La Logica di Hegel secondo Georges Noël

Carlo Furzi, Massimiliano Polselli

Questo lavoro deve servirci a posizionare la logica nell’insieme delle scienze filosofiche. Compito arduo perché, per far ciò, si deve poter dare una divisione (Einteilung) generale della filosofia nelle sue diverse branche. E questa divisione presuppone una comprensione del tutto che, per definizione, fa ancora difetto all’inizio dell’esposizione sistematica. Di nessuna filosofia, d’altronde, si può dare una rappresentazione preliminare e generale che sia soddisfacente, perché il contenuto e l’articolazione di questa rappresentazione anticipata non si giustifica, in fin dei conti, che attraverso la genesi sistematica, progressiva e necessaria della stessa esposizione scientifica.

La filosofia è, infatti, la scienza dell’Idea, come vedremo immediatamente, e solo il tutto della scienza è la vera rappresentazione (Darstellung) dell’Idea in sé stessa e non soltanto la sua presentazione (Vorstellung) schematica, atta cioè a soddisfare i bisogni della nostra intuizione o della nostra immaginazione. Pertanto la suddivisione della filosofia in scienze particolari non può essere realmente “concepita” o “compresa” (begriffen) – e dunque non soltanto “rappresentata” – che a partire dall’Idea stessa nel suo sviluppo totale. Pertanto, come noi la presentiamo ora, questa divisione non è ancora il prodotto dell’auto-partizione dell’Idea – come sarà invece nei §§ 244 e 376 -, ma soltanto un qualcosa di anticipato, una classificazione astratta dei diversi momenti dell’Idea. Quanto al concetto proprio dell’Idea, anch’esso è soltanto anticipato, esattamente come la divisione che ne deriva, perché sarà proprio e solo nel corso della Logica, e precisamente al § 212, che si produrrà il concetto dell’Idea. Da ciò segue che, qualora si voglia offrire una classificazione delle scienze filosofiche e collocarvi all’interno la scienza della logica, si deve necessariamente iniziare con il chiarire questo termine “Idea”, “Idea assoluta”, per quanto ovviamente sia possibile fare al di fuori di una stretta genesi sistematica.

Per prima cosa, per cogliere la portata speculativa dell’“Idea” hegeliana, ci si può riferire al Nοῦσ di Anassagora o all’Idea platonica o, ancora, al Logos stoico. Si può anche pensare alla terza Idea kantiana, l’Idea teologica della Ragion pura, ma a condizione di notare che, in Hegel, il fossato tra l’Idea noumenale e il fenomeno è livellato al punto che l’Idea, contrariamente a ciò che accade in Kant, è per il filosofo di Stoccarda sovranamente oggettiva ed è anche, come in Cartesio e soprattutto in Spinoza, l’oggetto proprio del Cogito, per quanto esso si espanda alle dimensioni del pensiero puro o dell’intelletto divino. L’Idea è, dunque, l’intelligibilità di ogni cosa, il pensiero che anima tutto e di cui tutto è un riflesso, una partecipazione. È il tutto nella sua intelligibilità. L’Idea, è ogni cosa in quanto forma intelligibile trasparente per il pensiero, ed è questa stessa trasparenza. Essa è l’Eἶδος, l’Iδέα, la “Visione” nel triplo senso soggettivo, oggettivo e assoluto di ciò che vede, di ciò che è visto e dell’atto stesso del vedere. Per meglio dire, l’Idea, come suggerisce lo stesso Hegel, è la Nόησις νοήσεως di Aristotele, il pensiero che si pensa e che, pensandosi, pensa tutto ciò che è pensabile, vale a dire ogni cosa. È ad essa che sono sospesi i cieli e la terra, perché al fondo di ogni cosa c’è il pensiero e fuori di esso (ma non esiste un fuori) tutto il resto (ma non esiste un resto) è “errore, confusione, opinione vana, agitazione, volontà arbitraria e apparenza passeggera: solo l’Idea assoluta è Essere, vita imperitura, verità che si sa essa stessa e ogni verità”. Ora, se anticipiamo i §§ che vanno dal 213 al 215 e il § 236, vediamo come l’Idea si rivela essere il pensiero puramente e semplicemente identico a se stesso, e ciò, nello stesso tempo, sia in quanto attività che consiste, al fine di essere per sé, nel porre se stessa davanti a sé (sich gegenüber) sia, d’altro canto, nel non essere che presso se stessa. In altri termini, l’Idea è prima di tutto un universale, una Totalità dalla quale, in poche parole, non si esce mai. È il Pensiero che, qualunque cosa sia e qualunque cosa pensi, s’afferma e si conferma sempre come Pensiero e così rimane identico a se stesso. L’Idea, colta in quella purezza e in quella astrazione attraverso le quali è pura intelligibilità che si coglie come intelligibilità pura, è l’oggetto della Scienza della Logica, che è pertanto la scienza dell’Idea come Logos universale o, come dice Hegel, dell’Idea in e per sé, con la duplice sfumatura di astrazione e di purezza ma anche di totalità e di assenza di unilateralità, implicita nell’espressione “in-e-per-sé”. Ma, a ben guardare, in questa definizione dell’Idea considerata come il pensare identico a se stesso, c’è ben più della semplice universalità logica del Pensiero. Infatti, come verrà verificato più di una volta in seguito, non c’è in Hegel una vera affermazione se non attraverso la prospettiva della negazione della negazione. Allo stesso modo in cui l’Infinito hegeliano, per esempio, non è nient’altro che la negazione di quel nulla che è il Finito, così l’identità con sé che è il Pensiero, altro non è se non la negazione della sua differenza con sé.

