Sigmund Freud

Irene Milazzo

1. Un’intricata situazione familiare

Sigmund Freud nacque nel 1856 in Moravia, nella cittadina di Freiburg, dove visse fino al suo terzo anno di vita per trascorrere poi la sua intera vita a Vienna, da cui si sposterà solo nel 1938, anno precedente alla sua morte.

Era figlio di Jacob Freud, un commerciante di lana ebreo e della sua terza moglie, Amalia Nathanson. Del passato del padre precedentemente al suo terzo matrimonio poco sappiamo. Dalla prima moglie ebbe due figli, Emanuel e Philipp, che alla nascita del piccolo Freud, erano già grandi; il primo era sposato con figli ed era più vecchio della matrigna, mentre il secondo era scapolo e aveva un anno di meno; la situazione era dunque molto complicata: il padre, di vent’anni più grande della sposa (il matrimonio avvenne nel 1855) sembrava il nonno, mentre i fratelli maggiori sarebbero potuti essere i suoi genitori. Inoltre sulla madre di Freud, che visse molto a lungo, non sappiamo molto ma, secondo quanto riporta lo studioso Ellenberger, le fonti concordano su tre punti: “la sua bellezza, la personalità autoritaria e la sconfinata ammirazione per il primogenito”[1].

Freud fu infatti il prediletto della casa fin dalla nascita; secondo quanto narra la sorella Anna egli fu l’unico ad avere sempre una sua stanza piena di libri; inoltre, poiché era infastidito dal suono del pianoforte, quest’ultimo fu venduto ed ella dovette privarsi di tale tipico piacere borghese. Nell’“Interpretazione dei sogni” Freud racconta che, quando era piccolo, una vecchia contadina aveva detto alla madre di “aver messo al mondo un grand’uomo”5. Inoltre, quando aveva circa dodici anni, un poeta si avvicinò al loro tavolo mentre stavano seduti in uno dei ristoranti del Prater, e disse che un giorno sarebbe divenuto ministro. La carriera politica era un buon auspicio per una famiglia borghese come quella di Freud.

Un’altra persona che indica gli strani rapporti familiari che dovette affrontare il piccolo Freud, è la presenza di suo nipote e suo compagno di giochi John, che aveva un anno in più di lui. Tale rapporto fu alla base delle nevrosi che si portò nelle amicizie.

2. Le condizioni di vita degli Ebrei

Prima dei moti del 1848 gli ebrei vivevano in gruppi diversi: alcuni venivano tollerati, altri ghettizzati in alcune zone della città; altri ancora godevano della protezione del sultano, provenendo da Costantinopoli e Salonicco. Essendo gli unici mercanti delle città, lavoravano duramente e rispettavano il sabato e le feste ebraiche in maniera ortodossa. La tipica famiglia ebraica era patriarcale e la mentalità tendeva a reprimere gli impulsi.

Dopo il 1848 iniziò un periodo di politica liberale e nel 1867 gli ebrei ottennero parità di diritti politici. Molti si trasferirono nelle città e mutò il loro modo di vivere.

Il 1873 fu un anno particolarmente difficile: era appena stata inaugurata un’esposizione universale a Vienna quando il colera colpì la città e molti visitatori dovettero fuggire; inoltre il crollo della borsa comportò una violenta depressione economica e morale. Gli ebrei furono usati come capro espiatorio e ci furono molte manifestazioni antisemitiche. Freud narra di essere stato molto deluso da suo padre quando seppe che da giovane, mentre camminava per le vie di Vienna, era stato provocato da un gentile che gli aveva buttato il berretto in terra urlando “giù dal marciapiede, ebreo!”; di fronte a questo episodio il padre aveva semplicemente raccolto il berretto andandosene. Questo portò Freud a vedere suo padre già da allora in modo ambivalente, come un uomo senza dignità e orgoglio. Gli abitanti ebrei a Vienna aumentarono in modo vertiginoso e verso il 1880 almeno la metà dei giornalisti, medici e avvocati erano ebrei.

3. La scelta di Medicina

Secondo quanto riporta Freud egli scelse di intraprendere la facoltà di medicina dopo aver ascoltato una conferenza del professor Carl Brül, in cui lesse un saggio di Goethe “Sulla natura”, che tra l’altro fu male attribuito al poeta tedesco in quanto sembra non essere una sua produzione.

Inizialmente era propenso per gli studi giuridici. È però in verità più probabile che tale decisione stesse già maturando nella mente di Freud.

Nonostante la sua libera scelta, nell’ “Autobiografia” scriverà di essere stato mosso più che altro da una sorta di “brama di sapere”[2]. Inoltre nel 1924 sosterrà “in quegli anni giovanili non sentivo alcuna predilezione speciale per la professione medica, né ebbi del resto a sentirla in seguito”7.

