Franca Sera
Ci sono tre testi principali nei quali Marx chiarisce i suoi fondamenti teorici nello studio dell’economia politica; questi tre testi aiutano a comprendere qual è l’orizzonte teorico e filosofico dentro cui anche Il capitale può essere collocato:
- L’introduzione del 1857, i “Grundrisse”
- La Prefazione a “Per la critica dell’economia politica” del 1859
- Il Poscritto alla 2° edizione tedesca del Capitale del 1873
Dopo la stesura, senza la pubblicazione, dei Grundrisse (“Elementi fondamentali della critica dell’economia politica”), Marx pubblicò nel Gennaio del ’59 “Per la critica dell’economia politica”, che può considerarsi come la prima parte della sua opera economica, Il capitale. Il capitale è una ripresa di ciò che è scritto in questo libro ed un tentativo di approfondimento ed ampliamento.
In primo luogo in questo libro c’è una novità fondamentale, che appariva solo nel 4° quaderno dei Grundrisse, e cioè che la critica dell’economia politica inizia con l’analisi della merce. All’altezza del 1859 Marx risolve il problema hegeliano del cominciamento della scienza, trovando il vero inizio della scienza economica nell’elemento della merce, che costituisce il nucleo e lo specchio di tutta la dinamica del Capitale: Marx con la merce trova un elemento che in potenza è tutto lo sviluppo del Capitale.
Nel testo del ’59 Marx aggiunge un’importante Prefazione, capolavoro anche dal punto di vista stilistico, in cui in poche e dense e pagine chiarisce i fondamenti della sua teoria, chiarendo in modo particolare la sua concezione della società civile ed il suo concetto di rivoluzione.
Nella Prefazione il 1° aspetto notevole è il debito riconosciuto verso la filosofia di Hegel, al punto che Marx arriva a retrodatare il nucleo originale del Materialismo Storico al 1843, quando scrive la Kritik (la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico), dicendo che la sua filosofia nasce lì. La conclusione a cui fin da allora era giunto è che le forme dello stato ed i rapporti giuridici non possono essere compresi per sé stessi, così come le forme della coscienza umana, ma devono essere ricondotti ad una radice che li produce e li alimenta.
In termini di filosofia politica, la radice è la società civile: nella visione di Marx, come lui stesso spiega nella Prefazione, il soggetto della storia umana non è più lo Stato o il Diritto, ma è la società civile, concetto chiave della politica moderna. Marx chiarisce subito cosa si deve intendere per società civile, ossia i rapporti materiali dell’esistenza, ed inoltre afferma che questo soggetto della storia moderna ha una sua anatomia, ossia l’economia politica.
Il 1° punto da mettere a fuoco per comprendere il pensiero di Marx è questo, ossia che Marx riprende da Hegel il concetto di società civile (concetto che ha una storia importante nella modernità, che ha la sua origine in Locke e che poi diventa un concetto fondamentale della filosofia politica moderna e contemporanea, come anche nel pensiero di Gramsci). Questa è una grande innovazione di cui Marx si fa espressione piena: rispetto alla prima teoria moderna della sovranità (come Machiavelli o Hobbes), qui cambiano i termini della considerazione politica grazie ad alcuni concetti come quello della società civile.
Il grande problema di Machiavelli era quello della formazione e conservazione dello Stato, perché lo Stato nella visione di Machiavelli è il vero soggetto della politica e della storia umana; per Hobbes invece la sovranità nasce dal patto tra gli individui che escono dallo stato di natura per conservare la propria vita e per fuggire lo spettro di una guerra generale, e vi sfuggono trasferendo la propria sovranità nel Sovrano e nello Stato. Quello di Machiavelli, Hobbes o di Bodin non è lo Stato Nazionale moderno, ma è lo Stato come soggetto della storia; affinché sorga lo stato moderno dev’essere inventata la figura della nazione.
Nella prima modernità politica c’è lo Stato come soggetto della storia e ci sono i sudditi, sono queste le due grandi categorie della prima modernità politica: la politica diventa totalitaria, la dimensione esclusiva della vita collettiva (tutto si accentra sulla figura del principe o del monarca). Il modello che viene chiamato “Machiavellismo” torna anche nella storia del marxismo, ossia la centralità persino esclusiva dello Stato come soggetto politico.