Nell’espressione “identico con sé” (e specialmente nella preposizione “con”) si trova così descritto un simile processo di identificazione con sé: il Pensiero è identico a sé perché differisce da sé e nega questa differenza. La distanza da sé a sé implicata da questa identificazione con sé costituisce l’Idea come Natura e, per questo, fonda la Filosofia della Natura, che è, nella terminologia hegeliana, la scienza dell’Idea nel suo essere-altro, cioè dell’Idea nella sua alterità, nella sua differenza con sé, nel suo allontanamento da sé, nella sua particolarità nel senso etimologico di “partizione”, “separazione”. Quanto all’atto stesso dell’identificazione con sé proprio del Pensiero, atto implicato dal “sé” dell’espressione “identico con ”, quanto cioè al processo di ritorno a sé fuori dalla differenza e dalla coincidenza attiva con sé, esso è, invece, costitutivo dell’Idea come Spirito e fonda la Filosofia dello Spirito, vale a dire la scienza dell’Idea che, dal suo essere-altro, ritorna in sé. È la scienza dell’Idea non più nella sua universalità logica né nella sua particolarità naturale, ma nella sua singolarità spirituale di atto che dispone sovranamente di sé.

Tali sono dunque, a livello di una rappresentazione anticipatrice, le grandi divisioni della scienza filosofica. Il risultato che ci interessa in primo luogo in questa classificazione è che la Logica può essere definita provvisoriamente come la scienza dell’Idea “in e per sé”. Questo modo di vedere ci richiede, però, qualche nota.

Come indicato nel corpo del paragrafo, le differenze fra le diverse scienze filosofiche particolari non sono che determinazioni dell’Idea stessa: esse corrispondono ai differenti momenti dell’Idea. È dunque l’Idea stessa e soltanto l’Idea che si rappresenta (sich darstellt) in quei differenti elementi. In effetti l’unica Idea della filosofia si rivela essere il pensiero puramente e semplicemente identico con sé (è l’Idea-Logos) e questo, nello stesso tempo, – e qui si trova esplicitato ciò che è contenuto nell’espressione “pensiero identico con ” – come l’attività che consiste, al fine di essere per sé (è l’Idea-Spirito), nel porre se stessa di fronte a sé e, in questo altro (è l’Idea-Natura), a non essere che presso di (è l’Idea logica posta dallo Spirito nella sua identità e nella sua continuità assolute con sé).

