La coscienza in Hegel e l’intelletto come demone

Maria Tarantini

Una coscienza che ha dentro di sé il demone dell’Intelletto: non è vero che è stato totalmente assorbito quella dimensione della rimozione-spostamento-proiezione, ma ritorna in un senso puramente autoriflessivo (dentro una dimensione assoluta), ma appunto di nuovo con la messa in scena di un campo tensionale, che non è più psico-pratico-dinamico, ma è semmai psico-teoretico, e quindi autoriflessivo. Cioè la rimozione dei vari Assoluti che il pensiero ha prodotto (secondo la teoria causalistica della storia del pensiero, ossia quella di una soggettività intellettualistica) risiede ancora nel residuato, sedimentato nella condizione di una soggettività assoluta ma che non può non di nuovo rivolgersi all’esterno, poiché quell’esterno è l’elemento dualistico che essa compenetra e produce, ma mai in modo veramente superato e tolto in quanto esterno. Quindi quell’esterno che esso stesso, in quanto Spirito Assoluto detiene, nella perfetta unità e senza residui, rimane invece a sedimentarsi come un “altro”, opposto, di nuovo dualistico, tuttavia questa volta nella dimensione Assoluta ed incondizionata di un Assoluto che pensa se stesso. In poche parole: l’Essere che l’Autocoscienza Assoluta sembrerebbe “aver esaurito in sé e per sé”, apparirebbe invece riproporsi come oggettività interna. Infatti la Logica è un’attività del Pensiero oggettiva oltre che soggettiva. Ma ciò significa che non è un semplice esercizio sostanzialistico ed auto riflessivo l’esito della Logica, ma è ancora il fare i conti con una dimensione scissoria e oppositiva che mai verametne è stata superata, persino dall’ Autocoscienza Assoluta. Quindi non è che si abbandona il filtro dinamico-psicodinamico, ma anzi lo si esalta in una dimensione Logico-predicativa, che certamente viene poi ad assumere una dimensione ontologica, e quindi metafisica, quel logico-predicativo-apofantico che assume un senso reale, perché appunto quella dimensione che si trascina dalla Fenomenologia dello Spirito dell’Altro ,mai veramente superato, non può non presentarsi come in veste di nuovo esteriore e dissimulatoria del determinato (ma qui metafisico). Quindi la struttura psico-pratico dinamica che già avveniva a livello di coscienza naturale (organica-incosciente, organico-coscienziale con carico -scarico nell’altro da sé di un surplus o sovradeterminazione del nesso universale in quanto altro), è quella stessa condizione che attraverso una sovradeterminazione dell’altro da sé come pensiero oggettivato in una circolarità nella dimensione logica (di un pensiero cioè che pensa se stesso, così come la soggettività fenomenologica ricercava e trovava nelle varie stazioni se stessa), qui l’altro è messo in gioco nella dimensione noetica. Tuttavia l’altro non è mai veramente l’altro se non per un autoinganno del Saper Assoluto. Ma perché il Sapere Assoluto ha bisogno di tale autoinganno? Perché esso non può non divenire se stesso attraverso l’andamento del “duale”, e quindi pur nella unicità organica (e non giustapposta) e perfetta coincidenza dell’Universale e Particolare, ebbene quell’organica identità di forma e materia, non può non pensarsi come dualità. A questi livelli (Sapere Assoluto) questa dimensione si concede come alterità presso di sé, e quindi noetica. La lotta è di nuovo tra un Soggetto ed Oggetto oggettivo rispetto ad un nuovo oggettivo. Poiché quello assoluto oggettivo/ soggettivo pratico-fenomenico ormai è stato esaurito nella perfetta autocoincidenza e trasparenza del soggetto nell’oggetto, ma rimane ancora un’idea di alterità nell’Idea (cioè nel Concetto). E questa dovrà essere nel Concetto, di nuovo ripercorrere le tappe del pensiero che pensa se stesso, poiché in ogni oggetto speculativo vedrà se stesso. Quindi la circolarità è un dinamismo metafisico. Ma tale movimento è certamente in atto; d’altronde poteva essere anche immobile lo stesso psico-movimento della rimozione-spostamento-proiezione visto che accade tutto nell’ambito di una soggettività coscenziale-naturale ed intellettualistica, nella patologia e nella drammaticità di un processo psico-pratico-dinamico, non c’è una vera e propria alterità se non quella che il soggetto psicotico vuole vedere, ma appunto è una sua proiezione. E questa stessa processualità immanente al soggetto ha solo un riferimento esterno reale