suo lavoro: “m’è andata in modo strano con il mio φψω. Subito dopo averti inviato la mia comunicazione allarmante e promettente, dopo aver superato una delle vette che precedono l’ultima, mi sono trovato dinanzi a nuove difficoltà, e mi è mancato respiro sufficiente per il nuovo lavoro… la psicologia è proprio una croce. Giocare a bocce e raccogliere funghi sono certamente passatempi più salutari… ho dovuto rivangare il problema della qualità, il sonno, la memoria, in breve l’intera psicologia. Ora non voglio più sentirne parlare”[4]. Ma Freud non si arrendeva facilmente, nel suo lavoro quanto nella sua vita privata, tanto che in una lettera del 23 settembre 1895 troviamo un’altra allusione al “Progetto per una psicologia”. Alla fine abbandonerà il suddetto tentativo riduzionistico, ma mai la psicologia e i problemi ad essa connessi, che resteranno sempre oggetto dei suoi studi.

Nella lettera del 20 settembre segue un ulteriore momento di euforia: “In una tempestosa notte della scorsa settimana, in uno di quei momenti di penoso disagio in cui il mio cervello lavora meglio, le barriere improvvisamente si sono sollevate, i veli sono caduti e sono riuscito a veder tutto, dai dettagli delle nevrosi [le nevrosi sono l’altro punto di interesse di Freud; nel 1895 appare anche la prima pubblicazione degli “Studi sull’isteria”, n.d.r.] fino alle condizioni della coscienza. Ogni cosa al suo giusto posto, gli ingranaggi a posto, sembrava si trattasse di una macchina che, da un momento all’altro avrebbe cominciato a muoversi da sola. I tre sistemi di neuroni, lo stato libero e legato della quantità, il processo primario e secondario, le tendenze al compromesso del sistema nervoso, le due leggi biologiche dell’attenzione e della difesa, i segni della qualità, della realtà e del pensiero, la situazione del gruppo psicosessuale, la determinazione sessuale della rimozione e, infine, i fattori che provocano la coscienza in quanto funzione percettiva: tutto concordava e concorda ancora. Io, naturalmente, riesco a stento a contenere l’entusiasmo”[5].

Nuovamente, in una lettera di fine ottobre, Freud si dimostra non totalmente convinto delle singole parti che compongono la sua opera tanto che l’8 novembre scrive, dichiarandosi depresso e deluso, di aver messo “da parte i manoscritti psicologici in un cassetto dove sonnecchieranno fino al 1896”[6].

Nonostante questo alternarsi di speranze e delusioni, il “Progetto per una psicologia” è un’opera di fondamentale importanza, nella quale Freud affronta ed espone molte delle sue teorie più importanti, che ricorreranno in tutto il suo pensiero. Essa dunque non fu un totale fallimento, come potrebbe sembrare da quanto è stato appena detto e da quanto pensava lo stesso autore, che eviterà di citarla in tutte le sue autobiografie; oltre agli studi dedicati alle nevrosi, che vi ricorrono brevemente anche nel capitolo secondo, possiamo ritrovare la prima distinzione tra processo primario e secondario, il primo tentativo di connettere il sogno alle patologie isteriche, la formulazione del “principio di inerzia neuronica”, che ritornerà, con il nome di “principio di costanza” in tutto il suo pensiero e una prima sommaria formulazione di quella che sarà la logica quantitativa del piacere. Freud infatti, fin dai suoi primi studi, pone il corpo al centro delle sue attenzioni e, anche successivamente, esso verrà considerato come elemento fondamentale dell’essere umano, inscindibile dalla mente, che può essere considerata una sua escrescenza. Proseguendo ciò che già Spinoza aveva iniziato, sulla scia di quelle filosofie della vita rintracciabili in Schopenhauer e Nietzsche, Freud attua un ribaltamento nel modo di pensare il rapporto tra mente e corpo. Se nella filosofia antica era la mente (chiamata “anima”) ad avere la priorità e il corpo veniva considerato la sua prigione, con Freud arriviamo a teorizzare una mente incarnata nel corpo. Essa nasce dopo il corpo e deriva dalla prima forma di esistenza infantile la quale è molteplicità continua di bisogni. Mente e corpo sono due polarità irriducibili grazie alle quali possiamo funzionare come esseri umani.

