Sigmund Freud

Mariella Cosenza

 

Sigmund Freud nacque a Moravia, attuale Repubblica Ceca, nel 1856. Inizialmente Freud fu un neurologo e un fisiologo che si occupava dello studio dell’apparato sessuale delle anguille. Successivamente cominciò a interessarsi al fenomeno dell’isteria, in particolar modo grazie ai contributi di Charcot e di Breuer, fino a dar vita alla psicoanalisi e a seguirne lo sviluppo.

RICORDARE, RIPETERE, RIELABORARE – 1914

All’interno della seduta terapeutica, il metodo iniziale utilizzato da Freud fu quello ipnotico-catartico, il cui interesse nacque grazie ai contributi di Charcot e di Breuer, il quale utilizzava l’ipnosi per fare regredire i pazienti affetti da isteria e al fine di rintracciare l’origine dei loro sintomi. Ricordiamo in questo senso il famoso caso di Anna O. dove Breuer scoprì che quando la paziente sotto ipnosi dava sfogo verbale ai pensieri che riguardavano il periodo di sviluppo della malattia, certi sintomi scomparivano. Tra i vari sintomi isterici, Anna O. presentava un rifiuto nel bere l’acqua malgrado il bisogno di bere (idrofobia): durante l’ipnosi Anna riferì di avere visto una volta il cagnolino della sua dama di compagnia bere da un bicchiere, e ciò le provocò disagio, ma non aveva parlato con nessuno dell’accaduto per evitare di essere scortese. Dopo che la causa del disturbo fu così espressa (abreazione) il fenomeno non ricomparve più; si poté così dedurre per la prima volta che i disturbi isterici hanno causa nelle passate esperienze del paziente.

Freud, tuttavia, abbandonerà il metodo dell’ipnosi poiché i pazienti, apparentemente guariti, tornavano poco dopo a star male, questo perché l’inconscio del paziente e i suoi traumi rimanevano al di fuori della sfera cosciente, rimanendo esclusiva conoscenza dello psicanalista. Comincerà, quindi, a utilizzare il metodo delle associazioni libere, ossia di una tecnica per cui invece di spingere il paziente a ricordare, viene chiesto al paziente di riferire tutte le idee e le parole che gli si presentano alla mente, senza compiere nessun tentativo di controllo cosciente su questo materiale, allo scopo di allentare ove possibile i processi difensivi dell’Io, ma senza addormentare i pazienti.

Pertanto, all’interno di questo saggio del 1914, Freud mette a punto una vera e propria tecnica psicoanalitica, e utilizza la formula “ricordare, ripetere rielaborare” per indicare tre situazioni differenti all’interno della seduta psicoanalitica, volta a mettere in luce la dinamica dell’inconscio e le modalità con cui i pazienti rievocano, ripetono e rielaborano eventi passati.

  1. Ricordare” fa riferimento, nel contesto della terapia psicoanalitica, all’attivazione dei ricordi inconsci, spesso associati a traumi o esperienze dolorose che sono state rimosse dalla consapevolezza. Il paziente viene incoraggiato a recuperare tali ricordi attraverso il libero flusso di pensieri e associazioni, con l’obiettivo di portare alla luce i contenuti repressi e re-integrarli nella coscienza. Questo può avvenire attraverso:
  1. l’abbassamento della persecutorietà del contenuto rimosso, per cui verranno messe in luce gli aspetti positivi dello stesso;
  2. la ricollocazione del contenuto traumatico rimosso nel passato, poiché la nevrosi e i suoi sintomi sono caratterizzati dall’inesistenza del fattore tempo.
  1. Ripetere” si riferisce al fenomeno in cui i pazienti ripropongono, all’interno della relazione terapeutica, dinamiche e schemi relazionali che hanno caratterizzato le loro esperienze passate. Questo processo può manifestarsi come transfert (elemento tipico della ripetizione), in cui il paziente proietta sul terapeuta sentimenti ed emozioni non risolti provenienti da relazioni passate significative. Freud, inoltre, ritiene che il transfert favorisca la resistenza del paziente. Esiste inoltre il processo inverso, denominato contro-transfert che fa riferimento alle proiezioni inconsce, alle emozioni e ai sentimenti che il terapeuta può sperimentare nei confronti del paziente in base a quelle che sono le sue esperienze personali. Freud considera il meccanismo del contro-transfert come naturale e inevitabile e che può fornire al terapeuta importanti informazioni sul paziente.
  2. Rielaborare” indica il processo di revisione e reinterpretazione degli eventi passati alla luce delle nuove comprensioni e prospettive ottenute durante la terapia. Attraverso la rielaborazione, i pazienti possono sviluppare una maggiore consapevolezza dei modelli di pensiero e comportamento che li hanno influenzati, cercando di trasformarli in modi più sani e funzionali.

All’interno del trattamento terapeutico, la buona riuscita dello stesso può essere ostacolata dal meccanismo della resistenza, una forma di opposizione che il paziente mette in atto, in modo inconscio o conscio, al fine di impedire l’accesso ai propri contenuti inconsci. La resistenza aumenta man mano che si raggiunge il nucleo patologico del paziente. Se non viene superata la resistenza e non si giunge alla rielaborazione, al fine di impedire l’accesso ai ricordi inconsci, il paziente metterà in atto forme di coazione a ripetere (fuori e dentro le sedute terapeutiche e anch’esse consce o inconsce) cioè la ripetizione di modelli di pensiero, comportamenti ed emozioni derivanti da eventi traumatici passati che causano angoscia o disagio (maggiore è la resistenza, maggiore è la coazione a ripetere). Occorre precisare, tuttavia, come la coazione a ripeterenon sia la medesima cosa della ripetizione, poiché la coazione a ripetere è un comportamento che fa parte della resistenza, mentre la ripetizione non è altro che il ripercorrere eventi o emozioni del passato durante la terapia attraverso le associazioni libere.

Infine, come si vedrà nel saggio sull’inconscio, la censura psichica è strettamente collegata alla nozione di resistenza nella terapia psicoanalitica: Freud riteneva che la resistenza fosse il risultato di una censura interna che si oppone alla rivelazione dei contenuti repressi, per cui durante il processo terapeutico, i pazienti possono sperimentare una serie di difese che cercano di mantenere nascosti i contenuti inconsci e di evitare la consapevolezza di certi pensieri o desideri.

L’INCONSCIO – 1915

Il saggio “L’inconscio” è tratto da una serie di scritti intitolata “Metapsicologia” del 1915 volta a descrivere le modalità di costruzione e di funzionamento dei processi psichici. All’interno di questo saggio, per la prima volta nella letteratura internazionale, si introduce, si spiega e si giustifica in termini scientifici il concetto di inconscio e il suo funzionamento, descrivendolo anzitutto come un luogo della mente che non è sotto il nostro controllo. Questo saggio completa quello del 1914 poiché mette in evidenza il funzionamento dell’inconscio, la cui conoscenza appare fondamentale all’interno della seduta terapeutica e segna la terza ferita narcisistica dell’umanità, ossia l’impossibilità dell’umano di conoscersi del tutto.

Freud comincia la sua riflessione introducendo la prima topica, cioè la divisione della mente in tre luoghi (topoi):

  1. L’inconscio. È la parte più profonda della mente, inaccessibile alla coscienza. Contiene desideri, impulsi, ricordi e pensieri repressi che influenzano il comportamento senza che una persona ne sia consapevole. L’inconscio è governato dal principio di piacere, che cerca soddisfazione immediata senza considerare le norme sociali o le conseguenze.
  2. Il preconscio. Questa parte della mente contiene informazioni che non sono attualmente consce, ma possono essere rese consce con un po’ di sforzo o attenzione. Gli elementi preconsci includono ricordi, pensieri e conoscenze che possono essere richiamati nella coscienza.
  3. La coscienza. È la parte della mente che rappresenta la nostra esperienza conscia del mondo, sede dei contenuti immediatamente accessibili. È il livello più superficiale della mente in cui percepiamo, pensiamo e prendiamo decisioni consapevoli. La coscienza è governata dal principio di realtà, che tiene conto delle norme sociali, delle considerazioni pragmatiche e delle conseguenze delle azioni.

Una volta presentata questa tripartizione della mente, Freud ne spiegherà i due processi fondamentali che governano il suo funzionamento: il processo primario e il processo secondario.

  1. Il processo primario è il modo in cui l’inconscio opera e rappresenta il funzionamento primordiale della mente. È guidato dal principio di piacere e mira a soddisfare immediatamente i desideri e le pulsioni senza considerare la realtà esterna o le conseguenze. Nel processo primario, il pensiero è caratterizzato dall’associazione libera, dall’assenza di logica lineare e dalla predominanza di immagini, desideri e simbolismo, per questo motivo il processo primario è caratteristico dell’infanzia e delle prime fasi di sviluppo, anche se continua ad avere un ruolo significativo anche nell’età adulta.

Freud, all’interno della quinta sezione del saggio, ne spiega il funzionamento mediante precise caratteristiche che sono proprie dei sogni:

  1. Assenza di reciproca contraddizione = l’inconscio è caratterizzato da moti pulsionali (così definiti per la necessità di giustificare un aspetto emotivo con un aspetto biologico sottostante al fine di attirare l’attenzione dei medici) che esistono gli uni accanto agli altri senza entrare in contraddizione. Difatti, se nell’inconscio vi sono due moti di desiderio incompatibili fra loro, questi due impulsi non si elidono fra loro ma procedono insieme alla formazione di una meta intermedia, di un compromesso, e questo dimostra che nell’inconscio non esiste la negazione o la contraddizione.
  2. Mobilità degli investimenti = nel sistema Inc l’intensità degli investimenti è maggiore rispetto al sistema Prec e C, e sono a loro volta caratterizzati da:

b.1.Processo di spostamento = si riferisce al modo in cui l’energia psichica o la carica emotiva associata a un desiderio o a un’idea viene spostata da un oggetto o da un contenuto mentale a un altro. In altre parole, un desiderio o un impulso può essere trasferito da un oggetto o da una persona inizialmente associata ad esso, a un oggetto o a una persona sostitutiva.

b.2. Processo di condensazione = si riferisce alla tendenza dell’inconscio di unire o condensare diversi elementi o contenuti mentali in una singola rappresentazione o immagine. La condensazione è spesso presente nei sogni, in cui un singolo simbolo o immagine può rappresentare numerosi significati o contenuti inconsci.