Pertanto, il Logos, la Natura e lo Spirito non sono che tre momenti parziali e passeggeri dell’unica Idea assoluta la cui totalità si riflette in ciascuna di queste tre Idee determinate, Idee che, evidentemente, riprendono le Idee del primo Schelling e, oltre Schelling, le tre Idee kantiane della ragione: Dio, il mondo e l’anima (cfr. § 15). Da allora, non c’è nella natura qualcosa d’altro dall’Idea che potrebbe essere conosciuto ma unicamente l’Idea – la stessa Idea del Logos -; esclusivamente, nella natura, l’Idea è nella forma del suo essere-altro o, più precisamente, della sua esteriorizzazione o della sua alienazione (Entäusserung). Ugualmente, nello Spirito, non c’è nient’altro che l’Idea e neppure un’altra Idea che si presenti; è la stessa Idea, ma la stessa Idea in quanto essente per sé e diveniente in e per sé. Che significa tutto ciò?

Abbiamo visto che il Logos è l’Idea in e per sé e che così la Logica è la scienza dell’Idea in e per sé, cioè la scienza dell’Idea pura, della pura intelligibilità nell’astrazione del suo solo pensiero di sé, la scienza dell’Idea che non ha ancora né la parzialità di un in sé-naturale, né quella di un per sé spirituale, ma che dimora nell’imparzialità del suo in-e-per-sé logico e così non ha altra parzialità che la sua stessa imparzialità. Il culmine di questa scienza della logica, è, dunque, l’Idea assoluta in quanto Idea logica, vale a dire in quanto Idea che si pensa essa stessa come Idea pura al di fuori del tempo e dello spazio, dell’uomo e della storia. In questo movimento e attuazione di sé si trovano certamente già iscritti in filigrana il momento naturale dell’opposizione di sé a sé e il momento spirituale del ritorno attivo a sé. Invero, in quanto Pensiero che si pensa, esso è, allo stesso tempo, il soggetto (il Pensiero), l’oggetto (si) e l’avvenimento assoluto (pensa) di quest’atto del pensare. Ma nella Logica, questi due altri momenti dell’Idea, il momento naturale e quello spirituale, non sono pensati che, precisamente, nella loro universalità logica, nella loro idealità pura: il primo in quanto oggettività e il secondo in quanto soggettività o concetto dell’Idea assoluta. Il Concetto, l’Oggetto e l’Idea sono di fatto i tre momenti logici dell’Idea assoluta. La Natura e lo Spirito non sono allora nient’altro che l’esistenza reale (real), autonoma e, in certo modo, separata di questi due aspetti, soggettivo e oggettivo, dell’Idea assoluta, ai quali si rende così piena giustizia. Come l’Idea logica è l’Idea assoluta esistente liberamente, o meglio allo stato libero, nel suo momento universale di pura intelligibilità che comprende essa stessa in e per sé, la Natura è la stessa Idea assoluta che esiste liberamente nel momento particolare e contraddittorio della sua oggettività o del suo in-sé, cioè nella coincidenza immediata e statica con sé in cui si aliena la pura mobilità dell’Idea, e lo Spirito è la stessa Idea assoluta che esiste liberamente nel momento singolo del suo per-sé, ovvero nella sua attiva liberazione da sé e nel suo ritorno soggettivo a sé grazie alla posizione di sé per sé.

Ciò nondimeno, al culmine del suo sviluppo, lo Spirito, in quanto Spirito assoluto, coglie ancora una volta e in modo nuovo la sua pura intelligibilità ideale attraverso l’arte, la religione e la filosofia e torna così, percorse le vicissitudini della libertà umana e della storia universale, all’apprendimento dell’Idea assoluta nell’in-e-per-sé e della sua trasparenza logica a se stessa. È per questo che lo Spirito non è soltanto l’Idea in quanto essente per sé, ma anche l’Idea in quanto diveniente in sé e per sé. Ecco che allora il sistema enciclopedico delle scienze filosofiche si chiude con il ritorno al suo punto di partenza, cioè alla scienza della logica come scienza dell’Idea pura in e per sé, con la differenza, tuttavia, che quell’Idea logica che all’inizio non era ancora che la possibilità di ogni cosa, si avvera essere, al termine del cammino, la realtà sostanziale di ogni cosa, la fine ultima nella quale si cancella, a profitto dell’in-e-per-sé dell’Idea logica assolutamente universale, la doppia unilateralità, oggettiva e soggettiva, della Natura (Idea in sé) e dello Spirito finito (Idea essente per sé e diveniente in e per sé).