La lettura di quest’opera è dunque necessaria per comprendere a pieno il percorso che portò Freud all’elaborazione di molte tra le sue tesi più importanti. In essa incontriamo molti termini chiave del suo pensiero quali rimozione, conversione, difesa, linguaggio e così via. Ritroviamo uno dei primi tentativi di distinguere il pensiero conscio da quello inconscio, che sarà poi approfondito nell’“Interpretazione dei sogni” e in altri suoi testi. Vuole mostrare come funziona la macchina mentale, come riceve, scarica e domina gli stimoli. Se inizialmente il suo intento è costruire una psicologia per neurologi, finirà per incamminarsi verso la creazione di una “psicologia per psicologi”[7], come la definisce Peter Gay.

È dunque di fondamentale importanza confrontarci con essa e con i problemi qui affrontati per cercare di comprendere quanto di questo lavoro Freud si porterà dietro nel suo percorso intellettuale e quanto invece abbandonerà realmente.

 

  1. La concezione quantitativa

L’intento del “Progetto per una psicologia” è spiegare la concezione quantitativa del sistema nervoso: l’autore vuole “dare una psicologia che sia una scienza naturale”[8]. Tale concezione sembra essere ripresa dalle osservazioni di patologia clinica, in particolare dalle rappresentazioni sovraintense (dove il carattere quantitativo emerge più del normale) che caratterizzano ad esempio i casi di isteria. Freud considera l’eccitamento neuronico come quantità in movimento e postula il principio di inerzia neuronica (in futuro detto “principio di costanza”), secondo il quale i neuroni tendono a liberarsi di Q (quantità di eccitamento). Se il neurone viene eccitato si libera di tale quantità di eccitamento e si mette così in movimento. Il corpo umano dunque si può interpretare come una struttura che si muove secondo cariche quantitative d’eccitazione; la condizione del vivente è di inerzia; il bisogno genera accumulo di tensione che va scaricata per tornare all’inerzia. Questa teoria in fisica è detta dell’arco riflesso. Inoltre tale principio richiama l’omeostasi, equilibrio interno che ogni individuo deve mantenere costante.

Già Spinoza aveva teorizzato un simile principio, sostenendo che ogni corpo deve mantenere una proporzione costante che sola può mantenerlo in vita. È il corpo a fondare l’individualità di ciascuno di noi, che dipende dall’armonia presente tra le sue parti. Come per Freud è necessaria la scarica per mantenersi in un rapporto omeostatico rispetto all’ambiente, così per Spinoza le parti del nostro corpo devono vivere secondo il gradiente dell’armonia che rappresenta l’optimum esistenziale.

La scarica è la funzione primaria del sistema nervoso il quale “consiste di neuroni distinti, ma di struttura analoga, i quali sono in contatto tra di loro attraverso una sostanza estranea interposta e terminano l’uno nell’altro come in parti di tessuto estraneo, e nei quali sono precostituite certe linee di conduzione, in quanto ricevono [l’eccitamento] attraverso prosecuzioni delle cellule [o dendriti] e [lo] rimettono attraverso il cilindrasse”[9]. Il neurone ha una dicotomia strutturale: il cilindrasse costituisce l’organo di scarica, e possiamo supporre un processo secondario nel caso in cui si inseriscono delle resistenze alla scarica, che probabilmente, in base alla struttura del neurone, vanno rintracciate nei punti di contatto tra neuroni che, nella scarica, funzionano da barriere. Quando queste divengono simili a φ, e dunque divengono capaci di conduzione, parliamo di facilitazioni. Queste ultime dipendono dalla quantità di Qη che passa nel neurone e da quante volte si ripete tale processo.

Freud, almeno inizialmente, parla di due classi di neuroni:

1) Neuroni permeabili, o sistema φ (lettera greca per “fi”); essi non trattengono nulla, permettono il completo passaggio di Qη (quantità di energia interneuronica, che passa da un neurone all’altro), ritrovandosi, dopo il passaggio di un eccitamento, nelle condizioni di partenza. Soddisfano alla funzione di percezione (neuroni sensori, permettono di percepire l’ambiente esterno)

2) Neuroni impermeabili, o sistema ψ (lettera greca per “psi”); essi trattengono Qη; le loro barriere di contatto permettono solo un passaggio difficile e parziale di Qη. Questi sono i veicoli della memoria e dei processi psichici in genere (neuroni motori).