  1. Atemporalità = i processi del sistema Inc non sono ordinati e non sono alterati nel tempo. Gli eventi possono essere rappresentati simultaneamente o senza un ordine temporale lineare, non c’è una distinzione rigida tra passato, presente e futuro nel pensiero primario.
  2. Sostituzione della realtà esterna con la realtà psichica = il sistema Inc agisce secondo il principio di piacere e non tiene conto del principio di realtà al fine di raggiungere il piacere ed evitare il dispiacere. Questo avviene anche come meccanismo di difesa per cui gli aspetti della realtà interna intollerabili e che provocano angoscia sono proiettati su quella esterna (a differenza dello spostamento, la proiezione svolge un ruolo determinante nei primi anni di vita del neonato poiché ha un’importanza conoscitiva e di costruzione dell’esperienza).
  3. Il processo secondario è associato alla coscienza e alle funzioni razionali. È guidato dal principio di realtà e tiene conto delle norme sociali, delle considerazioni pratiche e delle conseguenze delle azioni.

Nella vita quotidiana, i due processi interagiscono costantemente. Il processo primario fornisce l’energia e l’impulso dei desideri e delle pulsioni, mentre il processo secondario agisce come un filtro razionale che modera e controlla l’espressione dei desideri in accordo con la realtà esterna.

  • Ma come funziona la prima topica? Fondamentalmente l’inconscio viene considerato come il luogo del rimosso, prevalentemente costituito da esperienze infantili ma non solo. Appare qui il concetto di rimozione, una strategia di difesa e un processo psichico in cui le rappresentazioni mentali di desideri, impulsi o ricordi che sono considerati minacciosi o troppo dolorosi vengono spinti nell’inconscio. Questo processo avviene in modo involontario e impedisce all’individuo di accedere consapevolmente a tali contenuti, ma non li elimina completamente dalla psiche, essi continuano a influenzare il comportamento e le esperienze, spesso in modo distorto o simbolico. Ogni atto psichico attraversa due fasi in cui vi è una sorta di controllo operato dalla censura, ossia quel meccanismo psichico che funge da filtro e che previene che i contenuti dolorosi che sono stati rimossi nell’inconscio possano raggiungere la coscienza.
  1. Nella prima fase l’atto è inconscio e appartiene al sistema Inc e, se dopo averlo controllato, la censura lo respinge, allora permane nell’inconscio e diviene rimosso.
  2. Se l’atto supera il controllo della censura, si presenta alla coscienza come regno del preconscio, caratterizzato da una serie di contenuti che non sono totalmente coscienti ma che potrebbero diventarlo. Occorre precisare che mentre una parte di preconscio è soggetta al controllo della censura, un’altra parte non lo è.

A proposito della rimozione Freud introduce i concetti di investimento e di contro-investimento, i quali operano intrecciandosi fra loro: nel momento in cui si verifica la rimozione, l’investimento emotivo è indirizzato sempre verso la situazione traumatica originaria, mentre all’esterno il paziente opera sempre inconsapevolmente un controinvestimento, cioè l’individui reinveste il legame emotivo e le sensazioni originarie vissute in un particolare evento traumatico, verso un evento sostitutivo. Il controinvestimento non è altro che un meccanismo di difesa, un meccanismo che il paziente mette in atto per nascondere il trauma, seppur esso permanga.

Definizioni:

  • Investimento = avviene quando l’individuo canalizza la propria energia emotiva, i desideri e l’attenzione verso determinati settori della propria vita. Ad esempio, una persona può investire emotivamente in una relazione amorosa, in un hobby o in una carriera professionale. Questi investimenti emotivi sono legati al desiderio di gratificazione e soddisfazione personale.
  • Contro-investimento = può essere inteso come un meccanismo di difesa psicologica mediante il quale l’individuo indirizza la propria energia emotiva per evitare o reprimere determinati desideri o impulsi indesiderati.

Un sinonimo di controinvestimento è quello di spostamento, per cui un trauma o delle emozioni, sentimenti, vengono indirizzati verso un altro oggetto o soggetto; anche il transfert negativo è una sorta di controinvestimento ma nel contesto specifico della seduta psicoanalitica.

  • Ma l’inconscio è svuotabile? Freud afferma che l’inconscio non è svuotabile o eliminabile poiché esso non è altro che una parte intrinseca e necessaria della mente umana che contiene informazioni che sono state respinte dalla coscienza a causa di conflitti, ansie o sensi di colpa, e la repressione di tali contenuti può essere considerata come una forma di difesa psicologica che aiuta l’individuo a gestire le tensioni interne (senza sfociare nel patologico). Da Freud giungerà alla formulazione della seconda topica al fine di ampliare la comprensione della mente umana, dove parlerà non più di tre luoghi ma di tre sistemi o istanze:
    1. L’Es: rappresenta la parte più primitiva e inconscia della mente. È guidato dal principio di piacere e contiene gli istinti primari e i desideri istintuali. L’Es opera secondo un processo primario, che è un tipo di pensiero inconscio basato sul principio di piacere, il quale cerca di soddisfare i suoi desideri istantaneamente, senza tenere conto delle conseguenze o della realtà esterna.
    2. L’Io: è la parte cosciente e razionale della mente che si sviluppa nel corso della vita di una persona. L’Io agisce come un mediatore tra l’Es, la realtà esterna e le norme sociali. È guidato dal principio di realtà e cerca di soddisfare i desideri dell’Es in un modo socialmente accettabile e realistico, gestendo le tensioni e le sfide tra le richieste dell’Es e le limitazioni imposte dalla realtà e dalla società.
    3. Il Super-Io: rappresenta la coscienza morale internalizzata e le norme sociali. Si forma attraverso l’internalizzazione delle regole, dei valori e delle aspettative della società, principalmente attraverso l’interazione con i genitori e l’educazione. Il Super-Io agisce come una sorta di “giudice interno” che valuta e giudica le azioni dell’Io in base ai valori morali e alle norme sociali. Può generare sentimenti di colpa, vergogna o auto-giudizio quando le azioni dell’Io sono in contrasto con le norme interne.
  • Schizofrenia (disturbo schizoide della personalità) = Nel settimo paragrafo Freud mette in evidenza il tema della schizofrenia (scissione della mente), oggi chiamata con l’espressione di disturbo schizoide della personalità. Si tratta di una psicosi, differente dalle nevrosi, caratterizzata da allucinazioni, deliri, ed episodi psicotici, per cui il sistema Inc viene riconosciuto come reale (la differenza tra psicotico e nevrotico risiede nel fatto che nell’ultimo manca l’elemento distorsivo del reale, mentre ancora nell’individui sano prevale il sistema C). La personalità schizoide è inoltre caratterizzata da apatia e rifiuto verso il mondo esterno, mancanza di interessi e rifiuto nell’intraprendere rapporto interpersonali. Questi comportamenti dello schizofrenico possono essere ricondotti a una chiusura detta autistica nella quale non vi è né spostamento né traslazione ma un abbandono degli investimenti oggettuali per cui ci si ritira completamente nell’Io.
  • Infine, Freud descrive tre tipi di nevrosi di traslazione, laddove con questa espressione si intende la frustrazione verso un oggetto reale per cui la libido viene spostata dall’oggetto o dalla situazione originaria verso un oggetto differente:
  1. Isteria d’angoscia (nevrosi fobica) = viene oggi definita come fobia ed è caratterizzata da un controinvestimento verso un oggetto esterno, scelto in modo inconsapevole dalla mente ma che presenta delle somiglianze con l’oggetto originario. Freud spiega come la manifestazione eccessiva di paura e angoscia verso questo oggetto, spesso immotivata, è dovuta alla non corrispondenza tra inconscio e realtà. Nella seconda fase dell’isteria, la fobia si estende dall’oggetto fino ad arrivare a tutto ciò che riguarda quell’oggetto (es. dal cavallo al maneggio).
  2. Isteria di conversione (disturbo somatoforme) = oggi definita come disturbo somatoforme, è caratterizzata da un controinvestimento non verso un oggetto ma verso una parte del proprio corpo. Consiste in un conflitto psichico o emozionale convertito inconsciamente in sintomi con caratteristiche simili a quelli di una malattia neurologica, poiché la psiche porta a dei processi di somatizzazione, ma che non hanno un riscontro dal punto di vista biologico-neurologico (lesioni organiche o danni cerebrali).
  3. Nevrosi ossessiva (disturbo ossessivo-compulsivo) = oggi chiamata disturbo ossessivo-compulsivo poiché il controinvestimento si manifesta come una formazione reattiva, ossia in modo compulsivo e reattivo verso un determinato oggetto. La nevrosi si manifesta sottoforma di ossessioni come idee, impulsi intrusivi ai quali seguono come risposta delle compulsioni, definite come dei comportamenti ripetitivi.

  

MELANIE KLEIN

Melanie Klein è una psicoanalista di seconda generazione, ossia viene dopo le teorizzazioni dello psicoanalista Freud. Melanie Klein appare decisiva e particolarmente importante nell’orizzonte della psicoanalisi perché riprende il problema dell’istinto di morte che Freud aveva introdotto nel saggio “L’io e l’Es” del 1922 e nel saggio “Al di là del principio di piacere” del 1920, dove dentro l’Es (seconda topica) non vi era solo l’istinto di vita (come si pensava nella prima topica, cioè nel principio di piacere) ma introduce l’istinto di morte attraverso varie evidenze cliniche (gioco del rocchetto, vedi appunti Freud). Tuttavia, Freud non coglie l’importanza trasformativa dei giochi come quello del rocchetto e di questi meccanismi psichici in atto, ma si sofferma esclusivamente sull’aspetto della ripetizione di comportamenti dolorosi (istinto di morte che porta alla ripetizione di questi atti dolorosi), Freud incorpora questo istinto in un corpus di conoscenze psicoanalitiche fallace e scarso, non chiarisce il senso psichico funzionale dell’istinto di morte, il motivo per cui un bambino debba possedere l’istinto di morte, seppur la spiegazione clinica sia abbastanza moderna.

Saranno Melanie Klein e Donald Winnicott a portare questo meccanismo di ripetizione al centro di una trasformazione di qualcosa che precedentemente ci aveva lasciato passivi e impotenti in qualcosa che possiamo controllare in termini maggiori. 