che può essere l’imperatore romano, il Cristo, piuttosto che il denaro, è però determinazione entificata del pensiero dentro il pensiero stesso: è un’ente determinato (ma che non lo è) entificato dal pensiero stesso. La cosificazione o reificazone che scatta nella coscienza e nella sua processualità, fisico-psico-dinamica, pratico-fenomenologica, scatta all’interno di una dimensione incondizionata ed assoluta, cioè senza residuo alcuno di determinatezza, del sapere assoluto. Occorre così fare questo ragionamento: il motivo per il quale Hegel scrive la Logica è collocabile all’interno di un processo ancora non del tutto svuotato, di una funzione ancora non del tutto superata dell’Intelletto all’interno del Concetto. Nel senso che l’esito finale della Fenomenologia, in quanto Autocoscienza Assoluta e Sapere Assoluto, è l’esito di un Concetto in una dimensione di Unità senza residui, come dice Hegel, dell’ unità realizzata dell’Universale e del Particolare, da parte di un’Autocoscienza Assoluta, detta anche Sostanza. Ma, ed è questa la tesi che qui s’intende dimostrare, Hegel in realtà sta dicendo che rimane fuori (ovviamente a livello di Sapere Assoluto: fuori che è un dentro) un’alta Alterità o Oggettualità, che sarà la Logica oggettiva (cioè Logica dell’Essere e dell’Essenza) e la Logica del Concetto. Questo significa che il Sapere assoluto concettivo della Fenomenologia dello Spirito, in quanto Sostanza, che se stessa come identità di soggetto ed oggetto ancora deve “verificarsi”. Si deve ancora raggiungere la Logica concettiva della scienza della Logica. Ed allora che cosa è quel grado di sapere assoluto fenomenologico? È un sapere assoluto ed è, quindi, realmente il terzo momento speculativo-razionale, oppure c’è dell’Altro? Ad avviso di chi scrive quell’esito speculativo è positivamente razionale, ma con un Altro. Questo Altro non è una oggettualità residua ancora da raccogliere, ma bensì è l’oscura (perché oscura al Concetto stesso) ed occulta presenza dell’Intelletto. Il quale è stato estirpato a partire dalla negazione della negazione dalla contraddizione (cioè dal momento positivamente risolutivo razionale), ma che in qualche modo è residuale nella stessa definizione conclusiva e finale dell’autocoscienza assoluta (che è unità, totalità degli opposti, dell’universale e del particolare). Questa compresenzialità del “due” nell’ “uno”, veramente realizzata, nasconde un’insidia ancora maggiore: ossia nasconde il sospetto che nel portare con sé l’Intelletto, lo Speculativo o Concetto, che è Totale perché l’Intelletto stesso è un suo momento (e qui v’è la Suprema forza del Concetto che addirittura metabolizza l’Intelletto come proprio momento), probabilmente questa metabolizzazione dell’Intelletto non è digerita fino in fondo. Rimane non tanto un residuo di una duplicità universale e particolare (che infatti non c’è), ma un residuo intellettuale nell’unità trasparente e senza residui dell’universale e del particolare. Se bene si ricorda, l’Intellletto non è solo la macchina da guerra che produce le scissioni e le entifica, ma in primo luogo (come primo momento del dialettico, cioè astratto-intellettuale) l’intelletto produce la unitotalità. In questa duplice operazione il Sapere Assoluto, come esito della Fenomenologia, ha certamente superato i primi due momenti intellettuali, ma senza averli mai realmente concettualizzati. E questi, così, rimangono come residuati di una definizione del Sapere Assoluto della Fenomenologia dello Spirito, come Unitotalità dell’Assoluto, pur nella compresenza del “due”, che invece l’Intelletto faceva poi scemare. Ma probabilmente l’Intelletto si è occultato nella sua versione di Unitotalità (equivalente al primo momento astratto e rappresentativo del movimento dialettico) dietro e come ombra della Unitotalità stessa del terzo vero momento speculativo-razionale del Concetto, nel risultato del Vero come l’Intiero: una sorta di cavallo di troia offerto dall’intelletto sull’altare del vero, al cospetto del Concetto. Questo “dono”, astutamente ed erroneamente scambiato (ecco la triade: dono-sospetto-errore, offerto come segno di arrendevolezza e di resa sull’altare del Concetto da parte dello sconfitto Intelletto) come esito astuto della Ragione, per conquistare l’erroneo punto di vista dell’Intelletto, in reatà sembra segnare la proiezione dell’unitotalità