Questa distinzione riprende la tesi, che in Freud ritornerà spesso, secondo la quale le funzioni della percezione e della memoria sono incompatibili: “una delle caratteristiche principali del nostro tessuto nervoso è la memoria, cioè, generalmente parlando, la facoltà di subire un’alterazione permanente in seguito a un evento”[10]. Questa caratteristica è in netta contrapposizione con una materia che invece permetta il passaggio “di un movimento di onde per ritornare poi alla condizione di partenza”[11]. Poiché i neuroni vengono sia condizionati dall’eccitamento (si alterano) sia restano inalterati, essi sono stati distinti nelle due classi sopra citate così da evitare la contraddizione. Dunque una classe ha la caratteristica di essere influenzata dall’eccitamento, mentre l’altra resta ad esso immutabile, pronta a riceverne uno nuovo (distinzione tra “cellule percettive” e “cellule mnemoniche”).

La memoria è rappresentata dalle facilitazioni che esistono tra i neuroni ψ”[12] e dipende dall’ “entità di impressione”[13], ovvero dalla frequenza con la quale una stessa impressione si ripete e dunque, tradotto in un linguaggio quantitativo, dalla quantità di Qη che percorre il neurone e dal numero di volte in cui si ripete il processo. Grazie alla suddetta distinzione dei neuroni in due classi Freud ha potuto spiegare una delle principali caratteristiche del nostro sistema nervoso: “la capacità di ritenere restando allo stesso tempo ricettivo.[14]

Ci sono due principali differenze tra questi due sistemi:

1) Hanno a che fare con quantità di Qη differente: tramite i neuroni φ passano grandi quantità di Qη cosicché la resistenza offerta dalle barriere di contatto diviene trascurabile, mentre nei neuroni ψ passa una Qη minima, pari alla resistenza.

2) Il primo sistema è in contatto con il mondo esterno, sorgente di tutte le principali quantità di energia ed è dunque soggetto a ricevere Q esterne più elevate. Ψ invece non è in contatto con esso e riceve Q dai neuroni φ (i neuroni infatti terminano l’uno nell’altro) e dalle cellule interne al corpo.

Dunque i due sistemi φ e ψ hanno un’uguaglianza essenziale; differiscono solo per la permeabilità (è una differenza spiegata su base biologica e meccanica). Sembrerebbe dunque che la struttura del sistema nervoso serva allo scopo di trattenere Qη, mentre la sua funzione sarebbe quella di scaricarla. Arrivati a questo punto dell’argomentazione Freud inserisce la coscienza. Essa “ci da ciò che noi chiamiamo qualità: sensazioni differenti in grandi varietà di modi e la cui differenza dipende dai rapporti con il mondo esterno”[15]. Per capire da dove esse originano dobbiamo ammettere l’esistenza di un terzo sistema di neuroni, che chiama ω, il cui stato di eccitazione produce le qualità o sensazioni coscienti. Queste ultime non possono avere origine né nel mondo esterno, in quanto in esso sono presenti solo masse in movimento, né nel sistema φ o ψ; infatti questi due sistemi agiscono insieme nella percezione e per quanto riguarda il ricordo (proprio solo del secondo sistema) esso è privo di qualità. Ma, “essendosi la scienza posta il compito di condurre tutte le qualità delle nostre sensazioni alle quantità esterne, si può presumere, della struttura del sistema nervoso, che esso consista di dispositivi per trasformare le quantità in qualità, dove sembra trionfare ancora una volta la tendenza originaria a liberarsi delle quantità[16].

Poiché i neuroni ω si comportano come organi percettivi ma non hanno la caratteristica della memoria, essi dovrebbero avere una Qη molto bassa; dovrebbero dunque essere più impermeabili dei neuroni ψ (avevamo infatti visto che la permeabilità dipende dalla Qη); ciò però non è possibile in quanto essi si comportano come organi percettivi e, in quanto tali, non possono avere memoria (caratteristica invece di ψ). L’unica soluzione sta nel rivedere l’ipotesi sul decorso della Qη; essa non è soltanto un trasferimento da un neurone all’altro, ma deve avere un’altra caratteristica di ordine temporale, che Freud chiama qui “periodo”[17]. L’ipotesi freudiana è che i neuroni ω siano incapaci di ricevere Qη , ma riescano ad assimilare il periodo dell’eccitamento; questa loro condizione è la base fondamentale della coscienza. Naturalmente anche i neuroni ψ hanno il loro periodo, ma è privo di qualità o, per meglio dire, è monotono. Le differenze di periodo originano dagli organi di senso, i quali lasciano passare solo gli stimoli aventi un determinato periodo. In tal modo Freud è riuscito ad inserire la coscienza nella struttura della “psicologia quantitativa”.

C’è dunque una propagazione di qualità (degli stimoli) non durevole che da φ va a ψ e infine a ω, dove si genera la sensazione, rappresentata da un particolare movimento neuronico di breve periodo che non lascia memoria. Il primo tipo di neuroni riceve gli stimoli, il secondo li trasmette e il terzo ne porta i contenuti alla coscienza.