Melanie Klein nasce nel 1882 a Vienna. Ultima di quattro figli, sua sorella Sidonie muore a 9 anni e suo fratello Emanuel muore a 20 anni. Trasferitasi a Budapest viene in contatto con lo psicoanalista Ferenczi (prima generazione), presidente della società ungherese di psicoanalisi, il quale fu il primo a consigliarle di mettere in atto le sue analisi sui bambini. Nel 1924 fa una seconda analisi con lo psicoanalista Abraham che durò solo 9 mesi a causa della morte dello psicoanalista. Le morti ricorrenti nella vita della Klein, assieme quella del secondo figlio di Hans, saranno decisive nelle sue teorizzazioni. Ebrea anch’essa e per questo motivo si rifugia a Londra, la quale diventa il centro della psicoanalisi mondiale, dove convergono i maggiori psicoanalisti di seconda generazione (Klein, Anna Freud, Winnicott). La Klein, assieme ad Anna Freud, si interessa all’applicazione della psicoanalisi ai bambini, cioè della psicoanalisi infantile.

Anna Freud non credeva che i principi della psicoanalisi fossero applicabili ai bambini a causa della presenza di investimenti affettivi precari poiché le figure affettive infantili non erano ancora introiettate, e ciò poteva ostacolare l’applicazione della cura psicoanalitica sui bambini; per questo motivo, Anna Freud si interessa principalmente dei meccanismi di difesa sui bambini (proiezione, spostamento, identificazione proiettiva, negazione, etc).

A differenza di Anna Freud, Melanie Klein ha una concezione differente. Anzitutto perché non ha una formazione eccessivamente accademica (non riuscì a entrare a medicina), e in secondo luogo, perché è staccata dalle influenze di Freud.

Melanie Klein porta così al centro dello studio della psicoanalisi infantile il gioco: vi sono delle procedure tecniche nella psicoanalisi che possono essere adottate con i bambini e che fanno sì che possa nascere la psicoanalisi infantile. In questo senso non si fa riferimento alle associazioni libere freudiane poiché il bambino non possiede una grande proprietà di linguaggio, ma a una serie di giochi con cui si può mettere in evidenza alcuni aspetti della personalità del bambino che vengono interpretati dallo psicoanalista: attraverso il gioco libero Melanie Klein mette in atto un rapporto meno neutrale rispetto a quello con gli adulti messo in atto da Freud durante le sedute terapeutiche.

Le teorizzazioni della Klein porteranno un cambio di direzione verso quella che era l’interpretazione della figura infantile dell’epoca cioè del bambino puro, mettendo in evidenza gli aspetti di odio e di ostilità.

Riprendere le fasi dello sviluppo psicosessuale di Freud appare necessario per la comprensione del saggio di Melanie Klein “I primi stadi del conflitto edipico” del 1928, poiché saranno riprese e corrette dalla psicoanalista.

  1. Fase orale= 0-1 anno, ha come compito quello dello svezzamento. L’aspetto che vero che permane di questa fase freudiana è che il bambino conosce il mondo attraverso la bocca in quanto in questa fase esso interpreta il mondo in base ai sensi (stadio senso-motorio secondo Piaget), (tendenza a portare gli oggetti alla bocca per scoprire il mondo). A questo proposito Melanie Klein approfondirà questa fase, affermando che l’oralità non si presenta esclusivamente come pulsione epistemofilica, cioè di impulso a conoscere, ma sarà anche fonte di tutte le aggressività del neonato (tendenza a mordere, ad esempio) poiché tutto lo spettro emotivo, in questa fase, passa attraverso la bocca. In questo senso la bocca diviene il centro della pulsione epistemofilica e della pulsione aggressiva.
  2. Fase anale = 2-3 anni, controllo sfinterico. L’aspetto del controllo sfinterico appare poco importante nelle teorizzazioni più moderne, seppur può portare con sé delle vicissitudini cliniche come una maggiore attitudine al controllo, allo sporcare, etc, ma esse non dipendono esclusivamente dalla fase di per sé quanto anche da un clima teso nell’ambiente familiare.
  3. Fase fallica= 4-5 anni, lo step da superare è quello del complesso edipico. Si chiama complesso edipico perché viene dal mito di Edipo, dove uccide il padre e sposa la madre. Questo mito viene citato da Freud per spiegare lo sviluppo infantile del bambino.

Melanie Klein affermerà all’interno del suo saggio che è falso il fatto che il complesso edipico si sviluppi intorno ai 4-5 anni, ma è vera la dinamica emotiva: l’entrata di un terzo elemento all’interno di una relazione simbiotica che, nella maggioranza dei casi, è il padre, cioè il caregiver secondario.

Prima di arrivare al complesso edipico, la Klein afferma che quando il bambino nasce il mondo esterno del bambino è la madre, il caregiver principale, poiché essa possiede il latte, e questa differenza biologica fa sì che, nella maggioranza dei casi, il caregiver principale sia la mamma. Questa esperienza dell’allattamento diventa il suo mondo esterno, cioè il neonato si relaziona con un aspetto parziale della mamma o oggetto parziale (oggetto pregenitale), il seno (o l’utero se si fa riferimento al mondo interno del bambino). Dopo i primi mesi (0-3 mesi), se queste interazioni cicliche tra seno, cioè cibo, e alleviarsi dell’angoscia, permangono, l’oggetto parziale diviene oggetto totale, cioè il caregiver principale nella sua integrità (fase genitale, l’oggetto totale si ha dall’integrazione degli oggetti parziali). È in questa fase che si sviluppano le prime categorie mentali di buono e cattivo, amore e odio, cioè di vicinanza simbiotica e lontananza di odio, le quali polarità ci insegnano a stare col mondo (amore) e a costruire l’identità (odio). La categoria di amore, di buono, nasce dall’esperienza simbiotica col seno, il quale allieva gli aspetti corporei spiacevoli derivati, ad esempio, dalla fame; mentre la categoria di odio e quindi di identità si fonda dall’esperienza di frustrazione per la mancanza del cibo, ad esempio.

L’oggetto totale rappresenta una complessificazione del mondo esterno, perché complessifica gli aspetti emotivi dai quali il bambino è stimolato poiché subentrano aspetti emotivi, di inclusione, esclusione, gelosie, sensi di colpa, ed è presente una simbiosi, cioè vi è un oggetto totale fuori da cui il bambino dipende e con il quale entra in relazione.

  1. Fase di latenza = 6-12 anni, dove secondo Freud non si osservano pulsioni sessuali, sembra che il bambino sia disinteressato.
  2. Fase genitale = 13 anni in su, la sessualità entra in gioco.

Questa scaletta possiede i suoi pilastri clinici attuali nelle fasi dell’oralità, anche se non si ha a un anno ma si ha nei primi 6 mesi; della genitalità, cioè dall’adolescenza in poi; nella fase di latenza vi è sicuramente, prima della pubertà, una diminuzione dell’interesse sessuale ma le date non coincidono molto; la fase fallica appare totalmente fuori focus: lo dirà Melanie Klein. Rimane l’idea del complesso edipico, la quale è pertinente ma si gioca da 0-1 anno e mezzo. La fase anale non ha particolari rilevanze cliniche, non è una categoria clinica che dà particolari informazioni.

Per Melanie Klein, inoltre, la formazione del Super-io, che avviene da 0-1 anno, trova le sue fondamenta nel complesso edipico; si ha quindi la retrodatazione del complesso edipico (saggio “I primi stadi del complessoedipico” – 1928) e la retrodatazione del Super-io (saggio “Lo sviluppo della coscienza morale” – 1933), sono questi i due contributi scientifici fondamentali di Melanie Klein nella cornice della psicoanalisi infantile.

Mentre per Freud il Super-io nasceva col superamento del complesso edipico, per la Klein la situazione è ribaltata, cioè il Super-io si presenta prima del complesso edipico.

Il complesso Edipico coincide, secondo Melanie Klein, con la fase depressiva (5-12 mesi) del bambino. Questa fase è caratterizzata da una complessificazionedella realtà psichica del bambino ed è il risultato della posizione depressiva per cui gli individui (la madre) non sono più concepiti come degli oggetti parziali e separati ma come oggetti totali in relazione fra loro.

La situazione di simbiosi tra la madre e il figlio viene spezzata dall’introduzione di una terza figura (generalmente il padre) che trasforma questa diade in una triangolazione, in una situazione ambivalente. In questa situazione triadica il bambino riconosce il rapporto libidico tra i genitori e proietta in essi i suoi impulsi libidici e aggressivi, sperimentando emozioni molto più complesse come la gelosia, l’invidia e la deprivazione che verranno alleviati dalla comparsa della madre qualora il bambino sperimenti questi sentimenti di controllo e di distruzione.

Melanie Klein arriva ad affermare che, poiché il legame di simbiosi e quindi la dipendenza è molto maggiore con il caregiver primario, cioè la madre, le frustrazioni e le angosce di evirazione saranno maggiori. Inoltre, poiché il bambino, da una prima identificazione col caregiver primario è costretto a mettere in atto uno spostamento di identificazione verso il papà, questo, chiaramente, genera una famigliarità verso un passaggio, verso un de-investimento e un re-investimento emotivo; nella bambina, invece, questo passaggio non avviene, essa cambia la posizione libidica ma non la meta, nel senso che l’identificazione rimane sul caregiver primario. Questa è la giustificazione razionale di Melanie Klein dell’osservare e inquadrare le angosce della bambina come maggiori.

Questo saggio di Melanie Klein mette in discussione la teoria del complesso edipico già elaborata da Freud. Melanie Klein parte dall’assunto che vi è una differenziazione della formazione delle istanze psichiche del bambino: l’Io del bambino esiste sin dalla nascita anche se in modo poco integrato, l’Es viene ripreso dalla teoria freudiana come caratterizzata da questa dualità dell’istinto di vita e dell’istinto di morte, mentre la formazione del Super-io ha inizio dai 6-12 mesi come conseguenza della posizione depressiva in cui il bambino si trova.

Per Melanie Klein sin dalla nascita il bambino è in preda a forti emozioni, positive e negative, che permettono di sviluppare nel suo orizzonte psichico le due più grandi categorie di amore e di odio, sentimenti di costruzione e sentimenti di distruzione. Per questo motivo lo sviluppo emotivo del bambino appare come attraversato da due posizioni (laddove il termine posizione sottolinea lo stato di organizzazione dell’Io rispetto a quelle che sono le relazioni con l’oggetto, dunque è un chiaro riferimento a quella che è la teoria delle relazioni oggettuali):

  1. La posizione schizo-paranoide (così chiamata perché schizo fa riferimento all’Io del bambino che è caratterizzato dalla scissione, e perché paranoide fa riferimento a un’angoscia che è, appunto paranoide) si ha dai 0 ai 4 mesi, dove si hanno le prime interazioni con gli oggetti parziali (il seno della madre, del caregiver principale). Questa fase è caratterizzata da un conflitto di base psichico del bambino tra la pulsione di vita e la pulsione di morte e si fonda sulla triade scissione – introiezione – proiezione.

