Musil: una lettura del «Vinzenz»

Pasquale Amato

Una lettura del Vinzenz[1] non può prescindere dal riferimento costante alla tematica dell’“uomo senza qualità” sviluppata nel noto romanzo di Musil e affrontata anche nel dramma I fanatici. La farsa appare, infatti, come una sintesi drammaturgica del complesso romanzo musiliano.

Una possibile interpretazione può prendere il via da una notazione di Aloisio Rendi: «Insieme, Vinzenz e Alfa sono la coppia superiore […] dello spirito: egli è l’intelletto, essa è l’anima»[2].

Teniamo presente questa similitudine e, arrischiando una semplificazione, diciamo che le interazioni tra intelletto e anima (cioè tra Vinzenz e Alfa) determinano in un individuo le modalità di partecipazione alla vita comunitaria.

Accertata la propria inadeguatezza alla realtà del sistema sociale, Musil esprime la necessità di un momento, anche doloroso, di negazione della propria anima, quindi della componente emotiva, attraverso cui poter acquisire la consapevolezza dei limiti oggettivi entro i quali operare un’analisi valutativa, o anche rivalutativa, di tale realtà.

Ed ecco la rievocazione di questo momento di negazione e di scelta:

 

vinzenz (osservandola)  Sei cambiata pochissimo. Hai un’espressione un po’ diversa, oggi, ma tanto in te è sempre artificiale. Dio del cielo, che ragazza eri mai! Che splendida ragazza eri mai! Se chiudo gli occhi, mi sembra di vederti su quella banchina del porto: il vento si azzuffa con la tua gonna, le tue gambe si tendono e reggono ben alto il tuo braccio destro, il braccio tiene sopra di sé il tuo piccolo fazzoletto bianco, e su in cima par di vedere palpitare una fiamma color dell’aria. Era la nostra fiducia, che palpitava lì in cima, il nostro amore e i nostri sogni. Mi sembravi uno spavaldo guerriero.

alfa  E tu saresti dovuto tornare dopo tre settimane e non ti sei più fatto vedere per quindici anni.[3]

La struttura “Vinzenz/Alfa” si scinde, Vinzenz si separa da Alfa: l’intelletto (razionalità, logica) si libera dell’anima (emotività, passionalità, soggezione alla norma morale), la nega. Vinzenz prende quota rispetto agli eventi, dunque, assumendo una posizione di distacco, di sospensione. Il superamento dell’affettività lo conduce alla rivalutazione della realtà che, da entità definita, costituita, diventa elemento costituente di un tutto, segmento all’interno di una retta, attimo storicamente determinato nell’ambito della storia universale: è il manifestarsi della coscienza storica. Conseguentemente, Vinzenz ridimensiona quei “valori” borghesi che si accompagnano costantemente alle componenti emotive (egoismo, invidia, gelosia, …) identificabili coi fili che muovono i «burattineschi»[4] uomini importanti ai quali egli, privo di qualità a cui attentare, rimane indifferente.

Alfa, dal canto suo, si sforza di tenere a bada questi uomini importanti e Bärli e Halm – con le loro promesse di benessere, ricchezza, rispettabilità e successo – e l’amica, simbolo della stratificazione di atavici condizionamenti che chiamiamo “femminilità”.

Vinzenz (e Thomas ne I fanatici e Ulrich ne L’uomo senza qualità) non è un calcolatore, né un cinico. Egli esprime la sua «lotta interiore, silenziosa e invisibile»[5] per la libertà, con il rifiuto di utilizzare le proprie qualità in un’occupazione costruttiva all’interno di un’organizzazione sociale a cui si sente estraneo, in un mondo reale dove i pretenziosi “uomini importanti” non costituiscono un pericolo, anzi, possono talvolta essere sfruttati fino al ridicolo.