In una lettera inviata a Fliess, datata 1 gennaio 1896, ritroviamo una revisione di questa parte del manoscritto; secondo il nuovo schema i neuroni percettivi ω verrebbero inseriti tra i neuroni φ e i neuroni ψ “così che φ trasferisce la sua qualità ad ω ed ω non trasferisce a ψ né qualità né quantità ma semplicemente eccita ψ, cioè indica la direzione che deve essere presa dall’energia psichica libera”[18]. Le modificazioni applicate da Freud in tale lettera sono importanti in quanto aprono la strada verso la distinzione tra processi consci e inconsci, ben sviluppata nel settimo capitolo dell’ “Interpretazione dei sogni”. Freud definisce i processi ψ “inconsci”, almeno fino a quando, allacciandosi all’associazione verbale, non acquistino una coscienza secondaria artificiale. Resta il fatto però che l’unica fonte di energia per ψ è la conduzione organica.

La coscienza viene definita come il “lato soggettivo”[19] dei processi ω, e l’assenza di essa implica l’omissione del contributo da parte del sistema ω. Ma la coscienza non contiene solo la serie delle qualità sensoriali; in essa troviamo anche la serie delle sensazioni di piacere – dispiacere (Lust – Unlust). Freud non rinuncerà mai nel tempo a tale logica, secondo la quale proviamo piacere nel momento in cui riusciamo a soddisfare un nostro bisogno e quindi effettuiamo una scarica di Qη, mentre proviamo dispiacere quando avviene un aumento del livello di Qη .

A questo punto del manoscritto avrebbe dovuto esservi l’inizio di un capitolo secondo, che non è stato posto dai curatori in quanto un ulteriore capitolo secondo era già presente successivamente all’inizio del discorso sulle psicopatologie.

Tentando di capire come funziona l’apparato del sistema nervoso, Freud sostiene che “somme di eccitamento premono dall’esterno sulle terminazioni del sistema φ”[20]. Gli stimoli che raggiungono tali neuroni possiedono sia una quantità sia una caratteristica qualitativa. Confrontando i processi che agiscono nel mondo esterno e gli stimoli che corrispondono loro, notiamo che rispetto ai primi sono ridotti per quantità e discontinui per qualità, cosicché alcuni di essi non agiscono da stimoli. La quantità dello stimolo φ suscita la tendenza alla scarica in quanto viene trasformata in un eccitamento motorio ad essa proporzionale. L’apparato della motilità è infatti direttamente collegato al sistema φ. Qui la Qη si ramifica in diversi modi: probabilmente uno stimolo più forte e uno più debole seguono vie diverse. Freud divide inoltre i neuroni ψ in neuroni del pallio, investiti da φ e neuroni nucleari, investiti dalle vie endogene di conduzione.

Per quanto riguarda gli stimoli endogeni (o pulsioni) dobbiamo notare che essi divengono stimoli psichici solo periodicamente, quando superano determinate resistenze in cui si imbattono nelle vie di conduzione che portano a ψ. Ciò avviene quando vi è un aumento di Q sopra un determinato livello, al di sopra del quale agiscono sempre come stimoli. Dunque le vie di conduzione ψ si riempiono tramite un processo detto “sommazione”[21], che le riempie fino a farle divenire permeabili. La saturazione dei neuroni nucleari in ψ porta alla scarica, che si libera tramite le vie motorie. Questo porterà anzitutto una modificazione interna (grida, espressione di emozioni ecc.), tramite la quale si potrà intendere il bisogno di aiuto. Per sospendere lo stimolo è necessaria un’azione specifica nel mondo esterno che interrompa l’emissione di Qη e ne provochi la scarica: esperienza di soddisfacimento. È dunque necessario un aiuto esterno che avvicini l’oggetto del desiderio. Tramite il pianto ad esempio, l’adulto potrà comprendere il bisogno del bambino ed adempiere il lavoro dell’azione specifica; una volta fatto ciò avverrà il soddisfacimento.