Nel primo incontro con la madre il bambino instaura una relazione con il suo seno (oggetto parziale) il qual sin da subito diviene seno buono, se esso è capace di soddisfare i bisogni fisiologici del bambino e lo gratifica, e seno cattivo e ostile se non ne è in grado, poiché danno vita nel bambino a sentimenti di persecuzione e a un’angoscia persecutoria. In questo senso il bambino pone una scissione tra la pulsione di vita e la pulsione di morte, e, al fine di affrontare l’angoscia di annichilimento l’Io sviluppa una serie di meccanismi di difesa, tra cui l’introiezione e la proiezione. L’Io infatti cerca di introiettare ciò che è buono e proiettare all’esterno ciò che è cattivo, per cui la pulsione di morte viene proiettata e trasformata in aggressività e ostilità (al fine di proteggere le parti buone del proprio Sé) verso un oggetto esterno (il seno della madre), la cui ostilità viene espressa in base a quello che è lo sviluppo dell’apparato psichico del momento e attraverso il lessico corporeo. Vi è però un altro meccanismo di difesa che caratterizza questa fase ed è quello dell’identificazione proiettiva, per cui il bambino proietta nell’altro parti negative del proprio Sé al fine di possedere e controllare.  Tuttavia, le stesse modalità con cui il bambino attacca sono le stesse che lui teme per una sorta di vendetta da parte dell’altro, e per questo motivo Melanie Klein osserva che il Super-io nel bambino è molto più severo che negli adulti, poiché la paura di morire è molto più severa: il bambino non ha le capacità per capire i sentimenti come la fame, ad esempio.

  1. Il passaggio dalla posizione schizo-paranoide alla posizione depressiva, che dura dai 5 ai 12 mesi, si ha quando l’Io è sufficientemente integrato e riesce a tollerare l’ambivalenza degli oggetti buoni e degli oggetti cattivi. Il bambino non riconosce più il corpo della madre e il suo seno come degli oggetti separati, ma li concepisce come un altro da sé, come un oggetto totale, in modo integrato; per questo motivo, le esperienze di angoscia o di piacere non provengono più dalla mammella ma dalla madre nella sua interezza.

La posizione depressiva coincide con il periodo dello svezzamento (frustrazioni sadico-orali e sadico-anali): il bambino si scopre dipendente dalla madre per la soddisfazione dei propri bisogni e per questo motivo si ha una complessificazione dello sviluppo emotivo, cioè il bambino sperimenta l’amore, la malinconia, l’impotenza, caratteristica propria della fase depressiva. Questi sentimenti di angoscia sono alla base di quello che è l’elaborazione del lutto: il bambino tende a interpretare lo svezzamento come la perdita del seno buono dal quale deve separare la propria identità se intende sopravvivere, e, per questo motivo nasce il pensiero simbolico come creazione di oggetti verso i quali il bambino può scaricare la propria aggressività e indirizzare le proprie pulsioni libidiche, anche se permane la presenza di un Super-io molto severo dovuto alle paure persecutorie ancora attive e all’inserirsi di un terzo soggetto che spezza il legame simbiotico tra la madre e il bambino (complesso di edipo). Occorre precisare come un’ostilità maggiore e un Super-io molto severo e persecutorio fanno sì che le pulsioni epistemofiliche siano minori, cioè in un ambiente ostile il sistema esplorativo del bambino è inibito. Tuttavia, l’introduzione del terzo soggetto nel legame simbiotico madre-figlio diviene fonte di sensi di colpa nel bambino che lo spingono a riparare (riparazione) ciò che prima ha cercato di danneggiare e di controllare, ma il ricomparire della figura della madre dopo ogni attacco sadico da parte del bambino, fa sì che il bambino recuperi fiducia nelle sue capacità riparative. Attraverso la ripetizione delle esperienze di perdita e di riparazione, l’oggetto viene meglio assimilato dall’Io e si avrà la nascita di un Super-io meno ostile.

Nell’articolo “Violence and Capacity to Hate” analizza due configurazioni relazionali opposte: la violenza e la capacità di odiare: mentre la prima porta a un impoverimento psichico, la seconda a uno sviluppo psichico.

L’assunto da cui parte l’articolo è che la società occidentale non contempla uno spazio per l’odio: a differenza dell’amore e delle emozioni positive (speranza, gioia, etc.), le emozioni opposte come l’odio e la paura vengono fortemente represse e interpretate come dei meccanismi di difesa. La società occidentale, infatti, si configura come una società che esalta la libertà e l’eguaglianza, caratteristiche positive.

Tutti questi sforzi del mondo occidentale volti a reprimere l’odio hanno delle svolte negative: impoverimento culturale della società a causa di un possibile e fruttuoso contatto con altre società, spreco di risorse economiche, etc, eppure le società occidentali si pongono nella posizione di reprimere e combattere la politica dell’odio, questo attraverso specifiche forme di reazione reattiva, come, ad esempio:

  • La “decolonizzazione dei curricula”, tipico del mondo anglosassone e della sua storia colonialista, dove il governo prescrive alle università di rimuovere dai programmi didattici, di formazione, ogni traccia di supremazia del “mondo occidentale maschile e bianco” sul resto del mondo al fine di garantire un eguale valore alle teorie e ai risultati scientifici delle minoranze etniche e, quindi, una maggiore integrità accademica. Nonostante la decolonizzazione dei curricula sembri entrare in contrasto con il metodo scientifico, essa viene comunque mantenuta a causa del terrore di essere identificati come “uomini bianchi occidentali colonialisti” e al fine di mantenere la rimozione dell’odio latente e dei sensi di colpa derivanti dall’essere stati dei colonialisti (repressione della coppia odio-senso di colpa).

Dunque, maggiore è l’assurdità dell’accusa, più grave è lo stato psicopatologico della società occidentale.

Odio nei bambini

Se facciamo riferimento ai bambini, il discorso cambia.

Nei bambini il sentimento di odio è un’emozione naturale che si manifesta sin dalla nascita: basti pensare al fatto che essi desiderano la vicinanza dell’oggetto buono che permette la nascita della macrocategoria dell’amore, come il seno della madre che soddisfa i loro bisogni fisiologici, e desiderano la lontananza dell’oggetto cattivo che provoca in loro frustrazione e che permette in loro la nascita della macro-categoria dell’odio, come la sensazione di fame.

La nascita di queste due grandi categorie affettive, che è indice di uno sviluppo psichico sano, è una conseguenza inevitabile sia, ad esempio, dell’esperienza di assenza del bambino del latte materno, sia dell’allargamento del mondo esterno dei bambini.

Tuttavia, questa diade amore-odio e vicinanza-distanza è una dimensione affettiva primitiva che a livello neurofisiologico è associata alla funzione lotta-fuga (fight-flight) del tronco cerebrale, la parte più antica del cervello. È possibile, inoltre, immaginare lo sviluppo psichico e affettivo come un albero che possiede due grandi rami che rappresentano le due macro-categorie di amore-odio e ulteriori ramificazioni che sorgono man mano che lo sviluppo avanza, e la cui resistenza è proporzionale alla frequenza del loro utilizzo. Tuttavia, maggiore è la psicopatologia, maggiore sarà l’impoverimento psichico; l’individuo perde cioè la capacità di utilizzare la vasta gamma di risonanze affettive perché troppo dolorose.

Ma, se nello sviluppo psichico le categorie di odio e amore trovano il loro spazio e sono funzionali alla corretta crescita dell’apparato psichico, da dove derivano i comportamenti violenti?

Contributi pioneristici: Melanie Klein e Donald Winnicott

Melanie Klein ha contribuito in modo particolare nella definizione di questo tema, in particolar modo grazie ai saggi: “Le tendenze criminali nei bambini normali” del 1934, “Lo sviluppo precoce della coscienza nelbambino” del 1933, “Sulla criminalità” del 1934, “Appunti su alcuni meccanismi schizoidi” del 1946 e “Invidia e gratitudine; uno studio delle fonti inconsce” del 1957.

Le osservazioni cliniche kleiniane in questo senso sono fondamentali: secondo la Klein, il comportamento antisociale si fonda sull’istinto di morte, una spinta innata che risiede nell’Es. L’istinto di vita (amore) e l’istinto di morte (odio) risiedono nell’Es sin dalla nascita e organizzano le prime relazioni del neonato col mondo esterno. Tuttavia, mentre nel pensiero della Klein l’origine dell’odio è abbastanza semplice, non sono altrettanto gli effetti: l’istinto di morte distorce le rappresentazioni genitoriali interne del bambino, e più è forte l’istinto di morte, più le imago (immagini, cioè la percezione dei caregiver) verranno percepite come persecutorie; più è forte la spinta della pulsione di morte, maggiore è la quantità di odio e dei suoi derivati che vengono proiettati sul caregiver, e maggiore è la necessità dei neonati di difendersi. Questa organizzazione del mondo interno del bambino viene definita schizo-paranoide: “schizo” perché la realtà del neonato viene divisa in due polarità opposte: amico-nemico, odio-amore, io buono-tu cattivo, e “paranoide” per sottolineare il meccanismo proiettivo che sottostà a questa dinamica (vedi appunti Melanie Klein).

Questo circolo vizioso descritto da Melanie Klein è al centro della geopolitica e delle relazioni internazionali e prende il nome di “dilemma della sicurezza”. Il dilemma della sicurezza si fonda sulla paura che uno stato A possa essere attaccato da uno stato B. Per questo motivo, A, come precauzione, potrebbe espandere la propria sicurezza interna ed esterna. Questo comportamento però, viene interpretato da B come un segnale dell’intenzione di A di attaccare. Come conseguenza, anche lo stato B decide di espandere la propria sicurezza interna ed esterna. A eB, dunque, continuano ad espandere la propria sicurezza fino all’avvento di un confronto diretto.