La modernità fin dagli inizi della rivoluzione borghese comincia a seguire un’altra strada rispetto a Machiavelli o Hobbes, e costruisce due concetti capitali che mancano ai primi teorici della sovranità:
- Il concetto di nazione, e per avere la nazione occorrono altri riferimenti fondamentali come Rousseau col suo Contratto Sociale, per il quale la nazione è la volontà generale
- Il concetto di società civile
Nazione e società civile diventano i grandi concetti della politica moderna oltre il concetto di sovrano e sudditi; per Marx la società civile diventa il vero soggetto della storia e il terreno della vita politica collettiva.
Nella visione di Marx l’anatomia della società civile è l’economia politica, ossia qualcosa che può essere scientificamente misurato con gli strumenti della scienza, ed essa diventerà generativa di un livello superiore a sé, di una sua proiezione che è il riflesso della sua dinamica, ossia l’intero edificio che Marx chiamerà “superstrutture”.
Lo Stato è una superstruttura, ma in questo c’è una novità: lo Stato è per Marx una sovrastruttura perché è un prodotto della vita collettiva e non ne è più il produttore, per cui Marx capisce che nella modernità il centro della vita politica sta altrove. Marx così risolve un problema che Hegel aveva intuito nella Filosofia del Diritto ma che non aveva sciolto, incentrando la dialettica politica nel rapporto tra Società Civile e Stato: Marx scioglie questo nodo e afferma che il centro della vita politica è la società civile, lo Stato è solo una superstruttura.
In Marx scompare la figura del suddito, ma nel suo pensiero ci sono gli sfruttati e gli oppressi; scompare la figura del popolo, vi è invece una società civile articolata in classi e gruppi sociali, che trovano una determinazione dentro il nuovo soggetto della storia, la società civile.
Marx scrive nella Prefazione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi per sé stessi e né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici nei rapporti materiali dell’esistenza, il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio dei francesi e degli inglesi del 18° secolo, con il termine della società civile, e l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica.
I rapporti hanno una radice che li spiega e li alimenta, la società civile, ma intesa diversamente da Hegel e dalla tradizione francese e inglese, ossia intesa come rapporti materiali dell’esistenza (perciò produzione sociale della vita). C’è una fisiologia della vita umana che è la società civile, ma questa fisiologia ha un’anatomia che le sta sotto e che è scientificamente osservabile.
Marx fornisce un chiarimento molto importante, spiegando qual è il risultato generale di tutta la sua ricerca e il filo conduttore che lo ha guidato e che lo guida: il risultato generale al quale arrivò e che gli servì da filo conduttore fu che “nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari e indipendenti dalla loro volontà, ossia entrano in rapporti di produzione che corrispondono ad un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali.” Marx in poche righe ci ha rivelato tutto il suo lessico, ossia forze produttive e rapporti di produzione.
L’oggetto dell’economia politica perciò è la produzione sociale della vita: la produzione della vita per Marx non è mai una “Robinsonata”, ossia qualcosa che si può fare individualmente, ma è fin dall’inizio un fatto sociale che presuppone un sistema e determinati rapporti di produzione. È rovesciata la logica del Contrattualismo Moderno, l’uomo non è artefice del sistema sociale ma è sempre impegnato nella sua produzione.
Marx scrive che i rapporti sono involontari e non sono prodotti dalla volontà individuale (come invece accade nel Giusnaturalismo, dove gli individui dalla natura passano all’artificio attraverso la loro volontà), ma involontari non significa che sono inconsapevoli: originario non significa privo di coscienza.
Marx scrive che i rapporti in cui entrano gli uomini corrispondono a determinati gradi della forza produttiva materiale. Sono rapporti tautologici, per cui se A è il livello della forza produttiva allora A è il livello dei rapporti di produzione. Marx ha così definito la struttura, il sistema, e ha definito la società civile come forma corrispondente (tutto si corrisponde perfettamente, c’è coerenza perfetta) di forze produttive e rapporti di produzione: al servo della gleba corrisponde il rapporto giuridico che lega il servo al suo signore.
Se ci si ferma qui si ha lo strutturalismo, ossia un sistema non dialettico, in cui c’è piena corrispondenza tra le parti e non c’è rivoluzione, dove forze produttive e rapporti di produzione sono coerenti: se ci sono lo stato borghese e i rapporti giuridici che garantiscono il potere della borghesia il sistema è fermo e non dialettico, non c’è negazione.