Il disimpegno di Vinzenz, la sua indifferenza, assumono comunque una connotazione critica attraverso il gioco sottile dell’ironia che caratterizza lo sviluppo della farsa, ma raggiungono un’espressione cinetica, risolvendo il sospetto di passività, solo con il recupero dell’anima (e quindi di Alfa), non più nella sua accezione romantica, ma nella sovrapposizione con ciò che definiamo fantasia o creatività.

bärli […]  Se conosce Alfa da tanto tempo, essa avrà certo detto anche a lei: «Badi che sta sbagliando ogni cosa». […]

[…]

bärli […]  Lo dice a tutti, badi bene, lo so con certezza: a ciascuno, al professore non meno che al musicista o a me. Alfa, dunque, mi disse: «Sta sbagliando ogni cosa. In fondo non è soddisfatto né della sua attività né dei suoi successi». Anzi, mi dice: «Quello di cui lei va fiero e per cui sacrifica la vita è una stupidaggine». Ma io sono di un’altra pasta di tutti quei signori. Io non mi faccio incantare; eppure mi accorgo subito che Alfa ha ragione. Ha ragione, le dico![6]

Alfa (anima-fantasia), dunque, funziona da starter che innesca il processo di razionalizzazione-liberazione: scuotendo chi la apprezza, lo ammonisce: “Quello per cui sacrifichi la vita è una stupidaggine”. Sicurezza economica, possesso, carriera, principi, dignità, tutto è una stupidaggine!

Ed è certamente quest’anima recuperata a stimolare il processo psicologico che converte l’ironia musiliana, presagio della tragedia del vivere, in una satira «smussata e attutita in un sorriso bonario e indifferente»[7] espressione della perplessità che la coscienza storica determina, della sospensione del giudizio di fronte al divenire della realtà e alla relatività esistenziale. Unico sostegno per la solidarietà e l’amore verso gli uomini, spesso inconsapevoli e perciò insopportabili compagni di viaggio attraverso questa tragica esistenza che è solo una tappa della storia universale, è forse ancora lei a suggerire questo frammento di dialogo tra Thomas e Regine:

regine  […] Pensavo che un giorno avrei acquistato il potere di rendere felice la gente, come una fata […]. Ma più tardi tutto si sfascia, per via degli altri. Li vedi precisamente come sono. E non li puoi più amare.

thomas  No. Eppure bisogna amarli, ogni tanto, se non si vuol diventare un essere evanescente come uno spettro. È un fatto.

regine  Così come si deve mangiare e dormire […][8]

Vinzenz e Alfa, Thomas e Regine, Ulrich e Agathe, nel loro confronto, nel loro rapporto dialettico senza sbocco, sembrano vivere un insolubile supplizio: a loro che hanno intrapreso «la via incerta e miserabile dello spirito»[9], Musil riserva il compito vano di risolvere «la contraddizione tra gli aspetti razionali e quelli irrazionali della realtà […] attraverso una sintesi totale che esprima il connubio di “anima e esattezza”»[10]. Egli tenta anche di sovvertire l’ordine delle cose: utilizzando l’esattezza matematica, simbolo della razionalità applicata all’esistenza, vorrebbe creare un regno dove Vinzenz e Alfa, intelletto e anima, possano governare insieme.

 

vinzenz  […] Quel regno, poi, lo governeremo secondo le leggi che avevamo ideato allora, prima che prendessi il piroscafo. Tu ne sarai l’imperatrice.

[…] Col nostro denaro possiamo farci innalzare dove vogliamo in politica, in arte, in morale, in tutti i campi della vita, e distruggere tutto ciò che non ci piace. Davvero è inimmaginabile![11]

 

Ma l’“inimmaginabile” prevedibilmente si rivela irrealizzabile. Due granelli di polvere non possono invertire il senso di rotazione degli ingranaggi di questo imponente, potente sistema. Vinzenz viene da esso espulso, emarginato, accusato di essere un imbroglione, un bugiardo che nega la realtà della regola sociale. Egli la nega, infatti: la collocazione delle strutture sociali nell’ambito indeterminato della storia universale ridimensiona l’idea di realtà a esse legato, evidenziandone la variabilità nella successione dei periodi storici, e conduce fatalmente alla relativizzazione.

thomas  […] la verità è che noi siamo al centro di un calcolo il quale contiene solo quantità indefinite e non si può risolvere se non ricorrendo a un’astuzia, cioè supponendo qualche valore costante. Una virtù suprema. Oppure Dio. O amare gli uomini. O odiarli. Essere religiosi o moderni. Appassionati o indifferenti. Bellicisti o pacifisti. E così via, in tutta questa fiera intellettuale che oggi tiene bottega aperta per tutte le esigenze dello spirito. Basta entrare, e si trovano subito sentimenti e convinzioni per tutta la vita e per ogni caso prevedibile. Difficile è soltanto trovare i propri sentimenti quando non si accettano altre premesse se non quella che la nostra anima, questa scimmia scappata dallo zoo, accovacciata su un blocco di argilla, trasvola sibilando l’ignota immensità di Dio.[12]