Il dolore invece è un’irruzione eccessivamente grande di Q in φ e ψ. Il suo progredire non ha ostacoli e sembra che i neuroni ψ siano ad esso permeabili. Esso determina in ψ:

1) un forte aumento del livello di Qη, provato da ω come dispiacere

2) una tendenza alla scarica che può essere operata in più direzioni (il sistema nervoso tende a fuggire il dolore)

3) una facilitazione tra tale tendenza e l’immagine mnestica che lo ha provocato

Esso possiede una particolare qualità che si fa sentire parallelamente al dispiacere. Nell’effettiva esperienza di dolore è l’erompere della Q esterna a provocare l’aumento del livello in ψ. Per quanto riguarda invece il ricordo dell’esperienza, l’affetto, il dispiacere deve essere provocato in modo attuale all’interno del corpo. Dunque, come esistono neuroni motori che, una volta raggiunto un certo livello di eccitamento, conducono e scaricano le Qη nei muscoli, così devono esservi dei neuroni “secretori”[22] i quali, quando vengono eccitati, influenzano la produzione di Qη endogene, che non scaricano ma introducono per via indiretta nell’organismo. Chiameremo “neuroni chiave”[23] questi neuroni secretori. I residui delle esperienze di soddisfacimento e dolore appena discussi, sono gli affetti e gli stati di desiderio; entrambi provocano un aumento di Qη in ψ (il primo tramite un improvvisa emissione, il secondo tramite sommazione).

A questo punto Freud inserisce il termine “rimozione” (o difesa primaria), tanto importante nel suo pensiero, ovvero il fatto “che un’immagine mnestica ostile viene regolarmente abbandonata dalla carica appena possibile”[24]. Diviene però necessario introdurre un’organizzazione particolare: l’Io, definito come “la totalità delle cariche ψ in un dato momento”[25]. Esso però non può liberarsi delle sue cariche tramite l’esperienza del soddisfacimento sopra descritta, ma deve esercitare “un’influenza sulla ripetizione delle esperienze di dolore e affetto”[26] e deve farlo tramite un processo detto “inibizione”[27]. Dunque, ricapitolando, possiamo dire che, nel momento in cui entra un flusso di Qη, questo si dirige verso le barriere di contatto con meno resistenza.

L’Io deve necessariamente liberarsi delle cariche. È però a questo punto necessario distinguere tra ricordo e rappresentazione. Può infatti avvenire che l’Io, mentre è in uno stato di desiderio, investa un ricordo, mettendo così in atto un processo di scarica: in tal caso il soddisfacimento non può avvenire in quanto l’oggetto non è reale ma è presente solo in una rappresentazione fantastica. È dunque necessario un segno di realtà che permetta di operare una distinzione tra ricordo e rappresentazione. Tale segno è proprio ciò che Freud chiama “segno di realtà o qualità”[28], proveniente da ω. Il criterio di distinzione tra il segno di realtà proveniente dal mondo esterno e quello proveniente dal ricordo risiede nel fatto che, mentre il primo fa la sua apparizione qualunque sia l’intensità della carica, il secondo (quello derivato da ψ) fa la sua apparizione solo se le intensità sono notevoli. È dunque l’inibizione operata dall’Io a rendere possibile un criterio di distinzione tra percezione e ricordo. Riassumendo, “ove l’inibizione è operata da un Io caricato, i segni di una scarica ω diventano in generale segni di realtà, che ψ biologicamente impara ad usare. Se l’Io è in stato di desiderio nel momento in cui emerge tale ‘segno di realtà’, questo fatto permetterà alla scarica di effettuarsi grazie all’azione specifica”[29]. In una lettera del 21 settembre 1897 Freud abbandonerà l’idea che esista un segno di realtà nell’inconscio, concludendo che è dunque impossibile distinguere tra la verità e la finzione emozionale. Parlando di ciò Freud inserisce per la prima volta una distinzione che sarà di fondamentale importanza nel suo pensiero, quella tra processo primario e processo secondario:

L’investimento di desiderio portato fino ad allucinazione e lo sviluppo pieno del dispiacere, che reca con sé l’esaurirsi completo della difesa, si possono definire come processo psichico primario. D’altra parte quei processi che sono resi possibili solo da una buona carica dell’Io e che funzionano da moderatori del processo primario, possono essere definiti come processi psichici secondari.[30]

Il processo primario altro non è che la forma inconscia del pensare (Es), la quale tende alla scarica utilizzando solo il principio di piacere – dispiacere. Il processo secondario è invece la capacità propria della mente di ancorare, attraverso il linguaggio, l’energia libera dell’affetto alla catena delle parole, facendo entrare in gioco anche un principio di realtà (di cui in questo saggio ancora non si parla), che porta ad un soddisfacimento reale. Il linguaggio è necessario per poter operare un raffreddamento emozionale dell’affetto, “sfogarlo a parole”.