Questo circolo vizioso, secondo la Klein, viene interrotto nel momento in cui il bambino entra in quella che viene definita “posizione depressiva”: il bambino ha cioè la consapevolezza che il mondo esterno non è solo cattivo e persecutorio ma può generare anche soddisfazione e contentezza; per questo motivo, questa fase viene definita “depressiva”, cioè perché il bambino, dopo essersi reso conto di aver attaccato e tentato di distruggere l’oggetto esterno, mette in atto tendenze riparatrici.

Anche Donald Winnicott ha fornito dei contributi decisivi in questo senso, i quali sono stati raccolti nella seconda parte del libro intitolato “Deprivazione e Delinquenza” del 2015. In particolare, i principali sono: “L’aggressività e le sue radici” del 1964, “Lo sviluppo della capacità di interessarsi” del 1963, “La tendenza antisociale” 1956, “Youth willnotsleep” del 1964. Winnicott afferma in questo senso che l’insorgenza di tendenze antisociali deve collegarsi a esperienze di “vera privazione” (truedeprivation), laddove questa espressione indica un’esperienza di perdita vissuta dal bambino. Il fenomeno della “vera deprivazione” implica due aspetti diversi:

  1. la perdita, legata all’esperienza traumatica;
  2. la condizione consecutiva di privazione che sostiene il trauma nel tempo.

In questo senso, la violenza antisociale viene interpretata da Winnicott come un comportamento che trasmette la speranza di trovare un buon oggetto nell’ambiente in grado di provvedere al sostegno emotivo del soggetto. Per questo motivo, gli individui con tendenze antisociali cercano un ambiente che si opponga alla loro aggressività e si prenda cura dei loro bisogni emotivi.

Melanie Klein e Winnicott elaborano due posizioni terapeutiche in questo senso:

  1. la Klein esprime l’importanza di affrontare gli aspetti aggressivi presenti nel mondo interno del paziente al fine di alleviarli e permettere la loro espressione e il loro riconoscimento all’interno della seduta terapeutica. Eliminare i comportamenti antisociali significa, quindi, alleviare la natura persecutoria del mondo interno del paziente;
  2. Winnicott sottolinea l’importanza di affrontare l’esperienza di perdita e di privazione del paziente, identificando il ruolo del terapeuta come un oggetto ausiliario che soddisfa i bisogni del paziente, che abbia la funzione di sostegno emotivo.

Contributi moderni sulle tendenze antisociali

Nell’articolo “Un contributo psicoanalitico alla comprensione delle tendenze criminali” del 2020 vengono portati alla luce ulteriori elementi per la comprensione del comportamento violento.

In primo luogo, viene introdotta la nozione di “vitalità psichica” la quale, se deriva dalla macro-categoria dell’amore, viene definita “vitalità psichica positiva” (+ psychicvitality), mentre se deriva dall’odio viene definita “vitalità psichica negativa” (- psychicvitality). Esempi di vitalità psichica positiva sono i comportamenti altruistici, della gratitudine e prosociali all’amore, mentre esempi di vitalità psichica negativa sono le possibili trasformazioni positive dell’odio, come l’assertività o la malinconia introspettiva che possono aiutare a raggiungere un obiettivo. La vitalità psichica negativa non è, quindi, l’opposto della vitalità psichica positiva, la quale viene invece rappresentata dalla “seccatura psichica” (psychicdryness), ossia la condizione di impoverimento psichico in cui l’individuo non trova piacere nel rapportarsi col mondo esterno.

Questo caso fa riferimento a condizioni psicopatologiche molto gravi in cui il rapporto individuo-mondo viene interrotto e l’individuo perde la capacità di elaborare la realtà esterna in termini psichici.

All’interno di questa organizzazione psichica, la mente si comporta in modo analogo al sistema nervoso autonomo, per cui da un lato, nel percorso parasimpatico, vi è la possibilità di riposare, cioè questa via porta l’individuo a non avere relazioni con gli oggetti esterni; dall’altro lato, il percorso simpatico offre la possibilità di combattere e fuggire, cioè spinge l’organismo ad avere relazioni oggettuali. Se il percorso simpatico è attivato, non ci sono differenziazioni affettive nella relazione individuo-mondoesterno: combattere-dominare-distruggere (- vitalità psichica) e amare-condividere-prendersi cura (+ vitalità psichica) significano la stessa cosa. Infine, la configurazione più matura della relazione individuo-mondo esterno è quella in cui la vitalità psichica positiva e negativa sono differenziate (differenziazione della vitalità psichica odifferentiation of psychicvitality). In questo ultimo caso, la mente riesce a comprendere che combattere-dominare-distruggere e amare-condividere-prendersi cura sono due modi distinti di relazionarsi agli oggetti, che producono risultati affettivi diversi sia nell’oggetto che nel soggetto stesso.

La violenza antisociale, in questo senso, è un comportamento che sta alla base della configurazione della relazione individuo-mondo esterno per cui non vi è una differenza tra vitalità psichica positiva e negativa, poiché il violento antisociale esibisce entrambi i comportamenti.

La creazione di nuovi significati identitari nel processo di radicalizzazione violenta di individui che commettono atti criminali viene affrontata nell’articolo di Alessandro Orsini “Ciò che tutti dovrebbero sapere sulla radicalizzazione e il modello DRIA” del 2020 (DRIA = Disintegrazione, Ricostruzione, Integrazione; Alienazione).

Orsini riprende il contributo dell’autore Fatali M. Moghaddam, il quale teorizza una scala con, ad ogni gradino, condizioni psicologiche e sociali specifiche dell’individuo:

  1. al primo gradino l’autore colloca individui che vorrebbero migliorare il loro status sociale e che sentono di aver subito una deprivazione relativa;
  2. al secondo gradino vi sono coloro che sentono di voler porre rimedio alle ingiustizie che sentono di aver subito; se essi concepiscono la società come disonesta e organizzata in modo che venga impedito loro di migliorare il proprio status, la possibilità di salire al terzo gradino aumentano;
  3. nel terzo gradino, a causa dell’impossibilità di cambiare l’intera società, gli individui spostano la loro aggressività all’esterno, creando una situazione amico-nemico polarizzata;
  4. nel quarto gradino gli individui concepiscono i gruppi terroristici in quanto come l’unico modo per riscattarsi socialmente;
  5. nel quinto gradino gli individui fanno ormai parte dei gruppi terroristici. In questa fase, il mondo visione amico-nemico si consolida, la loro identità viene trasformata e la violenza viene concepita come necessaria;
  6. nel sesto gradino, gli individui compiono atti terroristici e non provano alcun senso di colpa nei confronti delle loro vittime in quanto percepite come il nemico da eliminare.

Dunque, secondo Moghaddam, il percorso verso il terrorismo è la conseguenza di una discrepanza tra ciò che un gruppo o un individuo pensano di meritare e ciò che pensano di poter raggiungere.

Su questa base, Orsini denomina il suo modello teorica sulla radicalizzazione DRIA che sta per: Disintegrazione dell’identità sociale (dettata da una crisi esistenziale, eventi traumatici, dal fatto che l’individuo crede che nella società non ci sia spazio per i propri valori, etc), Ricostruzione dell’identità sociale attraverso un’ideologia radicale (il mondo appare come diviso in due poli: amici da un lato, nemici dall’altro) Integrazione in una setta rivoluzionaria (dopo aver abbracciato un’ideologia radicale, gli individui abbracciano nuovi gruppi che condividano le stesse convinzioni), Alienazione dal mondo circostante (separazione concreta e ideologica del gruppo radicalizzato dal mondo circostante).

Questi contributi sui processi di radicalizzazione possono essere evidenziati in tre pilastri comuni, cioè le tre N: Needs(necessità), Narrative (narrazioni) e Networks (Reti).

In questo senso, i bisogni narcisistici di base, se costantemente frustrati, generano sentimenti di auto-svalutazione; in questa situazione, le narrazioni dei gruppi terroristici si legano bene al bisogno narcisistico del soggetto, e si configurano come potenziale via d’uscita; questa rete del gruppo terroristico, dunque, ristruttura l’identità del soggetto e dà origine a dinamiche relazionali di lotta-fuga (fight-flight), amico-nemico, bene-male.

Conclusioni

Alla base dei comportamenti violenti, dunque, vi sono diversi fattori, ma alla base della relazione violenta tra mondo-esterno e individuo vi è sempre la configurazione psichica lotta-fuga, la quale comporta un effetto collaterale: la negazione dell’”alterità” (otherness). In questo senso, gli altri individui, con i loro bisogni e il loro diritto di partecipare alla vita quotidiana, non esistono. Essi sfociano nella macrocategoria psichica del nemico che deve essere attaccato o da cui bisogna fuggire, e la cui figura nemica non è altro che la proiezione delle proprie paure e insicurezze sull’altro. Inoltre, c’è un effetto collaterale peggiore della relazione individuo-mondo esterno qui discussa: la struttura psichica viene trasmessa di generazione in generazione. Pertanto, una famiglia totalmente permeata da questo impoverimento psichico infetta i propri figli, che avranno numerose difficoltà nell’emanciparsi da questa struttura interna.

Per odiare in modo competente, è necessario conoscere gli “altri“, capire i loro valori e sentimenti personali, comprendere le loro differenze; evitare di assumere che i nostri standard siano raccomandabili per gli altri; evitare di esportare i modelli con cui vediamo il mondo.

 

Donald Winnicott

Donald Winnicott fu un pediatra e uno psicoanalista britannico che dapprima si accostò a quelle che furono le concezioni kleiniane del rapporto tra madre e bambino ma dalle quali successivamente si staccò per entrare a far parte dei cosiddetti indipendentisti (middle group). L’infanzia malinconica di Winnicott (la madre soffriva di depressione) lo porta ad interessarsi al ruolo che svolge l’ambiente nello sviluppo psichico del bambino e, in particolar modo, alle carenze derivate da esso. Qui si trova il punto di divergenza tra Winnicott e Melanie Klein: mentre per la psicoanalista le tendenze antisociali erano il risultato di un fattore innato, cioè dell’impasto pulsionale tra l’istinto di morte e l’istinto di vita, per Winnicott non sono altro che la conseguenza delle deprivazioni ambientali.

Tre sono i concetti chiave del pensiero di Winnicott:

  1. il concetto di vero e falso sé;
  2. il concetto di oggetto transizionale;
  3. l’importanza della relazione madre-figlio.