Il fatto che né il Logos, né la Natura, né lo Spirito siano altra cosa rispetto all’Idea assoluta si traduce nella fluidità e nella continuità del loro passaggio gli uni negli altri. La verità del sistema è, in effetti, l’unica Idea assoluta. Certo, essa non esiste astrattamente al di fuori delle tre sfere del Logos, della Natura e dello Spirito, ma nondimeno essa trascende ognuna di queste come un momento astratto di sé. Questa trascendenza dell’Idea assoluta in rapporto alle tre Idee particolari nelle quali pure si presenta, si manifesta proprio nel passaggio necessario da una sfera all’altra. Sia che si tratti del Logos, della Natura o dello Spirito, tale determinazione, nella quale l’Idea si mostra, è dunque e nello stesso tempo, malgrado l’alterità o la distinzione dell’elemento particolare che essa costituisce, un momento fluido (fliessendes), ossia un momento transitivo che, man mano che si compie e si totalizza, scorre e passa nel successivo. È per questo che ogni singola scienza (la Logica, la Filosofia della Natura o la Filosofia dello Spirito) non ha per vocazione esclusivamente la conoscenza del suo proprio contenuto (il Logos, la Natura o lo Spirito) come un oggetto che è (seienden), ossia come un oggetto marcato dall’immediatezza, l’immobilità e l’identità astratte dell’Essere: invero, essa consiste anche nella conoscenza di come, immediatamente, avvenga in ciascuno di questi contenuti il passaggio a una sfera superiore. La Logica non conosce quindi soltanto il Logos in quanto Logos, ma anche il Logos come passaggio dal Logos alla Natura (§ 244); analogamente, la Filosofia della Natura non conosce soltanto la Natura in quanto Natura, ma anche la Natura come passaggio dalla Natura allo Spirito (§ 376) e, ancora, la Filosofia dello Spirito non conosce soltanto lo Spirito in quanto Spirito, ma anche lo Spirito come ritorno dello Spirito assoluto al pensiero puro del suo principio logico originale (§ 574).

In conseguenza a quanto appena detto, la rappresentazione che suddivide in tre parti distinte la totalità della scienza ha questo di non corretto: che pone le parti o scienze particolari le une giustapposte alle altre, senza indicare la loro fluidità in seno all’unica Idea totale, come cioè se si trattasse soltanto di parti immobili che poggiano sostanzialmente su se stesse, allo stesso modo in cui, in un genere, le specie diverse hanno la loro sostanzialità propria e autosufficiente.

La Logica è la scienza dell’Idea in e per sé. Abbiamo visto che l’espressione “in e per sé” designa allo stesso tempo l’assenza di unilateralità e, attraverso questa, l’astrazione dell’Idea logica come intelligibilità che comprende se stessa. È questo aspetto di astrazione che è messo per primo in evidenza quando si dice che la Logica è la scienza dell’Idea pura. È la scienza dell’Idea in quanto questa è il Pensiero di sé e soltanto di sé e non la scienza dell’Idea in quanto essa si realizza nelle forme più concrete della Natura e dello Spirito. La “purezza” che qui è in questione ha, pertanto, un significato originariamente privativo, nel senso che la Logica viene a indicare la scienza dell’Idea nell’elemento astratto del pensiero o, meglio, del pensare (des Denkens): non riguarda che la pura forma della verità in quanto tale, o il pensare del pensare. Tuttavia, se la Logica è sicuramente la scienza dell’Idea pura, cioè dell’Idea che si muove nell’elemento o nell’ambiente astratto del pensare come tale, resta il fatto che è l’Idea che è presente in questo elemento, che è essa che ci si mette, e solo così si dispiega effettivamente in essa la ricchezza del pensare. Quindi, per quanto possa apparire vera, la definizione secondo cui la Logica è la scienza del pensare, delle sue determinazioni e delle sue leggi rischia nondimeno di velarne la ricchezza se, in questa definizione, non si presta attenzione che a un solo pensiero il quale, considerato astrattamente in quanto tale, è soltanto l’elemento o la determinazione generale nella quale è l’Idea in quanto logica. Ma, ripetiamolo, in questo elemento astratto, è l’Idea che si trova e che si mette. Questo è vero perché l’Idea logica, sebbene abiti nell’elemento astratto del pensare, rimane comunque e sempre sovranamente concreta. Essa è il pensare, non in quanto pensare formale – come nella logica formale tradizionale – ma in quanto totalità in sviluppo di determinazioni e di leggi proprie che il pensare dà a se stesso dispiegando, determinazioni e leggi che esso non ha e che quindi non trova in se stesso come cosa nota, ma che genera lasciando dispiegare in sé la ricchezza in movimento e vitale dell’Idea. Benché sia la forma assoluta della verità e anche la pura verità, il Logos non è dunque, nonostante la sua astrazione e la sua purezza, una entità puramente e semplicemente formale, sprovvista di contenuto. Non solamente il Logos è la verità in e per sé e quindi la forma assoluta della verità, ma esso dispiega anche, secondo la totalità del suo sviluppo, la ricchezza di tutte le determinazioni che formano il contenuto del pensiero e la cui logica speculativa è la scienza sistematica. Se dunque il Logos è astratto in rapporto alle realtà naturali e spirituali di cui è pur sempre essenza intelligibile, esso è nondimeno sovranamente concreto, non solo perché è il fondamento intelligibile di queste realtà, ma anche e soprattutto perché è in se stesso la vita e il movimento del Pensiero che si pensa.