Freud iniziò i suoi studi nel 1873 ma li terminò solamente il 31 marzo 1881. Questo ritardo ci sorprende in quanto Freud riporta di essere sempre stato il primo della classe durante tutti i suoi precedenti studi. Possiamo però trovare una causa soddisfacente per giustificare tale rallentamento negli studi nel suo eclettismo.

Il primo anno lo dedicherà infatti a seguire corsi umanistici, in primo luogo i corsi di filosofia di Brentano. La filosofia tornerà sempre nel pensiero di Freud, che nelle lettere la descrive come “il suo primo obiettivo, [la sua, n.d.r.] originaria ambizione, prima di sapere per quale fine fossi al mondo”[3]. Brentano era un ex prete che credeva in Dio ma rispettava Darwin. I suoi scritti rimarranno impressi nella mente di Freud.

Nel periodo in cui frequentò l’università, la facoltà di medicina era piena di figure emergenti, tra cui Carl Claus, Ernst Brücke e molti altri.

Nel 1875 Freud lavorerà nel laboratorio di Claus, il quale lo inserì in una spedizione di ricerca per Trieste, dandogli così l’opportunità di mettersi in luce. Freud portò avanti i suoi studi e alla fine riuscì a trovare l’organo di Syrski nelle anguille, motivo del suo viaggio. Nonostante ciò Freud non menzionerà mai Claus con parole di gratitudine, tanto che egli non viene mai nominato nei suoi scritti autobiografici.

Dopo due semestri si trasferì nel laboratorio di fisiologia di Brücke. Qui Freud troverà un po’ di soddisfazione e di “tranquillità”9; gli occhi del maestro vengono spesso assimilati a quelli di Freud.

Freud ricorderà i suoi penetranti occhi azzurri che lo rimproverarono per essere arrivato in ritardo nel laboratorio. Qui Freud imparerà l’autodisciplina e conoscerà Josef Breuer, in cui trovò un amico paterno che lo sostenne spesso anche dal punto di vista economico. Quando i rapporti con lui si deterioreranno, Freud sentirà molto il peso del debito in denaro.

A Breuer Freud dovette molto di più che una somma in denaro; egli gli insegnò il metodo psicoterapeutico della catarsi e gli si accostò come padre e collega. Freud chiamerà sua figlia più grande come la moglie di Breuer e dedicherà a quest’ultimo il suo primo libro su “L’afasia”.

La collaborazione tra i due cessò nel 1894, tanto che Freud dovette fare molte pressioni sul collega per convincerlo a pubblicare insieme i casi clinici su cui avevano lavorato. Il motivo principale della loro rottura fu il fattore sessuale che, se in Freud stava divenendo sempre più importante per indagare l’etiologia delle nevrosi, per Breuer non era poi così fondamentale. In realtà l’atteggiamento di quest’ultimo fu particolarmente ambiguo; in alcuni momenti sembrava sostenere le teorie di Freud, mentre in altri si dimostrava ostile. Ad esempio nelle “Considerazioni teoriche” leggiamo “riconosciamo già nella sessualità una delle grandi componenti dell’isteria”[4] e ancora “una parte degli elementi patogeni sessuali…conduce, secondo la scoperta di Freud, non all’isteria, ma alla nevrosi d’angoscia”[5].

Torniamo ora alla sua carriera medica. Dopo aver lavorato per sei anni nel laboratorio di Brücke, nel 1882 ci fu una “svolta”[6]; decise, su consiglio del suo maestro, di lasciare la carriera scientifica e di esercitare la libera professione di medico. Probabilmente questa decisione fu dettata dal fatto che nel 1882 si era fidanzato con Martha Bernays e desiderava guadagnarsi i soldi per poterla sposare. Lavorò per tre anni nell’ospedale generico di Vienna, spostandosi da un reparto all’altro e scalando varie posizioni fino a giungere al rango di Privatdozent, posizione di prestigio ma senza stipendio. È il primo passo verso l’ottenimento di una cattedra propria.

Iniziò con due mesi di pratica nel reparto di chirurgia per poi lavorare con il grado di aspirante nel reparto di Hermann Nothnagel. Nel 1883 verrà assunto come Sekundärarzt nel reparto psichiatrico di Meynert. Sono questi gli anni delle ricerche sulla cocaina; iniziò a lavorarvi nel 1884, scoprendo che tale sostanza poteva essere molto efficace contro i sintomi nevrastenici. Parlando con i colleghi Koller e Königstein, accennò al fatto che la cocaina produceva un intorpidimento della lingua; Freud non andò avanti in questo campo e Koller, a partire da questa conversazione, riuscì a scoprire le proprietà anestetiche della sostanza. Più avanti Freud scoprì, a spese di un suo amico, che il farmaco, se assunto in dosi eccessive, poteva portare tossicomania.