All’interno del saggio “Lo sviluppo emotivo primario” fondamentali sono i concetti di madre e di ambiente di cura: affinché lo sviluppo dell’infante proceda nel modo più corretto e sano possibile, la madre deve fornirgli le cure adeguate, ma questo può avvenire solo se essa è sostenuta dalla figura paterna, poiché le fasi dello sviluppo dell’infante corrispondono, dal punto di vista dello sviluppo della figura materna, alle fasi dello sviluppo del vivere con, ossia:

  1. relazione diadica madre-bambino;
  2. relazione triadica madre-padre-bambino.

La teoria dello sviluppo emotivo del bambino passa quindi attraverso tre fasi:

  1. Stadio del pre-concern o di dipendenza assoluta (simile alla posizione schizo-paranoide della Klein). Nella prima fase (0-6 mesi) l’infante si trova in una situazione di dipendenza assoluta dalla madre, il bambino e la madre si trovano in una relazione di totale simbiosi (seppur Winnicott rifiuti il concetto di simbiosi perché troppo biologico). Dalla nascita fino ai sei mesi di età il bambino vive in una realtà costruita soggettivamente, non distingue gli stimoli interni da quelli esterni, per questo motivo le caratteristiche principali della mente infantile sono la dispersione e la frammentazione. Il bambino è in una condizione di non-integrazione, non si percepisce come individuo separato, né avverte il mondo come indipendente da sé ossia non distingue fra il sé e l’altro da sé, crede che tutto ciò che vede sia una sua proiezione e una sua creazione, tant’è che Winnicott afferma che il bambino vive una breve esperienza di onnipotenza. Le sue angosce sono terrori senza nome che lo sommergono e gli danno l’impressione di andare in pezzi. L’infante è completamente dipendente dalle cure materne e, allo stesso tempo, ne è inconsapevole. Winnicott in questo senso fa riferimento a quella madre sufficientemente buona la quale grazie al fatto che possiede la cosiddetta preoccupazione materna primaria, è in grado di fornire al bambino le cure che gli sono necessarie e di assecondare lo stato di onnipotenza in cui il bambino si trova (ad esempio, essendo tempestiva e presente quando il bambino ha fame). Al concetto di madre sufficientemente buonaWinnicott collega il concetto di “holding” per fare riferimento sia alle cure fisiche (tenere in braccio il bambino) sia alle cure psicologiche (tenere insieme i pezzi del suo Io che appare non ancora integrato).
  2. Stadio transizionale o di dipendenza relativa (simile alla posizione depressiva della Klein).In questa fase, che va dai 7 mesi ai 2 anni, il bambino comincia a distinguere il sé dall’altro da sé: la non coincidenza tra i bisogni del bambino e l’intervento della madre che porta alla comparsa di una mutua attesa sgretola la fiducia del bambino nella comparsa dell’oggetto (se questa non è associata ad attese prolungate che sfociano nel patologico). In questo senso, la madre diventa un’esperienza non più esclusivamente gratificante ma anche fonte di frustrazione (non eccessiva). Per gestire l’esperienza di angoscia e di frustrazione il bambino sviluppa uno spazio transizionale, cioè uno spazio concepito sia soggettivamente ma anche oggettivamente e che funge da cuscinetto tra il mondo interno e la realtà esterno, un luogo dove il bambino può dare sfogo alla creatività, e comincia a fare uso dei cosiddetti oggetti transizionali, cioè di oggetti che per primi vengono concepiti come altro da sé (pollice, lembi di lenzuola, peluche, etc) e che permettono il sano distacco dalla madre e il passaggio dall’onnipotenza soggettiva alla realtà oggettiva condivisa. Questo processo di re-integrazione, inoltre, può essere accompagnato dalla ripetizione di pattern ricorrenti come odori, suoni, presenza di oggetti quando il bambino ha determinate necessità (come la sequenza fame -> cibo)
  3. Stadio del concern o di indipendenza. Questa fase si manifesta a partire dai 3 anni. Qui il bambino comincia gradualmente a fare a meno delle cure della madre e a rendersi gradualmente più indipendente accorciando lo scarto tra il suo mondo interno e la realtà esterna. Questo processo dà vita al Vero sé.

Nel paragrafo “Reality Adaptation” (adattamento alla realtà) Winnicott pone una distinzione tra pensiero magico e pensiero reale:

  1. Pensiero magico= è tipico dello stadio di dipendenza assoluta o pre-concern dove il bambino sperimenta la condizione di onnipotenza. La mente del bambino è attraversata da una frammentazione interna, per cui egli crede di poter far apparire e scomparire gli oggetti quando e come lo desidera, come il seno della madre quando ha fame. Qui non c’è una ricorrenza di pattern col mondo esterno, né uno scarto tra il mondo interno del bambino e la realtà; il pensiero magico permette, inoltre, di alleviare le angosce del bambino e la sua frustrazione.
  2. Pensiero reale = è tipico dello stadio del concern, dove si manifesta l’esperire dello scarto temporale, ad esempio, tra il desiderio del bambino e l’assenza della madre che conduce a delle attese. Il bambino comincia a integrare le esperienze reali, tant’è che la realtà può essere non solo fonte di frustrazione ma anche di appagamento, tanto che il latte “allucinato” che il bambino immagina non è più soddisfacente di quello reale.
  1. Vero sé = Durante lo stadio di dipendenza assoluta, il bambino dipende totalmente dalle cure della madre, la quale ha il compito di fornirgli le giuste cure fisiche e psicologiche (holding). In questa fase, quindi, la madre deve configurarsi come una madre sufficientemente buona che allevia le angosce del bambino assecondando quelli che sono i suoi gesti spontanei e creativi, lo comprende e lo accetta. Questo permette al bambino di sviluppare un’identità coesa e di esprimere liberamente i propri sentimenti e le proprie emozioni, e sarà compito dei caregiver accogliere l’aggressività del bambino e ridimensionarla.

Il pensiero magico, tipico di questa fase, è caratteristico dei bambini che sviluppano un sé vero e sano, i quali sono in grado di mediare tra la dimensione reale e quella immaginaria utilizzando i simboli.

  1. Falso sé = Durante la fase della dipendenza assoluta la madre si configura come una madre non sufficientemente buona, le sue cure sono fallimentari ed è spesso assente. Alla continuità dell’essere subentra, dunque, il reagire: il bambino costruisce una maschera adattativa per soddisfare le aspettative altrui ed evitare il rifiuto o l’abbandono, costruisce cioè un falso sé per difendersi, proteggersi dalle mancanze dell’ambiente primario esterno, e per questo è indotto a essere compiacente e a dare senso in modo autonomo ai propri gesti. Spesso i bambini che sviluppano un falso sé credono di potersi rifugiare nella fantasia e nel mondo simbolico irreale.

Il saggio “The antisocialtendency” del 1956 di Donald Winnicott comincia con l’analisi di due casi clinici:

  1. Primo caso. Il primo caso è quello di un bambino delinquente; il trattamento durò un anno ma fu poi interrotto a causa del disturbo che il bambino provocava nella clinica. Nello studio di questo caso Winnicott arrivò alla conclusione che il trattamento più corretto per questo ragazzo doveva essere il collocamento, cioè l’assistenza sociale (placement) piuttosto che la psicoanalisi, la quale invece doveva supportare la cura ambientale.
  2. Secondo caso. Il secondo caso fa riferimento al figlio di un’amica di Winnicott, il maggiore di quattro fratelli, per la precisione. Il bambino manifestava un forte impulso a rubare sia all’interno di negozi sia all’interno delle abitazioni. In questo caso Winnicott arrivò alla conclusione che quando il bambino rubava non desiderava effettivamente l’oggetto che rubava bensì cercava qualcosa di cui ha diritto, cercava l’affetto della madre e del padre di cui si sentiva privato. Evidenza fondamentale in questo caso è che dopo otto mesi dalla conversazione tra la madre e il figlio suggerita da Winnicott, non si presentarono più episodi di furto e il rapporto con i genitori migliorò. Questo caso, inoltre, metteva alla luce il tema della trasmissione transgenerazionale, poiché la madre, che durante la sua infanzia ricevette un’educazione molto severe dal padre, sperimentò a sua volta la tendenza antisociale, e per questo motivo la terapia di Winnicott si configurò come una doppia terapia poiché la madre affrontava le proprie difficoltà mediante l’aiuto che donava al figlio.

La riflessione di Winnicott parte dall’assunto che la tendenza antisociale non è una diagnosi come possono esserlo la psicosi o la nevrosi, poiché essa può manifestarsi a tutte le età sia in un individuo sano ma anche in un soggetto nevrotico o psicotico (anche se Winnicott ne parlerà esclusivamente per i bambini).

La tendenza antisociale trova sicuramente le sue radici nella mancanza o nel fallimento delle cure materne, in un supporto precario dell’Io del bambino e in un ambiente sociale poco ospitale, seppur qui occorre porre una distinzione necessaria tra privazione e de-privazione:

  1. La privazione è tipica del soggetto psicotico, il quale non ha ricevuto cure fondamentali sin dall’inizio della relazione diadica con la madre, cioè durante lo stadio del pre-concern (dipendenza assoluta). Qui l’ambiente primario si presenta come un ambiente fortemente precario, mentre la madre potrebbe non essere in grado di sperimentare la preoccupazione primaria materna, per cui non fornisce le giuste cure e le giuste attenzioni al figlio, ella fallisce nelle funzioni di handling e di holding.
  2. La deprivazione (truedeprivation) è tipica, invece, del manifestarsi della tendenza antisociale. Il bambino con tendenza antisociale è quel bambino che seppur ha avuto una madre sufficientemente buona durante il periodo di dipendenza assoluta, a causa di rotture violente e protratte nel tempo durante la fase di dipendenza relativa, sperimenta l’esperienza di una deprivazione ambientale quando il Sé del bambino ha già cominciato a formarsi.

Esistono, inoltre, due sviluppi tipici della tendenza antisociale:

  1. Il furto associato al mentire. Il bambino che è stato deprivato, spinto da una “forza inconscia” è in continua ricerca di qualcosa in un ambiente o in un altro, se non lo trova. Poiché la caratteristica peculiare di questo fenomeno è la speranza, il bambino spera di trovare quel qualcosa di buono di cui è stato deprivato durante l’infanzia.
  2. La distruttività (o aggressività). Anche essa è un atto di speranza: il soggetto aggressivo desidera ritrovare la stabilità ambientale che gli è stata sottratta durante l’infanzia; se questi atti non venissero interpretati in questo modo, e l’ambiente sociale non si configurasse come un ambiente contenitivo e stabile, si creerebbe, secondo Winnicott, un terreno sempre più arido per l’amore e l’azione antisociale distruttiva si estenderebbe ancor di più (casa > scuola > società > leggi), gettando le basi per il costruirsi della figura del delinquente.