Ciò che l’oggettività storicamente costituita considera fuori della realtà, assume immediatamente una propria «possibilità»: gli imbrogli di Vinzenz, all’interno di una “etica della possibilità”, perdono la loro connotazione negativa, assolvendo Vinzenz stesso dalle accuse.

vinzenz  […] Il mio unico imbroglio è quello di non essere un imbroglione. […][13]

L’ironia di Vinzenz è dunque quella che relativizza tutto, compreso chi la esercita, non è l’ironia del saccente: Vinzenz si contrappone agli altri ma, nel contempo, vuole sottolineare che è come gli altri.

vinzenz  Non mento, Alfa, credimi. Credi anche tu ch’io sia stato in galera, che bazzichi assassini e donnacce, che giochi? Ebbene, voglio dirti la verità vera: in realtà io vivo come qualunque altro. Mi annoio, passo le mie ore libere al cinema, al varietà o mi faccio una modesta, borghese partita a skat, vado a teatro, alle mostre d’arte e mi annoio anche lì, vivo la mia vita come qualunque altra persona rispettabile, senza alcuna coscienza di esserne io stesso l’artefice, e senza melodia, direzione, ebbrezza, profondità. L’unico mio vantaggio è che non ho una vera professione, per cui mi rendo conto di queste cose un po’ più chiaramente di molti altri.[14]

«Costui ha in più, rispetto agli altri, il rendersi conto della propria irrealtà: al massimo è come una soluzione che sta lì lì per cristallizzarsi e non si cristallizza mai»[15]: in questa definizione riferita a Ulrich riconosciamo anche Vinzenz. Suo malgrado, questo qualcosa in più inibisce in lui la capacità di prendersi sul serio e quindi di entrare a far parte della categoria degli uomini importanti:

vinzenz  Volesse il cielo che avessi anche un minimo difetto. Sarei irresistibile! Avrei una mania, un hobby, una perversione segreta, una missione; sarei artista, amatore, furfante, avaraccio, burocrate, insomma un uomo importante e avrei quel che si dice la serietà della vita. Ma purtroppo sono irrimediabilmente sano. […] Io vedo tutto chiarissimo, intorno a me: un arcobaleno di serietà diverse. […][16]

Alfa, invece, la capricciosa, magica anima-Alfa, sta per essere riciclata e di nuovo imbrigliata nella rete dei valori borghesi le cui maglie sono gli “uomini importanti”; la sua presenza dà legittimità al potere affrancandone i detentori e sostenendone le regole con il sussidio della moralità. Perché tutto funzioni, però, è necessario assegnare ad Alfa una giusta collocazione: l’abbraccio casto e rispettabile di Halm sembra perfetto! Suffragato dal riconoscimento sociale su un certificato di matrimonio, sublimato in una relazione che si prefigura esclusivamente platonica, abbellito dall’abito dell’onorabilità, il rapporto tra Alfa e Halm racchiuderebbe gli ingredienti principali della norma morale borghese. Ma non è facile trattenere «l’affascinante, efebica Alfa»[17], «aleggiante essere di sogno, infido uccello magico»[18]. Capricciosa e intelligente, ella non accetterà imposizioni e con la sua scelta forse definitiva, il matrimonio con il barone Ur di Usedon, «una persona molto importante», tornerà alla sua sfrenata, vanitosa esistenza.

vinzenz  Sei fantastica. Non c’è niente ch’io ammiri come la tua vanità. A me manca completamente. È la tua qualità più notevole.[19]

Vinzenz si trova infine a dover ammettere che Alfa rappresenta la realizzazione pratica, inconsapevole e per questo più affascinante, del suo progetto di vivisezione della realtà per concretizzare il quale egli manca di capacità adeguate.

vinzenz  Per te è molto più facile. Se io avessi (accenna agli attributi femminili) i tuoi occhi parlanti, se fossi donna anch’io…

alfa […]  Ebbene, che faresti?