Dovremo tenere bene in mente tutto questo all’inizio della logica propriamente detta, ovvero al § 86.

L’Essere puro, che è la prima categoria della logica, vi sarà infatti presentato come “puro pensiero” (reiner Gedanke). A questo stadio iniziale è evidentemente la purezza o l’astrazione del pensare immediato e originale ad essere sottolineata e non già il fatto che questa immediatezza incoativa sia quella del pensare. Per questo Hegel si serve, nel § 86, del termine Gedanke (“Pensiero”), che designa il prodotto del pensare – e dunque l’oggetto della logica – in ciò che esso ha di più formale e di più indeterminato. Non sarà che in seguito, nel corso progressivo e soprattutto finale della logica, che si rivelerà la ricchezza concreta di questo pensiero e che il Logos si manifesterà non più soltanto come

“puro pensiero” ma anche come totalità pensata e pensante dell’Idea assoluta, come universo concreto del Pensiero che pensa se stesso. A dispetto della sua importanza, la bella Nota di questo § 19 non necessita di un commento dettagliato, pertanto ne abbiamo riportato i passaggi più significativi, secondo il nostro punto di vista, nel commento del corpo del paragrafo.

La Logica è la scienza della logica, ossia del Logos o dell’Idea pura in e per sé. Vedremo nel § 83 che, dal punto di vista del contenuto, la logica si divide in tre parti nelle quali si espone la totalità delle determinazioni del pensiero. Ma, in ogni momento della logica, la logicità stessa ha, secondo la forma, tre lati o aspetti: α) l’aspetto astratto o rilevante per l’intelletto (verständige); β) l’aspetto dialettico o negativamente-razionale; γ) l’aspetto speculativo o positivamente- razionale. Questi tre aspetti della logica saranno studiati nei tre paragrafi seguenti. Prima di iniziare la loro lettura, ci si soffermerà qualche istante sulla Nota del § 79.

I tre lati o aspetti formali della logica non costituiscono tre parti nelle quali si suddivide il contenuto totale dell’Idea logica. Sono piuttosto momenti di completa realtà logica (jedes Logisch-Reellen), cioè di ogni concetto logico e di tutto ciò che è vero in generale. Essendo il primo di questi momenti, il momento dell’intelletto astratto, ovvero quello della separazione delle determinazioni del pensiero – come vedremo tra breve – è possibile, afferma Hegel, porre anche tutti questi tre momenti formali sotto il segno di un tale isolamento astratto e tentare allora di far corrispondere ciascuno di questi momenti a una parte determinata della logica, ma, così facendo, essi non verrebbero più considerati nella loro verità, come cioè aspetti formali onnipresenti, risultando, al contrario, privi del loro significato proprio.

Notiamo infine che l’indicazione qui fornita delle determinazioni formali della Logicità (§§ da 79 a 82), esattamente come quella circa la divisione del contenuto della logica (§ 83), è soltanto anticipata e storica, allo stesso titolo della classificazione delle scienze filosofiche offerta nel § 18. Detto altrimenti, si fa qui soltanto inventario (ίστορία) del pensiero senza mostrarne ancora la necessità processuale e immanente.