4. Due idealizzazioni

Nel marzo 1885 Freud fece domanda all’università per una borsa di studio valida per un viaggio di sei mesi e, in particolare grazie all’intervento di Brücke, la ottenne; dopo una vacanza di sei settimane a casa della fidanzata, partì per Parigi, dove incontrò Charcot. Quest’ultimo rientra, insieme a Fliess, nelle figure che influenzarono e affascinarono la personalità di Freud tanto da fargli perdere parte dell’obiettività nel giudicare.

Charcot era in quegli anni al culmine della sua fama; egli aveva classificato l’isteria tra le malattie e aveva sostenuto che essa colpisce gli uomini non meno delle donne. Inoltre aveva usato l’ipnosi per guarire le paralisi isteriche. Freud si avvicinerà a Charcot proponendogli di tradurre un suo libro.

Quando nel 1886 tornò a Vienna, Freud presentò alla Gesellschaft der Ärzte un rapporto sull’isteria maschile, comunicando le scoperte di Charcot, la sua distinzione tra isteria grande e piccola, la tesi secondo la quale i pazienti isterici non erano malati immaginari. Il punto di discussione principale era dato dalla distinzione tra isteria maschile classica accettata da tutti e isteria traumatica di Charcot, successiva a traumi o incidenti. Quello che più irritò fu il fatto di sentir elogiare le tesi di Charcot come scoperte uniche, di cui non si era mai parlato prima. In realtà che l’isteria non era né una malattia simulata né il risultato di disturbi degli organi genitali, era a Vienna già noto da tempo. Probabilmente Freud era sotto il fascino della figura di Charcot, che aveva idealizzato. Nel 1893 scriverà un elogio funebre per quest’uomo attribuendogli una teoria dell’isteria che in realtà apparteneva già in larga parte ai suoi predecessori.

Qualcosa di molto simile, ma in modo ancora più esteso, avverrà con la figura di Wilhelm Fliess, con cui Freud intrattenne una forte amicizia che andò avanti per più di dieci anni. Fliess era un otorinolaringoiatra di Berlino che nel 1887 si recò a Vienna per proseguire i suoi studi. Su consiglio di Breuer, seguì alcune lezioni di neurologia di Freud, a partire dalle quali iniziò il rapporto tra i due, che andò sempre più approfondendosi. Fliess era convinto che il naso sia l’organo che regola nell’uomo salute e malattie; credeva inoltre nella bisessualità degli esseri umani e nell’esistenza in ogni individuo di un doppio ciclo, nella femmina di ventotto giorni e nei maschi di ventitre. Questi periodi determinavano secondo lui le fasi della nostra crescita, l’epoca delle nostre malattie e la data della nostra morte.

Freud si lascia trasportare da Fliess in un modo che stupisce noi come all’epoca stupì i suoi contemporanei. Il Freud razionalista aiuta Fliess a ricercare i suoi numeri, probabilmente anche per il fatto che un po’ di superstizione fu in lui sempre presente.

Fliess è colui a cui Freud può dire tutto: gli invia i suoi manoscritti e le sue scoperte, gli comunica i suoi sentimenti personali, la sua nevrosi. Per alcuni aspetti sembra conferirgli un ruolo analogo a quello dell’analista.

Ernest Jones tratta in modo approfondito il rapporto tra i due e cerca di mostrarci cosa trovò Freud in Fliess, tanto da arrivare ad idealizzarlo in tal modo, difendendolo anche nei casi in cui aveva torto.

L’approfondirsi del rapporto tra i due è parallelo allo sciogliersi del legame tra Freud e Breuer. Sembra quasi che Freud volesse trovare un sostituto per quel collega paterno che tanto gli aveva dato. Poteva sembrare il suo successore con due pregi in più:

  • l’importanza data alla sessualità.
  • la disinvoltura e l’entusiasmo nelle sue idee; Breuer era più cauto e riservato e probabilmente più realista.

Inoltre Freud e Fliess avevano vari punti in comune:

  • avevano una posizione nella vita molto simile: medici specialisti, provenienti da un ceto medio ebraico e miranti a farsi una clientela per mantenere la famiglia.
  • avevano ricevuto un’educazione umanistica, che sapevano ben riutilizzare.
  • Avevano una formazione scientifica quasi uguale; entrambi erano cresciuti con l’insegnamento della scuola di fisica e fisiologia di Helmholtz.