Torniamo ora all’ipotesi secondo la quale durante il desiderio avvenga un investimento dell’oggetto desiderato. Essa ha più possibilità:

1) sono investiti simultaneamente dal desiderio sia l’immagine mnestica sia la sua percezione: questo caso non da problemi (totale coincidenza). Ciò porta infatti alla scarica e dunque al soddisfacimento.

2) la percezione è in accordo con l’investimento del desiderio solo in parte (parziale coincidenza). C’è qui da precisare che le cariche percettive non sono mai di singoli neuroni ma sempre di complessi di neuroni. Sviluppando tale caso, possiamo immaginare che l’investimento del desiderio sia applicato ad un neurone A e ad un neurone B; quello percettivo invece è applicato ad un neurone A e ad un neurone C. Poiché non c’è totale coincidenza non abbiamo la scarica ma l’inizio dell’attività del pensiero, il cui scopo è riportare l’identità.

3) in presenza di un investimento di desiderio emerge una percezione non coincidente in nulla con l’immagine mnestica desiderata. Si cercherà di conoscere tale immagine e, se non è del tutto nuova, essa richiamerà altre immagini simili. Avremo dunque lo stesso risultato di prima (non coincidenza).

Finché le cariche coincidono, esse non forniscono occasione per l’attività di pensiero. Cariche non coincidenti invece danno via all’attività di pensiero, la quale può essere di due generi: o la corrente si dirige sui ricordi risvegliati sviluppando un’attività mnemonica senza scopo, oppure rimarrà concentrata sulle componenti presentatesi con la percezione mettendo in atto un’attività di giudizio allo stesso modo senza scopo. Il giudizio è un processo ψ, reso possibile dalle differenze tra l’investimento di un ricordo e un investimento percettivo simile ad esso. Dunque quando queste due cariche si trovano a coincidere un segnale biologico porrà fine al pensiero e ci sarà la scarica; quando invece queste due non coincidono, ci sarà un incremento nell’attività del pensiero che finirà solamente nel momento in cui si riuscirà a ristabilire la coincidenza. Scopo di tutti i processi di pensiero è l’identità.

Freud distingue anzitutto tra il “pensiero conoscitivo o giudicante[31] e il “pensiero riproduttivo[32]: il primo cerca di identificarsi con una carica somatica mentre il secondo con una carica psichica (esperienza vissuta). Inoltre il primo opera in anticipo sul secondo. C’è inoltre da aggiungere sul giudizio che esso si basa sulla presenza reale di esperienze somatiche, sensazioni e immagini mnestiche. Ad esempio, come vedremo, per quanto riguarda le esperienze sessuali, esse non avranno alcun effetto fin quando il soggetto non entra nella fase della pubertà. Il giudizio è originariamente una “identificazione di informazioni o investimenti provenienti da φ e dall’interno”[33].

 

  1. Il sogno

Nella parte finale del primo capitolo, Freud tratta del sonno e del sogno. Queste pagine sono molto vicine al settimo capitolo dell’”Interpretazione dei sogni”.

I processi primari ψ si ripresentano a noi quotidianamente nel sonno e nel sogno. Inoltre i processi onirici sono molto simili ai meccanismi rivelati nelle psiconevrosi. Possiamo considerare il sonno come un abbassamento del carico endogeno nel nucleo ψ; “durante il sonno l’individuo si trova in uno stato d’inerzia ideale, libero dalla sua scorta di Qη. Negli adulti questa scorta è raccolta nell’Io, e possiamo pensare che condizione e caratteristica del sonno sia il discarico dell’io”[34] (è infatti facilitato dopo aver mangiato o avuto un rapporto sessuale). Caratteristiche del sonno sono:

1) paralisi motoria

2) tale stato inizia con la chiusura di quegli organi di senso che possono chiudersi (bisogna qui affrontare il problema dell’attenzione, termine già apparso negli “Studi sull’isteria”, costante durante la veglia).

3) in esso avvengono i sogni (processi ψ)

Caratteristiche dei sogni:

1) privi di scarica motoria (nei sogni siamo paralizzati)

2) i nessi onirici sono in parte controsensi, in parte di poco senso, o anche privi di senso; questo avviene probabilmente in quanto il discarico dell’Io non è completo. Se lo fosse il sonno sarebbe senza sogni.

3) le rappresentazioni oniriche sono di natura allucinatoria; esse risvegliano la coscienza e vengono credute (caratteristica più importante). C’è qui il problema della regressione, concetto che proveniva probabilmente dal contributo di Breuer agli “Studi sull’isteria”, e che ha qui una prima trattazione. Lo troveremo anche nell’ “Interpretazione dei sogni”.