α) In quanto INTELLETTO astratto, il pensare (o il pensiero) si attiene alle determinazioni isolate e fisse del Logos. Esso poggia sulla determinazione rigida e rigidamente separata, e dunque sul suo carattere differenziato (Unterschiedenheit) in rapporto ad altre determinazioni; ed è una tale entità astratta, una tale astrazione delimitata (beschränktes Abstraktes) che vale per l’intelletto come avente per sé consistenza e quindi come essente per sé. É cosi, per esempio, che nella triade dell’Essere, del Nulla e del Divenire, l’intelletto si aggrappa a ciascuna categoria presa isolatamente, come se avesse una verità in se stessa e per sé sola e si sforza di preservarla dalla contaminazione derivante dal rapporto con le altre categorie. Non si dovrebbe, pertanto – malgrado le espressioni hegeliane che ci invitano a farlo – considerare questo “intelletto” da un punto di vista soltanto soggettivo ed esteriore. L’intelletto è, invero, un momento formale del pensiero logico come tale e non soltanto un aspetto della nostra riflessione soggettiva. Il pensare logico è dunque esso stesso oggettivamente intelletto, nella misura in cui comincia a dispiegare discorsivamente le determinazioni del pensiero sotto forma di categorie rigide, separate astrattamente le une dalle altre.

β)        Il secondo aspetto formale della Logicità è il MOMENTO DIALETTICO o NEGATIVAMENTE-RAZIONALE. È il momento, presente ovunque nella logica, nel quale le determinazioni finite dell’intelletto, cioè le categorie logiche isolate le une dalle altre e astrattamente opposte le une alle altre, si sopprimono da sole, per il loro movimento proprio, e passano nelle loro determinazioni o categorie opposte. É così, per esempio, che il positivo, determinazione finita che l’intelletto mantiene astrattamente in disparte dal negativo, si rinnega esso stesso con il suo movimento immanente e passa nel suo opposto, il negativo.

Questo aspetto della Logicità è chiamato “dialettico” perché in esso è messo in evidenza il momento intermediario o transitivo (διά), quello attraverso il quale il Logos (λόγος) passa da una categoria all’altra e le attraversa tutte. La Nota precisa ancora il senso propriamente hegeliano di tale vocabolo. Il momento dialettico è chiamato anche “negativamente-razionale” perché nella misura in cui, all’opposto dell’intelletto separatore, la ragione qui si presenta come capacità di cogliere l’unità concreta dei contrari, il suo lavoro comincia negativamente con la dissoluzione delle determinazioni fisse e la loro transizione nei loro opposti.