Fu proprio negli anni di Fliess, all’incirca tra il 1890 e il 1900, che Freud soffrì di una psiconevrosi abbastanza forte, di cui riuscì a liberarsi solo tramite l’autoanalisi, che lo aiuterà anche a vedere Fliess per ciò che realmente era e a rompere con lui tutti i rapporti. La sua nevrosi, di cui era perfettamente consapevole, consisteva in bruschi cambiamenti d’umore, in rari attacchi di paura di morire e nell’ansia per i viaggi in ferrovia. È proprio a causa di tali disturbi nevrotici che Ellenberger sostiene l’ipotesi che “l’autoanalisi di Freud sia stata uno degli aspetti di un complesso processo…e che tale processo costituisca un esempio di quella che si può chiamare malattia creativa”[7]. Essa si può ritrovare in varie situazioni e, quali che siano i sintomi presentati, essi vengono sentiti in modo penoso, come qualcosa di opprimente, con un’alternanza di momenti di sollievo e peggioramento. Anche se il soggetto continua a mantenere i suoi rapporti sociali, si chiude in isolamento interno e spesso esce dalla malattia con una personalità diversa. Tutte queste fasi sembrano ritrovarsi nella vita di Freud, testimoniate anche dalle sue lettere a Fliess. La sua viene vista come una “disperata ricerca di una verità sfuggente”[8] e il sua dipendenza da Fliess rientrerebbe nel bisogno di una guida che lo aiuti in questa ricerca.

Lo scontro tra i due avvenne nell’estate del 1900, dopo il quale non si rividero più. Vi fu però un ultimo strascico nel 1904; Fliess aveva scritto a Freud per comunicargli che Otto Weininger aveva pubblicato un libro dove la sessualità svolgeva un ruolo preponderante. Freud era accusato di aver fatto giungere le sue teorie fino all’orecchio di Weininger tramite un suo allievo. Alla fine Freud confessò di essere stato trascinato dalla voglia di privare Fliess della sua priorità su tali teorie. Ci fu poi un ultimo strascico nel 1912, ma oramai il rapporto tra i due era già stato sepolto. Freud bruciò tutte le lettere inviategli da Fliess, mentre quest’ultimo le conservò. Poco dopo la morte di Fliess, nel 1928, la vedova, rendendosi conto del valore rappresentato da quelle lettere, decise di venderle ad un libraio di Berlino insieme ai manoscritti e agli appunti di Freud, a condizione però che esse non giungessero nelle mani di quest’ultimo, per paura che egli le avrebbe distrutte. Le lettere fecero un lungo viaggio, passando dalle mani di Marie Bonaparte, che ne mise al corrente il suo analista Freud, il quale si irritò moltissimo; nonostante ciò ella decise di non fargliele pervenire e di depositarle in una banca a Vienna. Da qui esse passarono a Parigi e furono infine messe in salvo a Londra, dove furono tradotte da Anna Freud e Ernst Kris, che scelsero quelle adatte alla pubblicazione.

5. La sua vita in breve dopo l’autoanalisi

Dopo aver lasciato l’Ospedale generale di Vienna, si dedicò alla neurologia puramente clinica. Assunse l’incarico nella clinica di Kassovitz, dove visitò i bambini affetti da paralisi cerebrale e divenne un esperto nel campo, tanto che Nothnagel nel 1897 gli affiderà la trattazione di tale materia nel suo “Manuale di terapia generale e speciale”.

Il matrimonio con Martha Bernays avvenne nel 1886, dopo un fidanzamento di quattro anni durante il quale i due poterono vedersi pochissimo. Per quel che ne sappiamo fu un legame felice dal quale nacquero sei figli, e non ci sono prove riguardo ad una vita extra – coniugale di Freud, che sembra essere stato un marito fedele. Martha fu però sempre vista come una perfetta donna di casa e un’amabile madre, ma mai come una confidente. Freud non la teneva quasi per nulla al corrente del suo lavoro scientifico né delle sue scoperte. Questo ruolo sembra essere stato più affidato alla cognata Minna.

Dopo la psicoanalisi e la rottura con Fliess, la vita e la personalità di Freud iniziarono a cambiare. Nel 1897 i professori Nothnagel e Kraft – Ebing chiesero al collegio dei professori di proporre Freud per il titolo di professore straordinario. Ottenerlo realmente fu però qualcosa di molto lungo e faticoso, che richiese l’intervento dello stesso Freud. Solamente nel 1902 infatti l’imperatore Francesco Giuseppe firmò la nomina. La carriera di Freud fu sicuramente rallentata. I motivi per cui il governo fu riluttante a riconoscere i suoi meriti scientifici sono complessi e difficili da comprendere fino in fondo.

Nel 1902, dopo la realizzazione di questo suo ambito desiderio, ci fu per Freud un periodo di intensa attività. Egli riunì a casa sua ogni mercoledì sera un piccolo gruppo per discutere di problemi relativi alla psicoanalisi, che si diede il nome di “Società psicoanalitica del mercoledì”. Da qui in poi la sua vita fu legata in particolar modo agli sviluppi del movimento psicoanalitico.

Nel 1910 fu fondata l’Associazione psicoanalitica internazionale, ma vi furono dei dissidi interni che portarono alcuni membri all’allontanamento; tra questi vi era Adler che decise di fondare una società dissidente. A breve sarebbe avvenuta anche la rottura con Jung.