vinzenz  Io? Se fossi donna? Se potessi render felice col dimostrar loro un minimo di interesse? Vederli che mi aprono subito tutto il loro cuore, spontaneamente? Io, la loro notte di luna, il loro usignolo, il loro momento di debolezza? Non posso nemmeno pensarci, se no mi metto a piangere. Che cosa non potrebbe diventare, questo mondo, s’io fossi donna! – Ma me non mi amano, e così bisogna che mi nasconda. […][20]

Vinzenz, uomo senza qualità, non raggiunge, dunque, il suo «ideale di etica assoluta, in cui razionalismo e irrazionalità non si contraddicano ma si confermino a vicenda»[21]; Musil non risolve il suo problema esistenziale e ammette la propria inadeguatezza col giudizio che Walter esprime nei confronti di Ulrich: «Per lui nulla è saldo, tutto è trasformabile, parte di un intero, di innumerevoli interi che presumibilmente appartengono a un superintero, il quale però gli è del tutto ignoto. Così ogni sua risposta è una risposta parziale, ognuno dei suoi sentimenti è soltanto un punto di vista»[22]. Il compromesso, l’alternativa all’annichilimento, non può essere altro che una “soluzione parziale”:

vinzenz  […] Se non si riesce a seguire la propria vita, bisogna seguire quella di un altro. E allora la miglior cosa è non farlo per entusiasmo, ma per denaro. Per un uomo ambizioso non esistono che due possibilità: creare qualcosa di grande o fare il domestico. Per la prima ho troppa onestà, per la seconda ne ho proprio quanto basta. […][23]

Questo uomo cui difetta il senso della realtà, pervaso com’è dal musiliano senso della possibilità, è costretto ad affidarsi a uno di «quelli che nel mondo ci si sentono a casa loro»[24], come li descrive Thomas. Esausto, Vinzenz rinuncia a resistere: non riuscendo a “seguire la propria vita” seguirà quello di un “professionista della realtà”, assumerà cioè una personalità diversa, “difettosa”, scegliendo per sé un valore costante, una qualità che, attribuita ad una delle innumerevoli incognite del “calcolo” che rappresenta la realtà, gli permetterà di risolvere, pur artificiosamente e in modo parziale, il problema pressoché insolubile della propria esistenza.


[1]    Robert Musil, Vinzenz e l’amica degli uomini importanti, tr.it. di I.A. Chiusano, Einaudi, Torino 1962.

[2]   Aloisio Rendi, Prefazione a Robert Musil, Vinzenz e l’amica degli uomini importanti, tr.it. di I.A. Chiusano, Einaudi, Torino 1962, p. 9.

[3]   Robert Musil, Vinzenz e l’amica degli uomini importanti, Op.cit., p. 40.

[4]   Aloisio Rendi, Prefazione a Robert Musil, I fanatici, tr.it. di Anita Rho, Einaudi, Torino 1964, p. 7.

[5]   Aloisio Rendi, Prefazione a Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 8.

[6]   Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 25.

[7]   Aloisio Rendi, Prefazione a Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 8.

[8]   Robert Musil, I fanatici, Op.cit., p. 111.

[9]   Ivi, p. 136.

[10] Aloisio Rendi, Robert Musil, Edizioni di Comunità, Milano 1963, p. 98.

[11] Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 45.

[12] Robert Musil, I fanatici, Op.cit., pp. 109-110.

[13] Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., pp. 70-71.

[14] Ivi, p. 69.

[15] Enrico De Angelis, Robert Musil. Biografia e profilo critico, Einaudi, Torino 1982, p. 183.

[16] Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 70.

[17] Aloisio Rendi, Prefazione a Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 9.

[18] Ibidem («“Traumgau, tückischer Zaubervogel” […], com’egli aveva scritto in una lirica a sua moglie durante la guerra»).

[19] Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 72.

[20] Ivi, pp. 59-60.

[21] Aloisio Rendi, Robert Musil, Op.cit., p. 99.

[22] Robert Musil, L’uomo senza qualità, tr.it. di Anita Rho, Einaudi, Torino 1981, p. 60.

[23] Robert Musil, Vinzenz, Op.cit., p. 72.

[24] Robert Musil, I fanatici, Op.cit., p. 136.

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