Ma Marx complica il suo discorso aggiungendo altre categorie, in 1° luogo parlando di superstrutture e distinguendole dal circolo della struttura (ossia la somma delle forze produttive con i rapporti di produzione): Marx scrive che l’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la base reale sopra la quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica (il diritto e lo Stato) e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale (filosofia, letteratura ecc…)
Le superstrutture sono subito specificate nel momento giuridico-politico e nelle forme della coscienza sociale; a questo punto Marx chiarisce il rapporto che c’è tra struttura e sovrastruttura, dandoci due risposte nella Prefazione:
- Nella prima risposta scrive che il modo della produzione materiale condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita.
- Nella seconda scrive che non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Marx qui non dice più “condiziona”, ma scrive “determina”: la struttura (l’essere) conferisce alla coscienza la sua determinazione.
Se la Prefazione del ’59 finisse qui, Marx ci avrebbe dato la definizione del sistema sociale, descrivendocelo come un sistema che potrebbe proseguire all’infinito, come qualcosa di eterno. Il problema è che tutti questi concetti che ci ha presentato si corrispondono perfettamente e si rispecchiano l’uno con l’altro: i rapporti di produzione corrispondono alle forze produttive, e la relazione tra i rapporti di produzione e le forze produttive determina a sua volta la superstruttura, senza fratture o differenziazioni nel sistema.
Marx subito dopo comincia a parlare di rivoluzione, dicendoci quale sia il destino di questo sistema, scrivendo che ad un certo punto le forze produttive entrano in contraddizione con i rapporti di produzione; questa contraddizione non avviene nell’anatomia o nella superstruttura, ma all’interno della struttura, ossia tra le forze produttive e i rapporti di produzione.
Da un lato ci sono le forze che producono la ricchezza e dall’altro ci sono i rapporti di produzione che garantiscono e regolano questa produzione e all’interno dei quali essa avviene, e ad un certo punto si genera una differenza fino ad arrivare alla contraddizione, e quando questa rivoluzione cresce subentra un’epoca di rivoluzioni sociali: le forze produttive ad un certo produttivo entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti dentro i quali esse si erano mosse; i rapporti si convertono nelle catene delle forze produttive, e solo allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale.
Ecco così come il sistema non è fermo, ma è dialettico e perciò entra nella dinamica della rivoluzione, ed anzitutto lo fa perché i due termini che costituiscono la struttura hanno tempi diversi. Marx è un pensatore del progresso: le forze produttive crescono, la produzione umana è destinata a moltiplicare i suoi prodotti, mentre i rapporti di produzione non crescono nello stesso tempo delle forze produttive ma hanno un tempo più lento.
Perciò anzitutto si differenziano sul piano del tempo i rapporti di produzione e le forze produttive, fino ad arrivare a contraddirsi, e questa contraddizione segna l’epoca della rivoluzione: non è l’antitesi delle classi che genera la rivoluzione, ma è la contraddizione oggettiva tra la capacità produttiva dell’umanità e i rapporti all’interno dei quali avviene la produzione.
A prima vista sembra che in questo discorso non siano presenti le classi, ma è evidente che le forze produttive e i rapporti di produzione siano espressione di classi diverse: nel caso del sistema feudale, la contraddizione non si può concepire come se la forza produttiva sia il servo della gleba e il rapporto di produzione sia il rapporto di signoria tra signore e servo. Se si considerano solo le classi interne al sistema signorile non si ha la contraddizione, ma bisogna ammettere che nel sistema signorile vi è una classe estranea, ossia la borghesia.
Se diciamo quindi forze produttive e rapporti di produzione è come se dicessimo classe borghese e rapporti di produzione feudale, per cui le forze produttive rappresentano la classe in ascesa; la stessa cosa accade nella società borghese poiché è il proletario la forza produttiva che entra in contraddizione con il rapporto produttivo borghese.
Marx sottolinea che chi studia le rivoluzioni deve tenere distinti diversi piani, ed in 1° luogo il mutamento delle superstrutture è una conseguenza del mutamento della struttura: con il mutamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura, e perciò diventa un mondo ideologico, giuridico e politico adeguato alla forza produttiva che spezza le catene del sistema.