4) i sogni sono appagamenti del desiderio (Wunscherfϋllung), “cioè processi primari che seguono ad esperienze di soddisfacimento”[35]. Questa è forse la prima volta in cui Freud da del sogno tale definizione.

5) abbiamo cattiva memoria del sogno

6) la coscienza fornisce le qualità al sogno senza turbamento rispetto alla veglia.

I sogni “contengono in un guscio di noce tutta la psicologia delle nevrosi”[36]. L’analogia tra i sogni e le psiconevrosi deriva in particolare dalle caratteristiche 1 e 4, comuni a entrambi i fenomeni.

A proposito della paralisi che sperimentiamo durante il sogno, possiamo ricollegarci ad una lettera inviata da Freud a Fliess, nella quale viene narrato un sogno, riportato in modo più completo nell’ “Interpretazione dei sogni” in cui lo stesso autore ha sperimentato tale sensazione. Mentre saliva le scale vestito in modo sommario incontra una domestica che sta scendendo. È qui che inizia la sensazione di inibizione, il sentirsi paralizzato, inchiodato ai gradini. Ricollega subito il sogno alla notte precedente, in cui realmente aveva percorso quel tratto di scale con i vestiti un po’ in disordine. Nella lettera riporta che tale emozione non era di paura, bensì di eccitamento erotico. Questo sogno viene infatti collegato ai sogni di imbarazzo per la propria nudità. Nell’episodio reale non era poi così svestito, ma nel sogno tale sensazione viene ampliata e si prova un senso di denudamento maggiore; la vergogna che esso provoca ha un carattere sessuale. Tale sogno rientra, come vedremo in seguito nella categoria dei sogni tipici, in particolare in quelli di esibizione.

Da ciò capiamo che non è possibile identificare i processi primari con quelli inconsci (in seguito non la penserà allo stesso modo) e che “se, quando ricordiamo i sogni, noi indaghiamo sul loro contenuto, troveremo che il significato dei sogni come appagamento di desiderio è mascherato da una serie di processi ψ, tutti presenti nelle nevrosi e caratteristici della loro natura patologica”[37]. Il sogno è sempre la realizzazione di un desiderio impedito nella vita cosciente.

La coscienza delle rappresentazioni oniriche è discontinua. In mezzo sono infatti presenti anelli intermedi, che possono essere facilmente scoperti durante la veglia. Nel tentare di spiegare il motivo di tale discontinuità Freud cita qui il sogno dell’iniezione a Irma, che sarà esposto in modo molto esteso nell’ “Interpretazione dei sogni”. Tale sogno viene qui così riassunto:

[ho sognato che] R. ha fatto ad A. una iniezione di propile. Io vedo allora molto distintamente davanti a me trimetilamina, allucinata come una formula. Spiegazione: il pensiero che è simultaneamente presente [D] è la natura sessuale della malattia di A. Però tra questo pensiero e il propile [A] giace un’associazione sulla chimica sessuale [B], di cui ho discusso con W. Fl[liess] e durante la quale egli attrasse la mia attenzione specialmente sulla trimetilamina. Questa è quindi sospinta verso la coscienza [C] da entrambe le direzioni.[38]

Le sostituzioni avvengono anche nella veglia, ma la caratteristica tipica dei sogni è che in essi c’è una “facilità dello spostamento della Qη”[39] che porta alla sostituzione in questo caso di B con C superiore quantitativamente.

 

  1. Patologia isterica e rimozione

Nel secondo capitolo dell’opera Freud analizza le patologie, ponendo particolare attenzione sui meccanismi che provocano l’isteria. Negli stessi anni, Freud era infatti impegnato nello studio dei casi clinici sull’isteria, che gli porteranno moltissime scoperte e gli apriranno la strada verso lo studio del sogno e dell’inconscio.

Questo capitolo è molto vicino agli “Studi sul’isteria”, editi nel 1895, poco dopo la stesura del “Progetto”. Appare qui uno dei termini utilizzati in tale opera, il termine “sovraintese”[40] (ϋberstark), per indicare quelle rappresentazioni che emergono negli ammalati isterici, le quali conducono a dei risultati, quali liberazione di affetto, innervazioni motorie, impedimenti, che non possono essere né compresi né soppressi.