Allo scoppio della guerra Freud, come molti dei suoi connazionali, fu assalito dall’entusiasmo patriottico, ma la guerra e le difficoltà che essa portò cambiarono nuovamente la persona di Freud, che inizierà a inserire nel suo pensiero le cosiddette pulsioni di amore e odio.

Nel 1920 fu ufficialmente nominato professore ordinario ed espose le sue teorie rivedute in “Al di là del principio di piacere”.

Il 1923 fu poi un anno particolarmente doloroso: morì il nipote Heinerle Halberstandt e scoprì di avere il cancro al palato e alla guancia. Questa malattie lo sottopose a trenta operazioni che dovette subire fino alla morte avvenuta al Londra il 23 settembre 1939.

6. L’influsso di Fechner

Abbiamo parlato soltanto delle tappe mediche della sua carriera, ma tutto ciò è ovviamente collegato alla sua vasta produzione di opere, dove ritroviamo l’evoluzione di tutto il suo pensiero.

La prima opera di Freud riguarda l’afasia e fu pubblicata nel 1891. Fino ad allora il campo era dominato dalle scoperte di Wernicke e di Lichtheim, che avevano scoperto l’esistenza di aree specifiche nel cervello dove venivano conservate le immagini sensoriali, la cui lesione portava particolari tipi di afasia.

Le opere più importanti di questi anni sono “Gli studi sull’isteria” in collaborazione con Breuer e il “Progetto per una psicologia”, poi abbandonato da Freud, di cui parleremo in seguito in modo più esteso.

Per ora basti dire che tra le fonti più importanti del “Progetto” vi è Fechner, che si ritroverà anche alla base di “Al di là del principio di piacere” (1920).

Gustav Fechner viene considerato il fondatore della psicofisica e con il suo lavoro ha sicuramente influenzato Freud e la psicoanalisi. Egli aveva già collegato il principio di piacere – dispiacere con l’idea “dell’avvicinamento e allontanamento della stabilità approssimata”[9].

Egli distingueva infatti tre tipi di stabilità:

  • assoluta, quando le parti di un tutto si trovano in uno stato di immobilità permanente.
  • completa, quando i movimenti delle parti di un tutto sono talmente regolari da far sì che esse ritornino nello stesso punto a intervalli precisi.
  • approssimata, quando vi è una tendenza più o meno perfetta delle parti a ritornare nello stesso punto.

“Non può lasciarci indifferente il fatto che un ricercatore dell’acutezza di G.T. Fechner abbia sostenuto una teoria del piacere e del dispiacere che coincide sostanzialmente con le conclusioni a cui il lavoro psicoanalitico ci costringe”[10]. Leggiamo queste parole in “Al di là del principio di piacere”, libro in cui più si fa riferimento alle tesi di Fechner; qui Freud supera la regola basilare, esposta anche nel “Progetto”, secondo la quale si tende a ricercare piacere ed evitare il dispiacere, e aggiunge a ciò la coazione a ripetere. Questo libro è molto vicino alla filosofia e riprende le tesi che aveva esposto nel “Progetto per una psicologia” ampliandole e rivedendole. È curioso che questo libro, che verrà pubblicato postumo, non venga nominato neanche in tale opera, che è quella che, a distanza di più di vent’anni, più gli si avvicina. L’opera è inoltre molto vicina alle tesi esposte nel settimo capitolo dell’ “Interpretazione dei sogni”, non a caso quello considerato più filosofico e di cui più avanti ci occuperemo in modo ampio.

Siamo nel periodo in cui Freud tenta di definire la sua “metapsicologia”, sistema che deve descrivere i fatti psicologici da tre punti di vista:

  • topico, nel senso della distinzione tra inconscio, preconscio, conscio.
  • dinamico, riferito alle forze psichiche in conflitto l’una con l’altra.
  • economico, il quale considera la regolazione delle forze mentali fondata sul principio di piacere – dispiacere.

Il cosiddetto “principio di costanza”17, che nel “Progetto” viene chiamato “principio di inerzia neuronica”, viene definito da Freud come un caso particolare del più generale ‘principio della tendenza alla stabilità’ di Fechner; “il principio di piacere deriva dal principio di costanza”18.

Anche nell’”Autobiografia” Freud cita tale pensatore tra le sue fonti principali: “sono stato tuttavia sempre attratto dalle idee di G.T.Fechner, al cui pensiero, in effetti, ho fatto riferimento per alcuni importanti punti della mia dottrina”[11].

Nel 1896 Freud abbozzò la sua nuova classificazione delle nevrosi e chiamò il proprio metodo “psicoanalisi”. Distinse le nevrosi in nevrosi attuali, le cui fonti sono rintracciabili nella vita presente del paziente, e psiconevrosi, le cui fonti sono invece riconducibili alla sua vita passata. Uscì in quest’anno l “Etiologia dell’isteria”.