Marx aggiunge poi qualcosa di molto rilevante: è indispensabile distinguere sempre tra lo svolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere misurato con la precisione delle scienze naturali, e le forme politiche, giuridiche, religiose e ideologiche che consentono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. La coscienza va spiegata con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive e i rapporti di produzione.
Marx ci die che il mutamento della struttura piò essere constatato con la precisione delle scienze naturali: c’è una dimensione misurabile nella rivoluzione, qualcosa di oggettivo; Marx poi però scrive che bisogna distinguere, perché la trasformazione delle superstrutture non può essere misurata. Se la superstruttura fosse soltanto l’espressione tautologica della struttura, anch’essa potrebbe essere misurata, mentre Marx tende a sottolineare il fatto che esse si differenziano e che lo sconvolgimento della superstruttura è non misurabile (per cui si potrebbe dire che uno è Natura e l’altro è Spirito).
La superstruttura si distingue in primo luogo perché l’uomo si rende cosciente e comprende il conflitto, per cui c’è un momento della coscienza; Marx però poi soprattutto scrive che le forme ideologiche consentono agli uomini di concepire e di combattere il conflitto: gli uomini nel conflitto rivoluzionario combattono perché non sovrappongono in maniera utopistica i loro valori al processo oggettivo della rivoluzione, ma lo combattono.
L’uomo è cosciente e combatte, ma si muove sulla linea della storia: la linea della sua azione è segnata dalla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, e lui deve muoversi nel senso della storia.
Dalla Prefazione del ’59 Marx trae due conseguenze di importanza capitale, che in maniera geniale Gramsci riprese cogliendone l’effettiva importanza teorica:
- La prima conseguenza che Marx ne trae è che una rivoluzione non accade mai se il sistema non ha sviluppato tutte le energie interne: Marx scrive che una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso, nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.
Marx qui scandisce i due tempi di una rivoluzione: un 1° tempo riguarda le forze produttive, e perciò perché un sistema perisca esso deve aver sviluppato tutta la sua capacità produttiva fino alla conseguenza estrema; il 2° tempo riguarda l’avvento di nuovi rapporti di produzione. Ad esempio, prima il mercato mondiale e poi l’abolizione del lavoro salariale (ossia il comunismo).
Quando Lenin fa una rivoluzione in Russia e instaura il potere dei Soviet, fa una guerra di movimento: in Lenin la guerra di movimento è necessaria perché la borghesia non porta a compimento il suo dovere, e perciò Lenin non è il teorico della rivoluzione prima del tempo, ma egli tiene tutta la linea della filosofia della storia di Marx cambiando però idea sul fatto che la borghesia non giunge al pieno sviluppo della sua forza produttiva, e perciò la storia che Marx ha indicato dev’essere prodotta dall’azione politica (la storia non si fa da sola).
- Marx ci dice poi che l’umanità non si pone mai quei problemi che non può effettivamente risolvere: la soluzione deve già essere l’orizzonte del problema (questa in fondo è la dialettica hegeliana) Marx scrive che perciò l’umanità non può porsi se non quei compiti che può risolvere; questa seconda tesi svolge ciò che Marx ci ha detto nella prima tesi: la rivoluzione diventa attuale soltanto quando la rivoluzione è già dentro la sua soluzione, e la rottura è già dentro il nuovo ordine perché la borghesia portando alle estreme conseguenze lo sviluppo delle sue forze produttive ha già costruito le condizioni per la rottura della propria forma sociale.
La conclusione che si comprende meglio è in quella celebre formula per cui l’epoca borghese è l’ultima forma antagonistica, e che con la borghesia finisce quella che in questo testo Marx chiama la “preistoria” della società umana. Il passaggio dal sistema borghese a quello comunista parte come il passaggio da quello feudale a quello borghese, ma al contempo è passaggio da preistoria a storia e perciò da oppressione a non-oppressione: è un passaggio che ha un carattere storico e meta-storico, è un salto oltre la storia.
La rivoluzione borghese avviene dentro la regola della storia umana mentre la rivoluzione proletaria porta l’uomo oltre la regola della storia umana. Questa differenza vi è perché la rivoluzione proletaria può mantenere la promessa della rivoluzione borghese, poiché mentre la borghesia ha mantenuto lo sfruttamento e perciò la divisione tra produzione e consumo, tra teoria e prassi, il proletario è invece la figura che riscatta l’intera umanità poiché consuma ciò che produce e unisce ciò che fin dalle origini l’uomo ha sempre separato.