Scrittura e pittura, musica e poesia

Pasquale Amato

Vuo’ dar una mentita per la gola
a qualunque uomo ardisca d’affermare
che il Murtola non sa ben poetare,
e c’ha bisogno di tornare a scuola.
[…]

È del poeta il fin la meraviglia
(parlo de l’eccellente e non del goffo):
chi non sa far stupir, vada alla striglia!
[…]

(Giambattista Marino, Il poeta e la meraviglia)

Da qualche parte ho detto:

Ripensa al suo desiderio di produrre scritti che suonino bene. […] Ecco: vorrebbe scrivere cose che assomiglino a una bella musica, a un Bolero di Ravel eseguito al meglio. È un’ambizione difficile da attuare, lo capisce. Ma del resto, in un’altra vita sarà cocciutamente ed esclusivamente un musicista: l’ha deciso da tempo, e così ha risolto la questione una volta per tutte.[1]

Il mio caro amico Raffaele Iacono[2], artista ischitano che crea avvincenti opere pittoriche – provocatorie, intriganti, stimolanti, belle, … tutti aggettivi inutili che cercano di spiegare la sensazione inebriante e composita che regalano –, mi ha confidato, con voce emozionata, che leggendo quel pezzo si è riconosciuto: anche lui dipinge con dentro la voglia che il quadro “suoni” come una musica appassionata. Colpito e mosso dalla rivelazione, ho cominciato a riflettere su quel nostro sentire.

Credo che tutti saremmo d’accordo nel dire che la musica comunica emozioni e sentimenti. È però comprensibile – anche solo intuitivamente – che per parlare di comunicazione è necessario disporre di un sistema di segni che siano significanti, cioè dotati di un significato condiviso riferito a qualcosa di esterno al sistema stesso. Quello che qui ci interessa vagliare è, ovviamente, il confronto con la comunicazione linguistica, dove per esempio la parola ‘matita’ – che è un elemento (un segno, un significante) del sistema “lingua italiana” – rappresenta (o denota, ossia ha come significato) l’oggetto-matita che appartiene (non alla lingua, ma) al sistema che possiamo chiamare “realtà”[3].

Comparando musica e linguaggio ordinario, però, è evidente che la denotazione, cioè la relazione significante/significato, nella musica è quanto meno “opaca”. L’espressione musicale, a differenza di quella linguistica, è un insieme di significanti che solo in modo criptico e indiretto rappresentano i significati che vogliono veicolare. Parafrasando Jean-Jacques Nattiez[4], l’esecuzione di un brano musicale provoca in chi ascolta emozioni connesse a una percezione sicuramente soggettiva del pezzo, e da tali emozioni l’ascoltatore trae un’interpretazione altrettanto soggettiva, comunque indipendente dal messaggio che l’autore del brano intendeva trasmettere.

L’affermazione di scrivere o di dipingere con l’idea di suscitare emozioni uguali a quelle che le persone proverebbero ascoltando una bellissima musica, dunque, serve a risolvere in suggestiva metafora la voglia mia e di Raffaele di definire il meccanismo creativo, forse indefinibile, che scrive e dipinge per noi.

Ora, almeno in riferimento alla scrittura in prosa, si può tentare di uscir fuori dalla metafora introducendo l’attinenza con il linguaggio poetico. Nella poesia, come nella musica, c’è melodia, c’è ritmo, c’è armonia, e anche la poesia è simbolica, indiretta, implicita, criptica. Però è fatta con le stesse parole del linguaggio ordinario, quindi è interpretabile in una maniera meno soggettiva, e questo rende l’accostamento della scrittura in prosa con la poesia più sensato e logico di quello con la musica.

Quindi, a rigor di logica, se anche per uno scrittore fosse più consona l’aspirazione a ottenere che i suoi racconti in prosa diano al lettore la sensazione di leggere una poesia senza rime e senza versi, piuttosto che quella di ascoltare un bel brano musicale, resta inteso che, al contrario, l’ambito pittorico mostra – specialmente se tende al non figurativo, al concettuale e all’astratto, mancandogli pertanto denotazioni stringenti come quelle linguistiche – una vicinanza maggiore al registro musicale.

Ma “più sensato e logico” – diciamolo – non necessariamente significa migliore, e soprattutto non risponde all’esigenza emotiva (affine alla psicologia e non alla filosofia) mia e di Raffaele di qualificare il nostro approccio operativo.

In conclusione, mi sembra proficuo dare ascolto al nostro intuito e al nostro sentimento e ribadire che io e Raffaele dovremmo continuare ad affidarci al desiderio istintivo che i nostri lavori “suonino come una bella musica”, pur nella maggior consapevolezza del senso metaforico di questa formula, ma tenendo conto, inoltre, del raffronto con la poesia, che probabilmente ci consentirà di attingere a un’ulteriore fonte di stimoli creativi.

[1]  Pasquale Amato, C’è casa e casa, Moretti & Vitali, Bergamo 2022, p. 90.

[2]  «Sono due le principali caratteristiche dell’arte di Raffaele Iacono: il dialogo costante con la natura e la scelta di dipingere su supporti esclusivamente cartacei. Le sfumature dei suoi dipinti testimoniano la caducità del tempo che impressionò da sempre l’artista senza tralasciare però i forti messaggi che ha voluto tramandare insieme alla sua arte. […] Tanti i viaggi in giro per l’Europa visitando gallerie d’arte e musei che contribuirono a formare l’artista. Una delle sue permanenze più lunghe fu a Parigi eletta, ben presto, patria d’elezione. Tra naturalismo ed astrazione proseguì la sua arte pittorica, raccogliendo intorno a sé tanti appassionati d’arte di ogni tempo» (Raffaele Iacono – Isoladischia.com).

[3]  Questo rapporto tra significante e significato (in virtù del quale la parola ‘matita’ rappresenta l’oggetto matita) viene chiamato denotazione, e ha come implicazione il fatto che il significante ‘matita’ “trascenda” il significato oggetto-matita: le parole, infatti, trascendono la realtà, sono cioè su un piano diverso, un piano che sta “oltre”, rispetto al piano della realtà.

[4] Cfr. Jean-Jacques Nattiez, Fondements d’une sémiologie de la musique, Paris, Union générale d’éditions, 1975.

Questa voce è stata pubblicata in Numero 23 e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.