7. Dall’ipnosi al metodo delle associazioni libere

Nella sua “Autobiografia” Freud descrive il percorso che lo ha portato alla fondazione della psicoanalisi e del metodo delle libere associazioni su cui essa si basa. Inizialmente egli si approcciò ai suoi pazienti isterici utilizzando il metodo di Breuer della catarsi, che prevedeva la liberazione dei pazienti dai loro sintomi tramite l’esposizione a parole della scena da cui essi avevano avuto origine. Freud abbandonò tale metodo dopo il 1889, anno del suo viaggio a Nancy, in cui vide Bernheim utilizzare sui suoi pazienti una tecnica non dissimile dalla vita vigile, che conduceva, anche se con più fatica, agli stessi risultati dell’ipnosi. Si riuscivano a recuperare, tramite la guida del terapeuta e l’aiuto della pressione della sua mano, quei ricordi che erano apparentemente stati rimossi dalla vita psichica del paziente. Quando il paziente, uscito dal suo sonnambulismo, asseriva di non ricordare nulla, il terapeuta doveva insistere e ripetere che in verità egli era perfettamente a conoscenza di ciò che sosteneva di non sapere e, tramite l’ausilio della sua mano sulla fronte, doveva indurlo a ricordare tutti i fatti verificatesi durante quello stato. “Questo procedimento appariva naturalmente più faticoso di quello ipnotico, ma era presumibilmente più istruttivo”[12]. Fu così che Freud abbandonò l’ipnosi di cui mantenne solo la posizione supina; il paziente doveva sdraiarsi sul divano ma, se prima poteva vedere il terapeuta, ora quest’ultimo si trovava seduto dietro di lui in modo tale da vedere il paziente ma non essere a sua volta visto. Secondo quanto riporta lo stesso Freud, in tal modo riuscì a pervenire alla teoria della rimozione, elemento base per la comprensione delle nevrosi, nelle quali “l’Io si era per così dire ritratto al primo incontro con il moto pulsionale sconveniente, gli aveva sbarrato l’accesso alla coscienza, nonché alla scarica motoria diretta; nel contempo, però, il moto pulsionale aveva mantenuto intatto il proprio investimento energetico. È questo il processo che chiamai rimozione”,ovvero un meccanismo di difesa primario. Adesso però il compito del terapeuta non era più l’abreazione dell’affetto, bensì il mettere a nudo le rimozioni sostituendole con l’accettazione o la condanna di ciò che all’epoca era stato ripudiato e respinto nell’inconscio. “In considerazione di questa nuova visione delle cose denominai il mio metodo d’indagine e di terapia psicoanalisi, in sostituzione del termine catarsi”[13]. Il passo successivo per giungere alla formulazione definitiva di tale metodo fu l’indurre il paziente a lasciarsi andare alle “libere associazioni”, esponendo tutto ciò che gli veniva in mente, anche quello che riteneva superfluo o inadeguato. Fondamentale in tale metodo è la cosiddetta “traslazione”, ovvero il rapporto che si instaura tra il paziente e lo psicoanalista. Essa viene considerata come il principale strumento della tecnica psicoanalitica; è infatti necessario individuare e isolare la traslazione, nel momento in cui essa si trasforma in passione o in ostilità verso il medico e diviene dunque il principale strumento tramite cui si attua la resistenza. Questo non era stato compreso dall’ipnosi, tanto che Breuer, nel caso di Anna O., non comprese se non quando ciò fu evidente, che la sua paziente aveva sviluppato verso di lui uno stato di amore di traslazione. Ritorneremo su tale caso in seguito.

Ellenberger riporta che “il metodo psicoanalitico è la creazione di Freud, e costituisce la più intima originalità della sua opera. Freud fu l’inventore di un nuovo modo di occuparsi dell’inconscio…questa è l’incontestabile innovazione di Freud”[14].

8. Una passione che non morirà

Come abbiamo già accennato in precedenza, Freud fu sempre legato alla filosofia, fin da giovane quando leggeva i testi di alcuni filosofi o ascoltava le lezioni di Brentano all’università.

Tra i filosofi che lo affascinavano molto, almeno inizialmente, vi era Feuerbach, che si avvicinava molto al suo definirsi uno “studente di medicina senza Dio”23. L’intento di Feuerbach era infatti trasformare la teologia in antropologia, mostrarne le radici umane. La religione è un’illusione che bisogna smascherare e Freud ben si identificava in un distruttore di illusioni. L’uomo ha proiettato delle qualità che gli appartengono, in quanto appartenenti al genere umano, al di fuori di lui; le ha alienate da sé, “rese straniere”, così come si può comprendere analizzando l’etimologia della parola tedesca “Entfremdung” (alienazione), che al suo interno contiene il termine “Fremd”, che significa proprio “straniero”. Inoltre Feuerbach non era critico solo nei confronti della teologia, ma anche verso la filosofia e non dobbiamo stupirci nel sapere che anche Freud aveva con essa un rapporto di amore – odio. Era molto critico ma senz’altro riprese molto del pensiero di alcuni filosofi a lui precedenti.