dell’intelletto su quella raggiunta, come risultato, dal Concetto. Quindi un cono d’ombra sembra aggirarsi fin dall’inizio della Logica. Come dei rabdomanti d’ingegneria Hegeliana, occorrerebbe rintracciare il punto esatto in cui avviene già durante il cammino Fenomenologico la indebita, e a tradimento, sovrapposizione del momento speculativo o postivamente razionale con quello oscuro e rappresentativo, che rappresenterà in modo mai chiaro il lato oscuro e meta-razionale (ma allo stesso tempo ben occultato dallo stesso Concetto) del cattivo infinito o pessima Unitotalità, con la Vera e razionale Unitotalità del Concetto stesso. Dal momento che occorre cercare questo vulnus, scovando quell’ombra impalpabile, astratta, poiché è l’ombra della intenzione inintenzionale dell’Intelletto a seguire l’unitotalità, ossia il vero, l’assoluto. Ma come l’intelletto insegue inintenzionalmente l’obiettivo universale, per cui esso è votato al concetto universale perché deve legalizzare i fenomeni particolari sotto di sé (per cui la struttura dell’intelletto ha una procedura universale), così anche l’Intelletto ha mirato, non potendo più farlo autonomamente con se stesso, ad un principio sintetico unitario ed universale, che è quello del Concetto, ma nel quale in qualche modo l’intelletto s’è insinuato. Il Concetto può liberarsi di questa dimensione altra solo con la Logica, cioè solo dandosi una scrollata ancora più decisa e suprema fino a giungere nella Logica del Concetto e solo allora, quando il Concetto rivede se stesso, rivedendo l’unità con sé, attiva questa verifica logico-ontologica. Da qui l’autoriflessività della logica, poiché deve andare a snidare tutte quelle dimensioni in cui l’intelletto si era andato ad insinuare, producendo degli enti e quindi deve fare un’analisi autoriferita, poiché quello che l’Assoluto sta cercando come non-proprio è dentro se stesso. Da qui l’alterità scandagliata dal pensiero che pensa se stesso, in quanto principi della storia del pensiero che l’Intelletto ha prodotto come enti di ragione e sovradeterminandoli come di volta in volta principi divini, teologici, assoluti e incondizionati. Ma il Concetto deve verificare ciò che non-torna come risultato, alla fine della Fenomenologia dello Spirito. Quindi nella seconda prefazione della logica dell’essere 1831, Hegel non può non affermare che, dopo tutto, il percorso fenomenologico (di 23 anni precedente) era imperfetto: poiché Hegel alla fine del Sapere Assoluto nella Fenomenologia, informa che il Sap. Ass. Raggiunge quella perfetta coincidenza ed unità senza residui alcuni dell’unità soggettiva ed oggettiva, ma non ci dice effettivamente se tale unità è bastevole a se stessa a manifestare chiaramente l’onnipotenza del sapere assoluto. Ossia non ci dice se quella unità è tale solo in quanto portatrice ed autoproduttiva del concetto senza residui. Ci dice che è senza residui di dualismo o scissionistici, ma non ci dice se è senza residuo intellettualistico, nel senso che quel concetto di unità è lo stesso dell’intelletto, ossia è il concetto, ma è anche la prima funzione inintenzionale dell’intelletto che è quella di mirare ad un concetto universale; poiché l’intelletto separa, ma produce al contempo dei principi universali-sintetici anche se rappresentativi ed immediati. L’intelletto per sua natura mira inintenzionalmente ad una dimensione universale: poiché l’intelletto deve legalizzare tutto ciò che può legalizzare sotto di sé, producendo principi universali ed essendo esso stesso orientato e votato spontaneamente alla dimensione universale. Hegel non ci dice se questa dimensione onto-genetica dell’intelletto si sia in qualche modo nascosta in qualche meccanismo ed il concetto se lo sia portato dietro. Il concetto, dall’altro lato, sa di essere onnipotente, nel senso che esso ha bruciato tutto ciò che di estrinseco era fuori di sé, ma ha veramente anche mediato quella funzione originaria dell’intelletto, in quanto capacità di intrappolare in una Totalità un principio universale? Ha mediato l’intelletto il concetto, per cui l’intelletto è un momento del concetto: ma quella funzione dell’intelletto universalizzante, il concetto l’ha veramente superata e tolta come altro da sé e posta come un sé da sé nell’esito finale del sapere assoluto fenomenologico? La risposta pobabilmente è nella stessa Scienza della Logica riproposta da