La coazione isterica è quindi:
1) incomprensibile
2) insolubile attraverso il processo del pensiero
3) incongrua nella sua struttura.[41]

Bisogna fare inoltre attenzione a non confondere la coazione isterica con la nevrosi semplice. Infatti la coazione diviene patologica quando persiste: ad esempio quando un sintomo (es. fobia del cavallo), provocato da un avvenimento reale (es. una caduta da cavallo), invece di scomparire a poco a poco, diviene perenne. Qui Freud espone la sua tesi, che ritroviamo anche negli “Studi” quando viene esposto il metodo psicoterapeutico, che può risolvere l’isteria. “Una coazione isterica viene risolta immediatamente se viene spiegata (resa comprensibile)”[42].

Es. prima dell’analisi A è una rappresentazione sovraintensa che penetra nella coscienza troppo spesso e provoca una reazione incomprensibile; dopo l’analisi si scopre una rappresentazione B che spiega la reazione. A era divenuto il sostituto di B e da ciò derivava l’incomprensione. Nell’isteria il simbolo sostituisce totalmente la cosa. A era divenuto il simbolo per B; per questo le conseguenze che esso provocava non venivano comprese. Qui Freud con “simbolizzazione” ha in mente la “sostituzione”, nel senso generale di “spostamento”. Per ogni coazione A c’è una rimozione B nella coscienza. B era stato rimosso dalla coscienza e per questo non si riusciva a capire il legame tra il sintomo provocato e la rappresentazione.

Il termine ‘sovraintenso’ designa una caratteristica quantitativa. È plausibile supporre che la rimozione abbia il significato quantitativo di una diminuzione di Q e che la somma di entrambe [coazione e rimozione] sia uguale al normale… È stato aggiunto ad A qualcosa che è stato sottratto a B. Il processo patologico è quello dello spostamento, come l’abbiamo imparato a conoscere nei sogni, e quindi un processo primario.[43]

Freud aveva infatti iniziato ad intuire l’analogia presente tra i sogni e le psicopatologie. Prima di analizzare la rimozione isterica, è importante notare che:

1) la rimozione ha luogo solo in relazione a rappresentazioni che suscitano dispiacere.

2) la rimozione si riferisce a rappresentazioni della vita sessuale.

L’affetto spiacevole provoca la rimozione. B viene così rimosso, escluso dal processo di pensiero. Questo è un processo difensivo avente origine nell’Io caricato che ha come effetto la rimozione isterica e dunque la coazione isterica. In realtà però B non viene mai totalmente eliminato; può sempre esserci una qualche rappresentazione che riesca a farlo riaffiorare. Tale risveglio non può essere impedito nemmeno nell’isteria, solo che nell’isteria ad essere investito (ovvero a divenire cosciente) è sempre A. Avviene infatti la simbolizzazione, spostamento su altri neuroni, la quale permette la rimozione isterica.

Note

[1] S. Freud, Le origini della psicoanalisi. Lettere a Wilhelm Fliess 1887 – 1902, Boringhieri, p.87

[2] Ivi, p.87

[3] Ivi, p.89

[4] Ivi, p.90

[5] Ivi, pp.95-96

[6] Ivi, p.99

[7] Peter Gay, Freud. Una vita per i nostri tempi, Bompiani, p.106

[8] S. Freud, Progetto per una psicologia, tr. It. in Opere, vol. 2, Boringhieri, Torino 1968, p.201

[9] Ivi, p.203

[10] Ivi, p.204

[11] Ibid.

[12] Ivi, p.206

[13] Ibid.

[14] Ivi, p.207

[15] Ivi, p.213

[16] Ivi, p.214; il corsivo è nel testo

[17] Ivi, p.215

[18] S. Freud, Le origini della psicoanalisi, op. cit., p.104

[19] S. Freud, Progetto, op. cit., p.216

[20] Ivi, p.218

[21] Ivi, p.221

[22] Ivi, p.225

[23] Ibid.

[24] S. Freud, Progetto, op. cit., p.227

[25] Ibid.

[26] Ibid.

[27] Ibid.

[28] Ivi, p.230

[29] Ivi, p.231

[30] Ibid.; il corsivo è nel testo

[31] Ivi, p.236; il corsivo è nel testo

[32] Ibid.; il corsivo è nel testo

[33] Ivi, p.237

[34] Ivi, p.240

[35] Ivi, p.243

[36] S. Freud, Le origini della psicoanalisi, op. cit., p.150

[37] S. Freud, Progetto, op. cit., p.244

[38] Ivi, p.245; il corsivo è nel testo

[39] Ibid.; il corsivo è nel testo

[40] Ivi, p.247

[41] Ivi, p.248

[42] Ibid.; il corsivo è nel testo

[43] Ivi, p.250; il corsivo è nel testo

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