Peter Gay ci riporta che il fatto che “a Freud piace descrivere la propria carriera medica come un’ampia digressione che partendo da una passione adolescenziale per i più profondi enigmi filosofici, ritorna alle speculazioni di fondo di un vecchio dopo un lungo e indesiderato esilio tra i dottori”[15]. Anche se spesso disprezza e critica i filosofi e la filosofia, egli perseguirà per tutta la vita le mete filosofiche. Nella lettera a Fliess del primo gennaio 1896 scrive “vedo che, per le vie traverse della medicina, ti stai sforzando di raggiungere il tuo primo obiettivo, la comprensione fisiologica dell’uomo, mentre io nutro segretamente la speranza di arrivare per le stesse vie al mio primo obiettivo, la filosofia. Perché questa fu la mia originaria ambizione, prima di sapere per quale fine fossi al mondo”[16].

9. Una panoramica delle sue fonti

Per capire Freud fino in fondo e riuscire a distinguere ciò che realmente rappresenta una sua innovazione, dobbiamo collocarlo nella cultura e nell’ambiente dell’epoca. Ellenberger, come già abbiamo detto, ritiene che l’origine delle più importanti nozioni della psicoanalisi sia stata data a Freud dalla sua malattia creativa. Indipendentemente dal sapere se ciò sia vero o meno, è incontestabile che le fonti di Freud furono innumerevoli e che molte di esse sono probabilmente ancora ignote. Freud era un uomo di elevata cultura e un accanito lettore.

Tra i primi maestri che ebbe ritroviamo sicuramente i nomi di Brücke, Meynert ed Exner. È dalle loro idee e dall’opera di Fechner, di cui abbiamo già parlato, che Freud trasse gran parte del materiale per la stesura del “Progetto per una psicologia”.

Colossale fu poi l’influsso di Breuer, di cui abbiamo già avuto modo di parlare; dobbiamo poi citare il nome di Herbart, la cui psicologia era predominante in Austria ai tempi della giovinezza di Freud: egli aveva già creato una soglia tra il conscio e l’inconscio, distinguendo tra rappresentazioni che lottano per giungere alla coscienza e rappresentazioni che vengono rimosse ma tendono a ritornare o a produrre un effetto indiretto su di essa.

Secondo Ellenberger inoltre, la personalità di Freud può essere paragonata a quella di un romantico. Tale tendenza si può rintracciare nella sua appassionata relazione con Fliess, nelle cene tra amici, nella selezione di alcuni discepoli per difendere la psicoanalisi; era inoltre dotato di una forte curiosità intellettuale e della cosiddetta credibilità, consistente nella capacità di far credere plausibile anche la teoria più improbabile.

Tra i grandi scrittori dichiarava sue fonti Shakespeare, Goethe e Schiller, ma non possiamo trascurare Börne, il quale, in un saggio sull’arte di divenire uno scrittore originale, raccomandava di chiudersi per tre giorni con carta e penna e scrivere tutti i pensieri che venivano alla mente, spontaneità che non può non richiamare il metodo delle libere associazioni di Freud.

Tra le altre fonti letterarie Freud ammirava moltissimo Arthur Schnitzler, ebreo nato a Vienna nel 1862. Dopo essersi laureato in medicina, seguì le orme del padre dedicandosi alla stesura di articoli relativi al campo medico. Col passare del tempo però i suoi interessi si spostarono sempre più sul teatro e sulla letteratura, tanto che intorno al 1890 riunì un gruppo di giovani poeti e drammaturghi austriaci che si diedero il nome di “Giovane Vienna”. Il suo pensiero colpì molto Freud; Schnitzler sosteneva che nell’ipnosi e nell’isteria era presente un forte elemento di artificialità; inoltre, come Freud, era molto interessato all’ambito dei sogni.