Andrè Leonard: poiché Hegel dovrà scrivere una logica oggettiva e soggettiva per poter ricomprendere, in una sorta di random o autoanalisi di se stesso (da qui la dinamica dell’espressione della massima potenza del Negativo, poiché il negativo tenuto a freno nella Fenomenologia dello Spirito non è probabilmente certezza di risoluzione della questione fondamentale, cioè della mediazione della funzione dell’universale dell’intelletto). Hegel non lo può dire, anche perché altrimenti non arriverrebbe a scrivere il sapere assoluto come ultimo capitolo della fenomenologia, ma il sospetto che Hegel faccia riaccendere il motore del sapere assoluto (dopo la conclusione della fenomenologia), denota che la conclusività del Sapere Assoluto nella Fenomenologia era solo apparente. Per essere reale, esso non deve essere solo pratico-fenomenologico, ma anche astratto-predicativo: poiché lo Spirituale deve essere assolutamente certo che quella stessa unità che esso avrebbe raggiunto ab intra (in modo reale, concreto, ricco e non intellettualistico, negando la condizione di una soggettività intellettualistica a tutti i livelli e a tutte le sfere, dal naturale allo spirituale), deve capire del perché questo altro da sé gli ritorni. Infatti la Logica dell’essere, se Hegel non sentisse questa non quadratura del cerchio raggiunta, non l’avrebbe scritta. Solo che Hegel, nella perfezione del suo sistema, non può dircelo o anticiparlo, ma c’è un punto dove probabilmente l’intelletto re-siste anche nel sapere assoluto. Certamente, si può dire che il primo momento astratto-intellettuale era stato superato ormai precedentemente dal Concetto attraverso i momenti negativi-dialettici dello stesso Intelletto, ma il paradosso è proprio qui: la prima funzione dell’intelletto unitotale e rappresentativa è superata dall’intelletto stesso attraverso il secondo momento negativo-razionale, ma è veramente così? Oppure siamo difonte ad un protocollo che ha attivato l’intelletto e che il concetto ha poi giudicato congruo? I primi due momenti della logicità dello Spirito della dialettica sono momenti intellettuali (anche se da sempre governati dalla Negazione) e non è escluso che, in questi passaggi, il “controllore” che è l’intelletto e che controlla se stesso in quanto negazione di se stesso probabilmente abbia occultato in qualche passaggio questa dimensione di controllore. E che quindi abbia salvato in qualche modo almeno un’intenzione o sotto-funzione che il concetto nella sua negazione della negazione non ha probabilmente colto, poiché non risale formalmente lo Speculativo fino al primo momento, ma risale a partire dal secondo momento: quello per il quale l’intelletto già aveva esaurito il primo momento, che è il suo stesso primo movimento. Se la negazione dello speculativo ha rotto col momento rappresentativo o astratto intellettuale, questo il concetto lo sa fino ad un certo punto, poiché entrambe le funzioni sono attività intellettuali come momenti del concetto, ma come momenti del concetto non propriamente endogeni al Concetto stesso (poiché l’intelletto è altro dallo speculativo, anche se momento dello speculativo). Questo ha generato e portato sottotraccia un vulnus (errore) che il Concetto dalla sua suprema altezza e forza non ha visto e che si è ritrovato dentro di sé, quando ormai nasceva la Sostanza come sapere assoluto. Perché appunto la Autocoscienza assoluta reinizia non a porre in discussione quel dualismo (universale particolare), ma a porre in discussione in qualche modo quell’Unità, poiché inizia a pensare un’alterità che non c’è più. Quasi in una condizione in cui ha chiuso la “stalla ma dopo che le vacche tutte nere dell’assoluto Schellingiano, erano uscite”(n.d.a). Quindi quell'”alterità”, mai veramente superata viene rimossa, ma non la rimozione del dualismo e dell’oggettività del “due”, per cui questa Autocoscienza Assoluta deve ricominciare a pensare ad un’oggettività, quanto la dimensione dell’Unità che ha dei problemi ad essere mediata. Insomma il problema deriva dal fatto che, una volta raggiunta l’unità e l’identità dell’universale e del particolare, quel terzo momento speculativo e positivamente razionale, Hegel deve essere convinto che non sia una presupposizione del primo momento in realtà intellettuale o dell’intelletto presupposto dal concetto.

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