Le soluzioni terapeutiche proposte da Winnicott non rientrano nella psicoterapia, bensì nella riscoperta, da parte del bambino, delle cure ambientali e materne funzionali, attraverso l’espressione sana dell’ostilità del soggetto.

Edward John Mostyn Bowlby

Edward John Mostyn Bowlby nacque a Londra in una famiglia vittoriana altoborghese, nel 1907. Durante l’infanzia venne cresciuto insieme ai fratelli dalla bambinaia, che per lui era come una madre; a dieci anni lui e il fratello Tony furono inviati in collegio e questa separazione segnò tutta la sua infanzia. Fece della analisi con Joan Riviere e una supervisione con Melanie Klein. Dopo aver lavorato per un periodo nella Child Guidance Clinic di Londra, decise di entrare nell’esercito in veste di psichiatra militare, e ricoprì questo ruolo durante la Seconda guerra mondiale. Terminata la guerra, venne nominato delegato-membro del comitato governativo di salute mentale, ed entrò a far parte della Tavistock Clinic dove, oltre ad essere scelto come vicedirettore, ebbe il compito di sviluppare il dipartimento infantile.

Bowlby nel 1950 (The Nature of the Child’sTie to His Mother) aggiunge concetti dall’etologia: ci sono degli stimoli sociali che generano l’attivarsi o il disattivarsi di un sistema psichico. Esempio: l’assenza diviene intollerabile e fa attivare il sistema di attaccamento per poi riprendere l’esplorazione; il sistema di attaccamento è diverso dal sistema di regolazione delle esigenze fisiologiche.

Il rapporto WHO, redatto nel 1951 con il titolo “Maternal Care and MentalHealth”, era imperniato su due concetti:

  1. quello dell’insufficienza di cure materne;
  2. di mancanza di cure materne.

Bowlby propose un lavoro suddiviso in due parti:

  1. nella prima parte ripercorreva le precedenti riflessioni e ricerche in materia, fatte da altri studiosi;
  2. mentre nella seconda ipotizzava e proponeva delle metodologie di prevenzione per contrastare carenza e privazione delle cure materne

La qualità dell’esperienza definisce la sicurezza d’attaccamento in base alla sensibilità e disponibilità del caregiver (madre) e quindi la formazione di modelli operativi interni (MOI), che andranno a definire i comportamenti relazionali futuri. Con la crescita, l’attaccamento iniziale che si viene a formare tramite la relazione materna primaria o con un “caregiver di riferimento”, si modifica e si estende ad altre figure, sia interne che esterne alla famiglia, fino a ridursi notevolmente: nell’adolescenza e nella fase adulta il soggetto avrà infatti maturato la capacità di separarsi dal caregiver primario, e di legarsi a nuove figure di attaccamento.

Attaccamento ben sviluppato: in questo periodo, che vadai 6 ai 24 mesi, si crea l’effettivo legame preferenziale ed orientato verso una persona. Secondo Bowlby in questa età è evidente che l’attaccamento è ben sviluppato se si manifesta l’ansia alla separazione: sono l’ansia da separazione e la paura dell’estraneo sono, secondo Bowlby, due comportamenti che ci fanno capire che l’attaccamento nei confronti del caregiver è ben sviluppato. L’attaccamento con il caregiver diventa perciò stabile e decisamente visibile: il bambino richiama l’attenzione della figura di riferimento, la saluta, la usa come base per esplorare l’ambiente, ricerca in lei protezione in particolare se si trova al cospetto di un estraneo.

Il legame di attaccamento tra genitori e figli venne studiato e sperimentato su piccoli primati dai coniugi Harlow (Harry Frederick e Clara MearsHarlow) tra il 1958 e il 1965. Gli Harlow allevarono cuccioli di macaco privandoli della madre; le scimmie disponevano solo di due sostituti materni:

  1. uno era un peluche di morbida stoffa;
  2. l’altro di metallo.

Quest’ultimo era fornito di biberon al quale le scimmiette affamate si attaccavano per succhiare il latte. I coniugi, dopo ripetute osservazioni, notarono che le scimmiette trascorrevano la maggior parte del tempo avvinte al pupazzo di stoffa, anche se era privo di biberon, e si attaccavano alla sagoma metallica solo per poppare. Dopo qualche settimana, le scimmie divennero tristi e spaurite a causa della mancanza del contatto fisico e di sguardi. Quando le scimmie divennero adulte si comportarono come “cattive madri”: mostravano indifferenza verso i loro piccoli, non li allattavano, non si ribellavano se succedeva qualche cosa ai piccoli e arrivavano ad aggredirli e rifiutarli.

La teoria di Bowlby sull’attaccamento fu successivamente validata empiricamente da Mary Ainsworth, sua stretta collaboratrice, attraverso la cosiddetta strange situation, una procedura semi-sperimentale condotta in laboratorio per la raccolta di dati che consente di osservare e valutare il comportamento di attaccamento, quello esplorativo e quello affiliativo, per le madri e i figli. 15 coppie madri-infanti longitudinali furono prese in esame, con visite ogni tre settimane per un anno e alla fine del primo anno di età furono sottoposte alla strange situation. I risultati furono:

  1. Attaccamento sicuro. L’attaccamento sicuro è caratterizzato da aspetti di amore e costruzione. Le madri che rispondono prontamente hanno bambini che piangono poco e un attaccamento sicuro. La differenza non la fa il tempo totale trascorso insieme al caregiver ma il buon timing tra pianto-segnale e supporto del caregiver (e la maniera affettuosa o meno di tenere il bambino). I bambini con attaccamento sicuro si consolano facilmente e subito ripartono a giocare. I bambini con attaccamento sicuro introiettano un caregiver disponibile anche in sua assenza fisica. Al ritorno del caregiver lo salutano affettuosamente e non in modo ostile. 
  2. Attaccamento insicuro-evitante (o contro-dipendente poiché nascondono una dipendenza che non si può palesare, cioè quando il sistema di attaccamento si attiva e non è “terminato” da un comportamento di supporto del caregiver l’infante si difende dalla frustrazione in modo contro-dipendente). Alcuni bambini che protestano molto a casa e che sono sottoposti a frequenti separazioni dal caregiver erano apparentemente indifferenti all’assenza del caregivernella strange situation ed evitavano il caregiver al suo ritorno, avevano cioè un attaccamento evitante, caratterizzato da forti emozioni che il bambino ha fatica ad esprimere e caratterizzato da una difesa autistica. I caregiver degli evitanti erano generalmente distaccati dal bambino specialmente quando lui era in cerca di contatto, erano insensibili ai segnali dell’infante.
  3. Attaccamento insicuro-ambivalente. Quando il sistema di attaccamento si attiva e non è “terminato” da un comportamento di supporto del caregiver l’infante si difende dalla frustrazione in modo dipendente. I genitori non sono disponibili in modo costante e sono estremamente iperprotettivi, questo genera nei bambini preoccupazione e la sensazione di non essere amati abbastanza, tanto da dover richiedere continuamente conferme manifestando unasovra-attivazione del sistema di attaccamento per cui la ricerca della vicinanza del genitore continua nonostante il contatto con il genitore; tendenzialmente, i bambini manifestano fin da subito una minore capacità di esplorare l’ambiente in modo autonomo e di interagire con la figura estranea, un notevole disagio durante la separazione, accompagnato anche da una minore capacità di recupero nei momenti di ricongiungimento; si alternano così offerte di contatto e sentimenti di rifiuto.

Sia nell’attaccamento evitante che in quello ambivalente, maggiori sono la persecutorietà e le esperienze di frustrazione, minore sarà la funzionalità del sistema esplorativo del bambino, ossia tenderà a non esplorare e conoscere l’ambiente.

Bretherton’s Article

  • Risultati di Ainsworth in Uganda (studio longitudinale su 26 famiglie con bambini non svezzati seguiti per nove mesi), l’insicuro piange spesso esplora poco, il sicuro piange poco esplora spesso, l’evitante (non attaccato) non mostra differenze di comportamento in presenza o assenza del caregiver. Il sicuro era correlato positivamente alla sensibilità materna. 
  • Risultati di Ainsworth in Baltimora (studio longitudinale su 26 famiglie fino un anno di età). L’insicuro alla riunione della strange situation vuole contatto ma scalcia (ambivalente), l’altro tipo di insicuro cerca la mamma quando lei è assente ma la ignora quando torna (evitante).

All’interno del primo volume di “Attaccamento e perdita” del 1969 Bowlby non parla più di pulsioni biologicamente fondate ma concepisce la mente come insiemi di sistemi che si attivano e si disattivano in base all’interazione con il contesto (es. sistema di attaccamento vs sistema esplorativo).

  1. In “Attaccamento e perdita” primo volume,Bowlby sottolinea che una coppia caregiver-infante con una buona sintonia relazionale prova piacere nello stare insieme, mentre una coppia caregiver-infante con una cattiva sintonia prova ansia e infelicità nello stare insieme.
  2. In “Attaccamento e perdita” secondo volume (Separation), Bowlby sottolinea che ci sono due eventi che attivano il sistema di attaccamento: l’assenza del caregiver e la presenza di una esperienza ignota. La coppia infante-caregiver è quindi chiamata ad un corretto bilanciamento tra sistema esplorativo (Libertà) e sistema di attaccamento (Sicurezza). La buona sintonia tra caregiver ed infante crea un MOI (automatico, inconscio) in grado di prevedere correttamente i comportamenti reazionali degli altri e quindi comportarsi di conseguenza. Infine, in questo volume Bowlby sottolinea la caratteristica transgenerazionale dei MOI. 
  3. In “Attaccamento e perdita” terzo volume (Loss), Bowlby sottolinea il processo di creazione e mantenimento di un MOI. Il MOI si mantiene grazie ad un processo di attenzione selettiva verso alcune informazioni provenienti dall’esterno e la sistematica esclusione di altre informazioni. Le informazioni escluse fanno parte di tre categorie: cose che i caregiver non vogliono far ricordare al bambino nonostante lui le abbia vissute, situazioni nelle quali il bambino percepisce il comportamento dei genitori come intollerabile, situazioni nelle quali il bambino ha fatto o pensato di fare qualcosa di cui si vergogna molto. Quindi questi aspetti non vengono integrati nella personalità.
  • Linee guida cliniche di Bowlby: il terapista inizia con il capire le difficoltà relazionali del paziente. Il terapista agisce come base sicura per il paziente. Il terapista cerca di guidare il paziente verso il ricordo della vita infantile e degli eventi dolorosi (sono più importanti gli eventi effettivamente accaduti che le fantasie). Il terapista cerca di promuovere un insight sui MOI del paziente derivati da tali esperienze infantili. Il terapista promuove una revisione di tali modelli. 