Come sopra detto, Freud fu molto influenzato dalla filosofia, anche se tentò sempre di criticarla. La sua può considerarsi una sorta di filosofia materialistica, che tenta di smascherare l’illusione della metafisica. È forte in lui la “tendenza demistificante”, che ricerca l’inganno per riportare alla luce la verità sottostante. Ciò è sicuramente presente in filosofi quali Schopenhauer, Marx e soprattutto Nietzsche, di cui Freud possedeva l’intera opera, negando però per gran parte della sua vita di averla letta. “Le notevoli concordanze fra la psicoanalisi e la filosofia di Schopenhauer, il quale non solo ha sostenuto il primato dell’affettività e l’importanza preminente della sessualità, ma ha conosciuto addirittura il meccanismo della rimozione, non possono essere ascritte alla mia conoscenza delle sue teorie. Ho letto Schopenhauer molto tardi nella mia vita, e per un lungo periodo di tempo ho evitato di leggere Nietzsche, l’altro filosofo le cui intuizioni e scoperte coincidono spesso, in modo sorprendente, con i risultati faticosamente raggiunti dalla psicoanalisi”[17]. Abbiamo già sostenuto la vicinanza e l’influsso di Brentano sul pensiero freudiano, la cui nozione di intenzionalità è molto vicina a quella di investimento in Freud. Per entrambi la percezione non è un processo passivo, ma “un’attività dotata di energia psichica”[18]. Anche se non si trova tra le fonti più citate di Freud, egli sicuramente lesse Kant e trasse dalla sua filosofia l’importanza della sintesi.

Fondamentale è poi il clima positivista che il nostro autore si trova a respirare. Il positivismo è una corrente di pensiero sviluppatasi in particolar modo nella seconda metà del 1800; il nucleo fondamentale di questo pensiero è ritrovabile nell’idea di voler riportare tutto al linguaggio scientifico; la scienza viene esaltata e vista come lo strumento principale per risolvere tutti i problemi dell’umanità. Essa è la forma di sapere per eccellenza della modernità e deve regolare, non soltanto i rapporti tra soggetto – oggetto ma anche quelli tra soggetti (relazioni umane). Freud vuole infatti annoverare la psicoanalisi tra le scienze; come ogni scienza, essa deve riportare la verità e smascherare ogni illusione.

Tra le altre fonti, non meno importanti, abbiamo i suoi pazienti, Charcot, Janet e tutta la psichiatria dinamica a lui precedente. Con tale espressione indichiamo un indirizzo della psichiatria che, all’inizio del suo percorso, utilizzava l’ipnosi, metodo di cui per un periodo si servì anche Freud, e ebbe particolare attenzione per i casi clinici isterici, punto di partenza delle indagini freudiane. Inoltre essa delineò nel tempo due modelli di psiche, che corrispondono in parte a quelli riportati da Freud:

  • divisione tra conscio e inconscio; è il primo modello che delineerà Freud, inserendo come parte dell’inconscio anche il cosiddetto preconscio.
  • formato da un insieme di sottopersonalità; è quello che Freud delineerà nell’ “Io e l’Es” dove distinguerà nella psiche tre istanze psichiche che interagiscono tra loro: Io, Es e Super Io.

In un ultima analisi essa considerava il rapporto medico – paziente come qualcosa di basilare per la terapia, e ciò corrisponde alla traslazione in Freud.

È importante notare, per concludere questa panoramica, che spesso Freud è stato slegato dal contesto a cui apparteneva e molto spesso è stato anche distorto. Egli poté portare il suo grande contributo alla nostra cultura grazie all’ambiente in cui si trovò e agli spunti che prese dai suoi contemporanei e da molti pensatori che erano venuti prima di lui. Come fa notare Ellenberger fu “la rivoluzione radicata nei cambiamenti socioeconomici”[19] a coinvolgere Freud.


Note:

[1] Henri F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri vol. 1, capitolo settimo, p.491 5 P. Gay, Freud, op. cit., p.12

[2] S. Freud, Autobiografia, tr. It. in Opere, vol. 10, Boringhieri, Torino 1978, p.76 7 Ibid.

[3] S. Freud, Le origini della psicoanalisi. Lettere a Wilhelm Fliess 1887 – 1902, Boringhieri p.103 9 S. Freud, Autobiografia, op. cit., p.77

[4] S. Freud, Studi sull’isteria, tr. It. in Opere, vol. 1, Boringhieri, Torino 1967, p.387

[5] Ivi, pp.389 – 390

[6] S. Freud, Autobiografia, op. cit., p.78

[7] Henri F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri, vol. 2, capitolo settimo, p.515

[8] Ivi, p.516

[9] Henri F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, op. cit., p.550

[10] S. Freud, Al di là del principio di piacere, Boringhieri, pp.18 – 19 17 Ivi, p.20 18 Ibid.

[11] Freud, Autobiografia, op. cit., p.126

[12] Ivi, p.96

[13] Ivi, p.98

[14] Henri F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, op. cit., p.632 23 P. Gay, Freud, op. cit., p.27

[15] Peter Gay, Freud, op. cit., p.108

[16] Freud, Le origini della psicoanalisi, op. cit., p.103

[17] Freud, Autobiografia, op. cit., p.126 – 127

[18] Henri F. Ellenberger,La scoperta dell’inconscio, op. cit., p.623

[19] Ivi, p.631

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