  • Se l’intelletto si impadronisce esso stesso del momento dialettico e, separandolo dall’intelletto stesso (primo momento) e dalla ragione (terzo momento), lo considera separatamente per sé, vale a dire come un momento isolato, allora il dialettico (das Dialektische) costituisce, soprattutto se lo si applica a concetti scientifici, lo scetticismo coltivato nell’Antichità. Diviso dall’intelletto che esso presuppone e dalla ragione positiva nella quale sfocia, il momento dialettico non è più, in effetti, che la negazione astratta di ogni determinazione di pensiero. Lo scetticismo, che contiene così la negazione pura e semplice come risultato del dialettico astratto, è quindi quel momento del pensiero razionale nel quale la dialettica è invocata per contestare ogni posizione chiusa e rimettere in questione il potere abituale del conoscere stesso. Esso richiama, ancora vuota, una conoscenza superiore – e questo è il suo merito – senza però contenerla in modo positivo.
  • La dialettica – ed è questa una delle sue accezioni più ricorrenti – è considerata da coloro che la praticano abusivamente alla stregua di un’arte estrinseca e sofistica che, in modo arbitrario, genera confusione nei concetti determinati producendo in essi una semplice apparenza di contraddizioni tale che, agli occhi del buon senso popolare, non sono affatto queste determinazioni concettuali a essere screditate, ma piuttosto quel certo scetticismo superficiale e soggettivo che si diverte a trastullarsi con presunte contraddizioni. In questo contesto, è dunque l’apparenza (ingannatrice) di contraddizioni che appartiene al Niente e non i concetti determinati nei quali la sofistica pretende di scoprire queste contraddizioni e, invece di essere la dialettica, così intesa, a fornire la verità, è piuttosto l’intelletto ad essere nel vero, poiché conserva fermamente i suoi concetti determinati. Inoltre – ed è questo il suo peggior decadimento – spesso la dialettica non è stimata essere nulla più che un sistema soggettivo di bilanciamento: un’altalena di razionalizzazioni sprovviste di qualsiasi contenuto consistente e costretta, per questo, a dissimulare il proprio vuoto sotto la maschera di uno spirito acuto che genera tali ragionamenti. Nell’epoca moderna, il grande merito di Kant consiste nell’aver restaurato la dialettica in un senso oggettivo. Kant ha infatti mostrato che certe determinazioni di pensiero sono, per la loro stessa natura, necessariamente contraddittorie e capaci, qualora la ragione le applichi alle cose in sé, di inchiodare per questo a invincibili illusioni; disgraziatamente egli ne ha tratto però la conclusione che è la Ragion pura che è inferma e impotente e non già queste stesse determinazioni finite. – Nella sua determinazione propria e autentica, la dialettica è piuttosto, contro ogni dialettica soggettiva e contro la dialettica kantiana, la natura propria e vera delle determinazioni dell’intelletto, delle cose e del finito in generale, natura immanente attraverso la quale queste determinazioni, queste cose e il finito in generale sopprimono essi stessi la loro non-verità e passano nel loro contrario al fine di formare, con esso, una unità concreta e vera. La dialettica si coniuga, così, alla riflessione, e tuttavia, al contempo, se ne distingue. La riflessione, infatti, non è nient’altro che un mettere in rapporto, in maniera esteriore ed estrinseca, le determinazioni, le quali rimangono così astrattamente ripiegate su se stesse; essa è cioè, per prima cosa, soltanto il semplice superamento (Hinausgehen) della determinazione isolata e una messa in relazione di quest’ultima per mezzo della quale essa è posta in rapporto a un’altra pur essendo mantenuta nel suo isolamento. È così, per esempio, che la riflessione mette in rapporto il positivo con il negativo, senza cioè contestare che il positivo sia in se stesso e per se stesso puramente e semplicemente il positivo. La dialettica, al contrario, è quel superamento immanente in cui la natura unilaterale e limitata delle determinazioni finite dell’intelletto si presenta per ciò che essa è, ossia come loro negazione. Ogni determinazione finita e limitata è pertanto, proprio perché finita e limitata, una negazione. L’unilateralità delle determinazioni dell’intelletto e il loro carattere limitato sono dunque ciò che, dall’interno, le nega e le spinge all’annientamento. Tutto ciò che è finito ha così, per propria natura, quella di esibire la negazione attraverso la quale esso è soltanto finito, limitato, determinato e quindi negato; la sua natura propria di finito è, pertanto, di avere una fine, di finire e, infine, di esprimersi da solo. Così intesa, la dialettica è quel movimento immanente attraverso il quale le determinazioni finite si sopprimono e passano nei loro opposti: il positivo nel negativo, il Finito nell’Infinito, ecc. In quanto assicura il superamento di ogni categoria finita, il dialettico costituisce, allo stesso tempo, l’anima motrice (die bewegende Seele) della progressione scientifica e il solo principio attraverso il quale una connessione e una necessità imminente si introducono nel contenuto della scienza: è infatti solo per mezzo di un superamento esso stesso immanente, e non già mediante una riflessione estrinseca, che una transizione da una determinazione ad un’altra è assicurata; alla dialettica immanente della Cosa stessa corrisponde così la dialettica, pur sempre immanente, dello sviluppo della scienza.

Infine, a livello più generale, è nella dialettica come auto-soppressione e trasgressione immanenti alle determinazioni finite che risiede la vera elevazione, l’elevazione non esteriore, al di sopra del finito. Troppo spesso il pensiero metafisico si è elevato al di sopra del finito in modo arbitrario o esteriore; nella vera dialettica, invece, il finito si eleva da solo, si potrebbe dire, al di sopra di se stesso e passa così alla sua più alta verità.

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