SVILUPPI MODERNI DELL’ATTACCAMENTO

Un importante strumento clinico per valutare lo stile di attaccamento negli adulti è la Adult Attachment Interview (AAI), messa a punto da Mary Main (1985) e alcuni collaboratori. Si tratta di un’intervista semi-strutturata, della durata di circa un’ora, nella quale vengono poste 20 domande all’intervistato. L’intervista indaga la rappresentazione dell’adulto sull’attaccamento (cioè i modelli operativi interni) valutando i ricordi generali e specifici della sua infanzia. Le risposte sono codificate in base alla qualità del discorso (in particolare la coerenza) e il contenuto. L’AAI permette di classificare l’attaccamento degli adulti in base a quattro categorie:

  1. Sicuro (F, free): valorizzano le relazioni di attaccamento, le descrivono in modo equilibrato e influente. Il loro discorso è coerente e di natura non difensiva.
  2. Distanziante (Ds, dismissing): mostrano lacune di memoria. Riducono al minimo gli aspetti negativi e negano l’impatto personale sulle relazioni. Le loro descrizioni positive sono spesso contraddittorie o non supportate. Il discorso è difensivo.
  3. Preoccupato (E, entangled): mostrano continue preoccupazioni rispetto alla relazione con i propri genitori. Discorso incoerente. Hanno rappresentazioni conflittuali o ambivalenti del passato.
  4. Non risolto (U, unresolved): evidenziano traumi derivanti da perdite o abusi non risolti.

Sulla base dell’ipotesi della stabilità nel tempo dei modelli operativi interni, la ricerca sull’attaccamento è stata estesa alle relazioni di coppia. Bartolomew e Horowitz (1991) hanno definito quattro stili di attaccamento nell’adulto, basati sull’immagine che l’individuo ha di sé e dell’altro:

  1. Stile sicuro: modello di sé positivo e dell’altro positivo. Gli adulti con un attaccamento sicuro tendono ad avere opinioni positive su sé stessi, sui loro partner e sulle loro relazioni. Si sentono a proprio agio con l’intimità e l’indipendenza, bilanciando le due.
  2. Stile ansioso-preoccupato: modello di sé negativo e dell’altro positivo. Gli adulti ansiosi-preoccupati cercano alti livelli di intimità, approvazione e risposte dai partner, diventando eccessivamente dipendenti. Tendono a essere meno fiduciosi, hanno opinioni meno positive su sé stessi e sui loro partner e possono mostrare alti livelli di espressività emotiva, preoccupazione e impulsività nelle loro relazioni.
  3. Stile distanziante-evitante: modello di sé positivo, dell’altro negativo. Gli adulti che ricadono in questa categoria desiderano un alto livello di indipendenza, e spesso sembrano evitare del tutto l’attaccamento. Si considerano autosufficienti, invulnerabili ai sentimenti di attaccamento e non necessitano di relazioni strette. Tendono a sopprimere i loro sentimenti, affrontando il conflitto prendendo le distanze dai partner di cui spesso hanno una scarsa opinione.
  4. Stile timoroso-evitante: modello di sé negativo, dell’altro negativo. Gli adulti timoroso-evitanti hanno sentimenti contrastanti sulle relazioni intime, desiderando e al tempo stesso sentendosi a disagio nella vicinanza emotiva. Tendono a diffidare dei loro partner e si considerano non degni di attenzione. Come nello stile distanziante, gli adulti timorosi tendono a cercare meno intimità, sopprimendo i loro sentimenti.
  • Daniel Stern, Joseph Lichtenberg (Infant Research)
  • Fonagy e Target (Mentalizzazione)

TRONICK

Edward Tronick, psicologo dello sviluppo statunitense, ha condotto una ricerca volta a spiegare come il processo di creazione di significato sia un meccanismo centrale nello sviluppo psichico normale che in quello patologico. In questo senso i bambini vengono concepiti come sistemi dinamici aperti che devono costantemente acquisire informazioni per aumentare la loro complessità e coerenza psichica. Tronick e il suo collega, all’interno dell’articolo, discutono di come i problemi mentali nell’infanzia emergono quando il momento che dovrebbe creare i significati del bambino limita selettivamente le relazioni successive con il mondo e a sua volta limita anche la crescita degli stati di coscienza nel lungo periodo. Quando questo meccanismo diventa continuo e cronico può alterare i significati e interferire con uno sviluppo sano e accrescere nel bambino la vulnerabilità ad esiti patologici.

In questa prospettiva i bambini appaiono come costituiti da sistemi dinamici aperti caratterizzati a loro volta da sottosistemi (cervello, processi psichici, comportamento) che interagiscono costantemente fra loro e i processi di creazione di significato sono formati da questi scambi. Inoltre, i processi di auto-organizzazione, mediante feedback positivi e negativi, conducono allo sviluppo di nuovi sistemi e capacità, come il linguaggio. Ad esempio, durante la relazione con i caregivers i bambini creano numerosi significati di questa esperienza; se i genitori sono affidabili e responsivi, questa base sicura permette al bambino di acquisire più risorse dai suoi scambi con i caregiver e di sviluppare modelli operativi interni sicuri (Bowlby) e la cosiddetta resilienza, mentre se i genitori saranno duri e non responsivi, il bambino manterrà comunque una vicinanza con essi ma a lungo termine potrebbe sviluppare delle forme relazionali di attaccamento insicuro con gli altri nella vita. Quando i bambini riescono a creare nuovi significati (criticità auto-organizzata) emerge un nuovo stato di coscienza biopsicosociale che contiene più informazioni ed è più complesso e coerente più che in precedenza; per questo motivo, i bambini divengono più flessibili e riescono a organizzarsi maggiormente anche dinanzi a ostacoli. Questi ostacoli, tuttavia, presenti nell’ambiente o nel rapporto con i caregivers, se prolungati nel tempo (diventano cronici) possono influire sul sistema del bambino, diventando meno stabile e flessibile (dissipazione): ad esempio, se il bambino piange e i genitori riescono a mitigare il suo pianto, e quindi a riparare velocemente l’esperienza di disregolazione, essi promuovono uno stato di conoscenza più complesso e coerente, mentre lo stato prolungato del pianto, cioè di stress, può provocare la dissipazione della coerenza del bambino. Un esempio estremo, invece, può venire dai bambini istituzionalizzati, che hanno avuto l’esperienza di una deprivazione sociale. Nonostante cure adeguate, l’assenza cronica di un genitore che promuove interazioni adeguate e una mancanza di opportunità di creare significati diadici, può portare a un prolungato stato di disregolazione associato a una rappresentazione di sé stessi negativa del tipo “le mie azioni non funzionano per chiedere aiuto” o “sono inutile”. In questo senso, le esperienze di deprivazione possono condurre a un’alterazione dello sviluppo mentale compromettendo lo sviluppo socio-emotivo.

Ma come fanno i bambini a dare un significato? A differenza degli adulti o dei bambini più grandi, i neonati interpretano un oggetto in base a ciò che possono fargli: non ci sono cucchiai o giocattoli, ma cose che possono essere lanciabili, toccati con la bocca, etc; il significato, cioè, è senso-motorio, per cui i bambini producono significati senso-affettivi. Per questo motivo, un giocattolo grande e rumoroso non sarà un giocattolo, bensì qualcosa da evitare poiché il suo significato è paura. Questi significati costituiscono quello che chiamiamo uno “stato di coscienza biopsicosociale fondamentale” per il bambino, un’organizzazione unica di processi fisiologici, cerebrali e comportamentali multipli e interagenti che creano un senso polisemico (significato multiplo) di ciò che sta accadendo ora e alterano la natura dei possibili significati futuri.

Il successo dei bambini nella creazione di nuovi significati e nell’espansione degli stati di coscienza porta con sé sentimenti di benessere, piacere e gioia e porta a un coinvolgimento positivo con il mondo. Si sviluppa un senso di integrità e continuità. Inoltre, una conseguenza esperienziale particolarmente potente della co-creazione di stati di significati condivisi con un’altra persona (stato diadico di coscienza) è sentirsi connessi e in relazione con quella persona.

Come funziona questo sistema di creazione di significato? Il sistema di creazione di significati bambino-adulto è un sistema comunicativo diadico, mutuamente regolato, in cui vi è uno scambio di significati, intenzioni e obiettivi relazionali di ogni individuo, ossia ciò che viene definito come “modello di mutua regolazione”.  Tuttavia, l’interazione tipica è disordinata: passa da stati di corrispondenza (coordinati, sincroni) di significati e intenzionalità condivisi a stati di non corrispondenza (miscoordinati, dissincroni) e torna a stati di corrispondenza intenzionali attraverso un processo riparativo attivo e condotto congiuntamente. Questa generale mancanza di coordinamento (disordine) suggerisce che i bambini e i caregivers non condividono intenzioni simili per la maggior parte del tempo durante leinterazioni faccia a faccia (en face) (ad esempio, il caregiver guarda il bambino mentre il bambino distoglie lo sguardo) e che non possono coordinare continuamente i loro stati di coinvolgimento. La microanalisi video ha però dimostrato che le diadi bambino-caregiver in genere riparano rapidamente le discrepanze interattive attraverso processi co-creativi.

I fallimenti nelle riparazioni comportano però conseguenze problematiche: il paradigma dello still-face li evidenzia. Bambini in età preverbale reagivano allo still-face con sollecitazioni, con rabbia e disagio, con tristezza e rifiuto, mentre i bambini in età verbale chiedevano alle madri “Cosa stai facendo?” e chiedevano loro “Parlami!”. Durante i momenti successivi di riunione, i bambini riportavano un’affettività negativa e una bozza di affettività positiva, e nei tentativi di riparazione della diade, si comportavano in modo evitante e ambivalente. Chiaramente, bambini con un migliore adattamento possono essere più inclini a esplorare e, in conseguenza, a scoprire nuovi significati relativi a sé rispetto al mondo, che andranno poi a rafforzare la loro sicurezza e ad amplificare la loro spinta conoscitiva.

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